martedì 20 ottobre 2015

La meraviglia di legger libri

Holbein il Giovane, Gli ambasciatori
G. Luca Chiovelli

Credetemi, leggere tanto per leggere mi disgusta. Come offrire dolci a chi ha fatto indigestione di cioccolata. Leggere come terapia, leggere l'ultima novità, leggere il libro dell'amico ... tutto ciò mi ripugna irresistibilmente ... per tacere dell’orrore che ispirano ormai i libri ... con quella carta crocchiante … un olezzo acido da sbrigativa cartiera fordiana … edizioni inutili di autori inutili, che presentono già il macero, fetenti d'effimero, con risvolti allucinati e copertine d'un kitsch lisergico ... no, tutto questo non è il mio regno di lettore.
Solo l'avidità della conoscenza m'ispira il desiderio bruciante della lettura, non altro.
Se tale brama manca preferisco poltrire nell'ignavia.
Non leggere niente, in tali condizioni, è più nobile del leggere qualcosa – una cosa qualsiasi, a caso.
Rassomiglio insomma a Sherlock Holmes che, in mancanza d'uno stimolo intellettuale, si abbandona a una letargia melanconica, alleviata appena dalla cocaina (in vena una soluzione 7%) o dagli spettrali accordi del violino, che inseguono i saliscendi tartiniani del Trillo del diavolo ... nel salottino a Baker Street, mentre il reduce dall'Afghanistan John Watson, in poltrona, davanti al fuoco inglese d'un caminetto inglese, serrato fuori l'umido lividore dei pomeriggi invernali di Londra, segue con occhio ansioso e clinico tali manifestazioni depressive, da umor nero.
E cosa ci strappa dalla depressione, a me e Sherlock?
L'ansia di capire, di scoprire, di sollevare il velo dipinto dei fenomeni. L'ansia di conoscenza brucia l'anima, non c'è niente da fare ... basta un piccolo accenno, quasi sempre casuale, un minuscolo arzigogolo che risale alla mente, un addentellato trascurato nel mare della conoscenza e una frenesia incontrollabile scuote le mie membra intorpidite di lettore. Allora sì che è una festa ... ma che dico: festa? È, clinicamente, come per Holmes, una libidine maniacale, incontrollabile, travolgente. Un piccolo spunto, si diceva ... un esempio? Eccolo. Qualche tempo mi ero incapricciato della poesia orientale; cinese e giapponese, ma, soprattutto, persiana. Ero reduce, infatti, da una visita al Museo Nazionale d'Arte Orientale, in Via Merulana, a Roma. 
In una bacheca lessi una breve lirica ricca d'una metafora che esercitò su di me un fascino profondo, inspiegabile: il poeta paragonava la propria amata a un cipresso.
Non ricordavo chi fosse l'autore; tornai al museo, ma non riuscii a ritrovare il cartiglio fatale. Feci qualche ricerca; forse il poeta era Amir Khusrow. Non fui capace nemmeno di ritrovare l'esatta lirica; una che le si poteva approssimare era questa:

Il parco ha cipressi, larici e pini
ma nulla ti somiglia mia divina, mio cipresso.
Non hai bisogno di pugnali o spade o coltelli
un dardo dal tuo occhio mi rubò la vita.
Il fuoco d’amore è dolce, oh, quanto dolce
ma quest’inferno lo preferisco al paradiso.
Bacia gli occhi del tuo Khusrow, sciocca ragazza,
ogni sua piccola lacrima è come una perla.


Non importava. L'occasione viene sempre dimenticata. Il morbo, però, era già in me, e operava. Mi procurai, già febbricitante, una serie di antologie di poesia persiana del Medioevo.
Piluccando in una di queste m'imbattei in una lirica di Hafiz. Essa recitava:

Ero perso con lo sguardo verso il mare
ero perso con lo sguardo nell'orizzonte
tutto e  tutto appariva come  uguale;
poi ho scoperto una rosa in un angolo  di  mondo,
ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione
di  essere imprigionata fra le spine
non l'ho colta ma l'ho protetta con  le mie mani,
non l'ho colta ma con lei ho condiviso  il profumo
e le spine, tutte quante.
Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i tuoi passi,
ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafiggi.

La rosa ... Evidentemente una rosa simbolica. E quindi? 
La rosa ... la rosa ... si operò, allora, nel mio intimo letterario, una folgorazione chimica. Tutto ciò che avevo letto, meditato, compulsato ... tutti gli accenni, le note a pie' di pagina, le allusioni ... i libri che avevo meditato, o lasciato a metà, o desiderato, magari senza arrivare a leggerli ... tale sfacelo di rovine dormienti, alcune sepolte, altre riaffioranti a mezzo, come il tronco della statua perduta di Ozymandias ... ma neglette in una regione del tempo ormai perduta alla mia attuale considerazione ... tutte queste rocce irrelate vennero attraversate da una scarica galvanica ... il Golem sorgeva, avevo il mio Frankenstein ... si poteva abbandonare la cocaina di Holmes e tornare a leggere ... l'innesco fatale ... la rosa la rosa ... ma perché, nel Medioevo medio-orientale citano sempre la rosa ... solo un vezzo orientale? E l'occidentale? Il Roman de la Rose? E il Fiore o Detto d'Amore attribuibile a Dante? E lo stilnovismo? E la mistica Rosa? E le rose disseminate in Provenza o presso i Minnesanger o i trovatori catalani ... e quella poesia di Federico II sulla Rosa di Soria?
Qui operava qualcosa, mi dissi ... e infatti c'era ... forse pure troppo ... una selva di simbolismi, eresie, linguaggi segreti ... confraternite filosofiche e letterarie che alludevano a una rosa ... che non era un fiore, ma la  rosa purissima della Divina Sapienza, in opposizione alle teologie ortodosse - cristiane, musulmane - che la Rivelazione della Sapienza l'avevano lordata col malaffare e l'avidità temporali ...
E questi poeti, dall'Oriente arabo e persiano all'Occidente, in quel preciso momento a cavallo fra Medioevo e Rinascimento, erano devoti a tale concetto e universale, e, per tema d'esser tacciati d'eresia, lo celavano sotto il velo del simbolo ("sotto il velame de li versi strani").
E così m'incamminai per tali strade letterarie ...
Dante Guido Cavalcanti Guinizelli, ora si capiscono tutte quelle allusioni ... l'esilio eterno di Dante ... le accuse d'eresia a Guido ... e il mistero della sua impervia, inestricabile canzone dottrinale, Donna me prega ... ma quale donna e donna! È la mistica sapienza, celata sotto le vesti di una donna qualunque, a dettare quella canzone impenetrabile a Guido ... ed è il padre della letteratura italiana, Federico II, con quella sua Rosa di Soria, ovvero di Siria, e quelle sue ambigue aperture all'Oriente a fare da cerniera tra Medio Oriente e Occidente:

Kanzonetta gioiosa,
va' a la fior di Soria,
a quella c'à im presgione lo mio core;
di' a la più amorosa
ca per sua cortesia
si rimembri del süo servidore,
quelli che per suo amore va penando

 ... anche qui altro che donna! È la divina Sapienza ciò a cui si allude ... e in Siria chi operò? Il maggior filosofo e mistico d'Oriente a quel tempo, Ibn Arabi ... che, forse, ispirò la struttura filosofica della Commedia ... basta leggere, senza paraocchi, il bel libro di Asin Palacios, Dante e l’Islam.
E Umberto Eco? Cosa vuole significare con quel 'nome della Rosa'? Dove diavolo sta una rosa qualunque nel suo romanzo più acclamato? E quella citazione al fondo del libro cosa significa? Stat rosa pristino nome, nomina nuda tenemus ... ma ci faccia il piacere! Non sa forse il caro Umberto che la citazione esatta di Bernardo da Cluny, dal De contemptu mundi, è: stat Roma pristino nome, nomina nuda tenemus (Di Roma resta solo il nome, noi non possediamo che puri nomi) ... una innocua riflessione sullo scorrere del tempo, una vanitas ... certo che lo sa, ma ciurla nel manico ... forse anche il nostro Umberto adotta il mio metodo di lettura, l'unico possibile ... anzi: io, senza saperlo, adotto il suo … ubi maior … forse (anzi sicuramente) anche lui ama perdersi nei meandri insondabili del pensiero e della storia, risucchiato da un nome ... ad rosam per crucem, caro Umberto.
Alla faccia di Ken Follett!
E questo è solo un itinerario. Uno qualunque: il mio, relativo a un tempo e a un incapricciamento definiti e personali.
Avete visto come dalla combinazione di una poesia su cipressi e di una rosa simbolica scaturisca il piano di lettura: Dante, i mistici persiani, l'amato Cavalcanti, Dante Gabriele Rossetti e Giovanni Pascoli, interpreti del Dante esoterico, Luigi Valli, opere minori di Ibn Arabi, il sufismo, il catarismo ... così mi piace leggere ... vorticare in tali gallerie di uomini poeti e sofferenze ... e allora si è rapiti da una frenesia coribantica: si compulsano database, si molestano bibliotecari, si mettono sotto pressione librerie con richieste isteriche e perentorie ... vengono sobillati motori di ricerca ... ci si sente parte di una scoperta continua, il velo della storia si apre per noi, ecco la verità ... si disseppelliscono figure dimenticate, anditi sepolti dalle macerie dell'indifferenza editoriale ... e guai se un libro, un libro qualunque, che noi riteniamo essenziale per la nostra ricerca, viene a mancare ... in quei frangenti si è presi da spasimi intellettuali incontrollabili ... ci si dispera, si esclama: "No, proprio ora che ero sull'orlo della verità ... proprio ora viene a mancare il libro, l'anello che tiene la catena ..." ... e allora ricomincia la caccia, stavolta online, frenetica ancora ...
Ovviamente quel libro non è decisivo (come sempre), ma quanto si deve perdonare a un letterato febbricitante!
Voi direte, giustamente: ci sembra che tale patologica monomania sia una pura scorribanda di pazzi ... la rosa mistica, Dante, l'esoterismo ... e poi: a cosa arriva, in fondo, tale ricerca; quale il risultato? E il giovamento?
E rispondo: a chi interessa la solidità della tesi? La forza delle connessioni? E cosa importa dell'approdo? E ancora: deve esserci un approdo?
Ve lo confesso ... non si arriva mai a una risposta soddisfacente, al compimento ultimo dello sforzo ... ci sono fior di accademici polverosi per le risposte ... a essi, ignorante come sono, vi rimando ... importante è solo il viaggio.
Sono le stazioni del viaggio l'unica cosa che conti ... false o vere che siano ... solida terra o miraggi ... è il viaggio che assomma ricompensa e virtù:

Non vuoi salire su un alto monte?
L'aria è pura e si può scorgere più mondo che mai

Ricordate la leggenda del Simurgh?
Appare nel poema duecentesco persiano Mantiq-al-Tayr (La conferenza degli uccelli), opera del poeta sufi Farid al-Din Attar.
Così la condensa Jorge Luis Borges, autore nella cui produzione abbondano le rose:

Il remoto re degli uccelli, il Simurgh, lascia cadere nel centro della Cina una piuma sgargiante; gli uccelli decidono di cercarlo, stanchi della loro antica anarchia. Sanno che il nome del loro re significa trenta uccelli; sanno che il suo castello si trova sul Kaf, il monte circolare che accerchia la Terra.
Intraprendono la quasi infinita avventura; superano sette valli o mari; il nome del penultimo è Vertigine; l'ultimo si chiama Annichilimento. Molti pellegrini disertano; altri periscono. Trenta, purificati dalle fatiche, raggiungono la montagna del Simurgh. La contemplano finalmente; capiscono che loro sono il Simurgh, e che il Simurgh è ciascuno di loro e tutti. Nel Simurgh ci sono i trenta uccelli e in ciascun uccello il Simurgh

Si, non è importante leggere ... fondamentale è la meraviglia della conoscenza.
Attraverso i libri ricerco il mio Simurgh ...  e ogni passo è una scoperta e una morte.
Il passato dell'uomo si rivela continuo, epoche e pensieri e bellezza si squadernano vorticosi ... le loro turbinose testimonianze hanno finalmente un nuovo testimone.
Si muore nel viaggio, è inevitabile.
In tal senso: parte di ciò che abbiamo appreso muore. Non solo per l'evidente e semplice presa d'atto che la scoperta d'un verso o d'un passo nuovi e mirabili offuscano i meriti di un autore che ci era caro; no, non è solo questo. È che la quasi infinita avventura della lettura cambia il nostro punto d'osservazione sul mondo: siamo cioè trasportati verso cime inesplorate e il panorama, che pur è sempre lo stesso, si offre a noi in modo inusitato. Si distingue meglio una valletta, ad esempio, o si scorge la fonte d'un ruscello, certe torri o boschetti vengono tagliati da una luce diversa, più pura, i loro contorni cambiano, impercettibili.
Mi faccio capire meglio.
Esiste un fenomeno ottico chiamato anamorfismo.


Si crede di vedere un oggetto che, in realtà, è tutt'altra cosa. È un'illusione, insomma. E questa illusione svanisce solo se noi mutiamo punto d'osservazione. Allora, solo per il fatto d'aver fatto un passo indietro o a destra o esserci abbassati di un palmo, l'oggetto osservato assume la sua propria intima verità, dapprima travisata, o sconosciuta.
Nel famoso quadro di Holbein il Giovane, ad esempio, tra le due figure principali appare una macchia inconsulta che, a prima vista, non riusciamo a decrittare. Solo spostandoci o utilizzando uno specchio riusciamo ad apprezzare ciò che la figura in realtà rappresenta: in questo caso, un teschio.
Holbein insinua il simbolo principe della caducità umana in un quadro che, altrimenti, avrebbe celebrato esclusivamente la pompa e l'autorità. È un memento mori.

Mutato il punto di vista, ecco la rivelazione di Holbein
E anche una rivelazione (una rivelazione terrena, beninteso).
Ciò che prima era incomprensibile ora diviene nettamente intellegibile e muta radicalmente l'interpretazione della visione.
Nella vita quotidiana ci adagiamo nelle mezze verità. Nel già detto. Su tali fondamenta costruiamo la nostra esistenza, le amicizie, gli odi, gli innamoramenti ... e i giudizi ...
Voglio dirvelo, alcune di tali verità non sono che macchie di colore incongrue. Solo quando le si osserva dalla giusta prospettiva esse rendono il segreto della loro verità. È una esperienza traumatica, uno shock. Solo un passo in una direzione inconsueta ... ma quel passettino ... oh, quanto fatale! ...
Leggere, nel senso descritto, è una esperienza che incide la carne ... iniziatica quasi, spesso traumatica ... la lettura e i libri non sono diversioni, intrattenimenti ... Mai. Liberiamoci di tali volgarità una volta per tutte. I libri non sono i giullari di un sovrano annoiato. Essi recano conoscenza, e la conoscenza uccide; e risana. 
Ma non voglio darvi l'impressione di una mia considerazione mistica della lettura.
Tutt'altro.
Sono troppo scettico per credere alla Rivelazione ultima.
Come vi ho detto l'importante è incamminarsi.
E l'approdo può essere inesistente, o un miraggio; la fata morgana che accende la meraviglia, null'altro ... il naufragio, se non fosse inevitabile (quale è, sempre) sarebbe, anzi, da preferire all'approdo.

... eravam ne l'alto passo
quando n'apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe' girar con tutte l'acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com'altrui piacque,
infin che 'l mar fu sopra noi richiuso.

Ulisse, per seguire il sapere, mosso da un afflato incontrollabile, porta alla rovina se stesso e i compagni. E la montagna bruna è solo intravista indistintamente nelle nebbie. Mai veramente conquistata. Ammesso che esista ...
Dante il mistico e la sua irraggiungibile Rosa. Il naufragio, per seguir virtù e conoscenza ... ma la virtù, come detto, è già nel partire, nelle scoperte meravigliose lungo i sentieri dei simboli e della storia. E il premio supremo è la morte; non del corpo, ma di ciò che noi si era prima del viaggio.
Il viaggio della conoscenza e della lettura trasfigura l'animo; come scrisse Leon Bloy

La Storia è come un immenso testo liturgico in cui gli iota e i punti valgono quanto i versetti o i capitoli interi

Leggere significa impadronirsi degli uomini e delle esistenze e delle epoche; leggere è, insomma, tentare l'impossibile: uno sforzo titanico e vano di soggiogare tutti gli uomini, e le esistenze, e le epoche; leggere equivale davvero a un folle volo: decrittare quel testo magico, necessariamente infinito, in cui il Tutto è: le mozioni del cuore di Madame Bovary, i dubbi di Alessandro Magno all'assedio di Tiro, il disincanto attonito di Fabrizio alla battaglia di Waterloo, lo stupore dei soldati di Cortés di fronte alla città d'oro degli Aztechi; e Dante stesso, e Guido, che gli fu primo amico, e coloro che lessero le opere di Guido, e le trascrissero, eternandole, per farle leggere alla posterità, fra cui vi son io, minuscolo lettore, che vado ripetendo i suoi versi nel 2015, voi che leggete, e gli innumerevoli libri che sono passati attraverso di voi.
Avete un’idea della Totalità?
Cos'è, quindi, leggere se non partire per la montagna del Purgatorio, o per la ricerca della Mistica Rosa o per la dorata Bisanzio?
Comprendete, ora, perché non leggo tanto per leggere e perché ciò che viene prodotto ora negli opifici letterari del nulla e del passatempo mi fa solo orrore.
Dante, Shakespeare, Shelley, Emily Brontë, Paracelso, Guido, Omar Khayyam, non sono che vaste porzioni del libro universale che è il mondo mirabile, o Dio, e di cui ogni uomo potrà scorrere solo alcune pagine.
Rivendico alla lettura tale misticismo senza Rivelazione.
Leggere è cercare di divenire quel mondo, ovvero tutto; leggere è, perciò, davvero insano, è l'assalto al cielo che brama ogni cosa, e, al contempo, essere certi del proprio scacco.
Faust o Leopardi sul monte Tabor ebbero molto da dire su questo.
No, mai arriveremo alla terra perfetta, ma le stazione del pellegrinaggio aprono alla felicità. Non provate la vertigine dell'avventura, ogni volta? Il calore della sfida?
Partire per Bisanzio, anche se non esiste, questo è divino.

… Un vecchio non è che una cosa miserevole,
una giacca lacera su un bastone, a meno che
l'anima non batta le mani e canti, e più forte canti
per ogni strappo nel suo abito mortale,
non v’è altra scuola di canto se non lo studio
dei monumenti della sua magnificenza;
per questo i mari ho traversato, fino a giungere
alla sacra città di Bisanzio”.

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