martedì 27 agosto 2013

Parola di Capitano / 27

Nelle puntate precedenti: 
si fa festa, ma Alice piange...


Franca Rovigatti

IL COMBATTIMENTO
Consiglio di guerra in cucina.
Il Capitano credeva che le parole assassine fossero in agguato. Certo, disse, lo sentivano che la preda si dibatteva. Avevano fatto un buon lavoro, con lei: anni e anni di fascinazione, e ora se la volevano portare a casa. Magari, chissà, dall'altra parte, in quello stesso momento, stavano tenendo un consiglio di guerra simmetrico al loro, preparando strategie e munizioni...
Le decisioni furono. Primo, che Alice non dovesse mai essere lasciata sola. Poi, che bisognava prepararsi al prossimo assalto, prevedere le mosse del nemico. Quali parole avrebbe messo in campo? Bisognava preparare Alice ad un attacco, per esempio, di 'eterno', 'infinito', 'morte'. E perché non di 'male', ‘crudeltà’? I nostri presero il vocabolario, l'enciclopedia e il lessico. Studiarono e si segnarono radici, contesti, etimi. Di ogni parola ricostruirono la storia lontana e vicina, le trasformazioni, le derivazioni, gli usi. Misero insieme un arsenale consistente in circa un centinaio di lemmi. Avevano scelto le parole che apparivano le più estreme. Le più dense ed esperte.

Cenarono cercando di parlare d'altro. Ma la conversazione ricadeva sempre lì, come lingua che batte in bocca cariata.
Ma poi Sommaire se ne uscì: "Forse le ci vorrebbe un po' di amore, ad Alice. Le parole trovano tanto spazio dentro di lei perché non ha amore...".

"Non se ne può più!" s'inviperì Molly Coniglio: "Tutti sempre a parlare d'amore! Da voi davvero non me l’aspettavo! Non le sopporto queste melensaggini! E poi, cosa sarà mai questo amore?! Questo grande amore, questo potente: questo infinito, eterno..."
"Basta, Alice, taci!" disse Teo, allarmato: "Non continuare, è pericoloso!"
"Ah! Taci, adesso mi dite! E chi ha tirato fuori per primo questa parola da femminucce, eh? Voi o io? Io parlo, invece! Amore tenero, Sommaire? O amore appassionato? Amore invincibile, irresistibile, sapiente o folle? Ah ah! Non è vero niente, cara, te lo posso garantire! Mi spiace privarti delle tue illusioni, ma l'amore non esiste. E' un inganno! Forse il più grande inganno della specie... Amore è soltanto la spinta biologica a perpetuare i propri geni al meglio. Oppure, in senso più squisitamente psicologico, è esercizio di potere, egoismo celato sotto le mentite spoglie del più nobile dei sentimenti. Non esiste l’amore! Amore, ammore, amooore, aaamore... AMORE... a-m-o-r-e... am-h-ore... ahm! ore..."
Eccola là. Era successo. C’era cascata come una pera cotta. Presa, perduta. Continuava a mormorare, soffiare, strillare, declamare, cantare la parola ‘amore’.

E, porca miseria, ‘amore’ non ce l’avevano! Non erano preparati! Forse perché l'avevano sempre considerata una parola buona (amorosa, amorevole!)...
Teo richiamò alla mente le sue scarne nozioni di greco antico. No! Per quanto ricordava, l’amore in quella lingua si divideva equamente tra le radici fil- di filéo ed er- di erào: della radice am- non v'era traccia.
Si buttò sul dizionario etimologico, e trovò:
dal lat. amor, -oris, astr. di amare; di orig. mediterranea, sopravv. nel nome della divinità etrusca Aminth. Cfr. amoenus, amicus ‘.
Aminth? Che cavolo di divinità era? Doveva, evidentemente, avere a che fare coll'amore... Febbrilmente (mentre Coniglio continuava a balbettare le cinque lettere, le tre sillabe) consultò l'enciclopedia alla voce 'Etruschi', paragrafo 'Religione', dove trovò le seguenti notizie:
Le raffigurazioni degli specchi ci danno nomi di dee secondarie che sembrano riportarsi al tipo di Turan (Afrodite) e sono Alpan, Achvizr, Evan, Mean, Rescial, Snenath, Zipanu. Sempre sugli specchi accanto a rappresentazioni di Eros si trovano i nomi di Aminth e Svutaf.
Aminth era Eros, dunque! Amor, in latino!
Teo parlava velocissimo, per fornire agli amici elementi utili all'impresa. Eros, figlio del Caos e della scura Notte, o di Urano, o di Crono, o del Cielo e della Terra, o figlio di Afrodite. La sua prima rappresentazione simbolica (diceva Pausania) era stata una pietra grezza, forse a forma di fallo, venerata in Beozia. Poi, intorno al sesto secolo, Eros era comparso nell'aspetto di giovinetto nudo, con le alucce ai piedi. Più tardi, in età romana, diventò amorino: un bimbo grassoccio, con arco, frecce, faretra e ali in spalla.
Aminth / Amor. La parola 'amore' che stava divorandosi Alice poggiava le radici della sua forza e vitalità in questo dio ambiguo, potente e burlone: capace di ferire a morte i più potenti tra gli dei, i più valorosi tra gli eroi. Seguace e ispiratore delle misteriose processioni dionisiache. Figlio e torturatore di Afrodite.
Figlio di Caos, ripeté Teo, antichissimo dolmen fallico.
"Che facciamo?" si disperava, mentre la litania di Alice saliva in crescendo, mentre la sua mano riempiva di scrittura la tovaglia: "Questa è una parola terribile. Forse la più potente che si possa concepire. Stavolta Alice potrebbe davvero smarrire la ragione. Qui, adesso... Che facciamo?"
Il Capitano era confuso. Lui, avvezzo ad affrontare situazioni ingarbugliate, questa volta non sapeva dove andare a sbattere.

Non so, Teo: non lo so proprio... Se Amith-Amor nasce come un dio, potremmo provare a invocare i nomi di altri dei... E non quelli consunti degli dei greci o romani... Piuttosto, siccome la radice della parola è etrusca, potremmo ricorrere ai nomi degli dei del pantheon etrusco. Te li ricordi?

"Sì, sì: Tinia era Zeus, Uni, Giunone, e Menrva era naturalmente Minerva. Questa era la triade al vertice. Poi c'era Voltumna, in latino Vertumnus, dio della trasformazione. Poi, l'ho già nominata, Turan. E ancora Turms, e Fufluns, ch'era Dioniso, e Sethlans, Aplu, Artume, Aita, Ani, Selvans, Satre, Usil, Vesuna..."

Ok, Teo. Bastano, credo.
Preghiamo queste parole divine di intercedere presso Aminth-Eros-Amor perché molli la preda.
Seguite la mia voce...

Cominciarono a cantilenare, ripetendo gli antichissimi nomi. Tentando di richiamarli in vita dal sonno in cui erano caduti. Cercando di risvegliare il fulmine di Tinia, il fuoco di Sethlans, la luce di Usil...
Ripeterono la litania per ore. Era passata mezzanotte quando finirono. Esausti, senza voce.
Alice stava ancora lì, nessun effetto. China sulla tovaglia, con la forchetta tracciava febbrile sempre le stesse lettere, le labbra percorrevano sempre gli stessi fonemi. Solo che ormai la parola “amore” non aveva più alcun umano suono: gonfia come un fantoccio, come golem in arcana gestazione.
"Niente," sfiatò roco Teo: "non serve a niente. Forse questi dei non sono abbastanza potenti. Oppure non gliene frega niente di salvare Alice..."
"Ma perché, amore mio," sussurrò Sommaire al Capitano: "perché non ce ne andiamo a fare l'amore portandoci dietro Alice? Non dobbiamo combattere la Parola mettendo in campo parole. Così perdiamo di certo, quelle sono le loro armi... Noi dobbiamo tirare fuori fatti, atti concreti, tangibili!... Perché non opponiamo alla parola il nostro amore? Il tuo vero uccello contro la parola che raffigura l'alato Eros? Vedrai che la parola si commuove! Solo così possiamo vincere la battaglia!”
"Sommaire..." sobbalzò Teo, a cui la proposta apparve fin da subito sconveniente.
Ma Giona approvò entusiasta.

Brava! Questa sì che è un’idea! Andiamo, bella! Prendi tu per mano Alice, accompagnala!

Non fu così semplice staccare Alice. La trasportarono, rattrappita e rigida com’era, di peso, che non mollava la tovaglia scritta. La appoggiarono sulla poltrona di fronte al letto, dove di solito Teo ammucchiava gli abiti.
Dissero a Marlo di aspettare in cucina, di riposarsi un po’, se poteva. Dio sa se ne aveva bisogno!
Chiusero la porta.
Gli amanti si guardano negli occhi, dimenticano la stranezza della situazione, la malata da guarire, la lotta contro la parola ‘amore’...
Si scordano tutto. Tanta è la forza che li fa confluire l'uno nell'altra: lei in lui.
E' inutile che mi ripeta. Il mondo imporporò, si riempì di buon sangue l'universo. Urgeva verso il suo fine e compimento, che era lì, nel luogo tra quei due. Luogo che non di lei era, non di lui, eppure luogo fisico di nascita, in cui lei a lui, lui a lei si generava. Dal quale luogo fiorivano carezze tremanti e precise, nel quale gemeva e si appagava struggimento. Si presero, si persero, in quel luogo.

Va bene: ma Alice, intanto?
Alice, intanto, aveva smesso di dire e di scrivere 'amore'. Gli occhi sbarrati, tutto il peso del corpo la inclinava verso il turbinoso letto. Come ipnotizzato, pur resistendo, come ferro tuttavia attratto da magnete, l'intero corpo (ogni cellula, intendo) muoveva lentissimo verso la coppia degli amanti. Alice cadde dalla poltrona, scivolò sul linoleum, raggiunse il letto. Ne risalì la sponda, strisciando il viso sul lenzuolo. Lo sguardo arrivò ad altezza di materasso.
A spingerla, era stata la parola 'amore': che, pur diffidando della rozza materialità degli atti umani, ne era attratta in modo irresistibile. Ciò che avveniva lì non era rozzo, non era solo materiale.
Attraverso gli occhi di Alice, la parola si trovò, per così dire, in prima fila. Poté vedere da vicino ogni carezza e fremito, ogni entra-oh,sì-esci-entra!, ogni brivido e deliquio.
La parola ‘amore’ si innamorò. Si appassionò della passione. Si perse nello sperdersi, si sentì morire. Oh, dopo migliaia d’anni, la parola si ritrovò a fremere, a gemere...
Ma doveva scegliere. Se restare nel corpo di Alice, mantenendo e accrescendo il suo potere, oppure se abbandonare la postazione per gettarsi nel luogo santo e fulgido che risplendeva là, nel mezzo degli amanti.
Vinse la sua natura.
La parola ruscellò via da Alice, che, d’improvviso liberata –svuotata, sfinita- si addormentò. Ma, prima di andarsene, la parola ‘amore’ lasciò nel cuore della donna un’indelebile orma, il suo ultimo incantesimo. La condannò ad amare di eterno amore la prima persona che avesse visto al suo risveglio. Poi, gorgogliando di piacere, confluì dentro l'abbraccio di Sommaire e Giona, che in quel momento raggiungeva l'acme.
Ogni scoria di freddo bruciò e si sciolse dentro a quell’orgasmo. La parola diventò morbida e piena. Si rigenerò, tornò ad essere quella che era stata (millenni prima: quando gli dei vivevano, e ancora tutto era possibile) nel corpo giocondissimo di Eros.
Tornò ad essere l'amore benedetto di Aminth, Svutaf. Di Turan, Alpan, Achvizr, Evan, Mean, Rescial, Snenath, Zipanu.

  (27 - continua)

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.








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