giovedì 26 settembre 2013

mvl Teatro: Yaneura, chiusi in una stanza per paura di vivere


Maria Cristina Reggio
Quattordici  attori strepitosi e  due metri cubi di spazio scenico: questi gli "elementi" con cui Yōji Sakate, regista,  drammaturgo e direttore della giapponese  Rinkogun Theater Company ha "usato" il palco del Teatro Vascello per fare attraversare agli spettatori il tempo e lo spazio in  due sole ore. La scena era costituita solo da una capanna a sezione trapezoidale, privata della parete frontale  e provvista di alcune botole, da cui gli attori entravano e uscivano seguendo tutte le direzioni possibili, strisciando, scomparendo, rotolando, levitando, infilandosi di soppiatto e gettandosi. Questa piccola capanna era in realtà  una mansarda, in giapponese Yaneura, ovvero una stanza che unʼimprobabile ditta avrebbe progettato e realizzato, (ci si chiede se si trattasse di una ditta vera oppure tutto fosse il  frutto di una fantasia  manga) corrispondendo alla domanda di tanti giovani adolescenti-consumatori che hanno scelto di vivere reclusi nella loro casa, gli hikikomori (termine composto da due parole,  hiku "tirare" e komoru, ritirarsi).  Il racconto si sviluppava in ventiquattro quadri, scanditi da siparietti di buio con un ritornello ossessivamente uguale a sé stesso,  nei quali quella stessa "yaneura" si trovava collocata in spazi diversi, evocati solo da suoni e rumori di ambiente, come le voci di un affollato mercato, o di una strada, o il suono di un citofono.  Al centro della narrazione la morte di un giovane suicida avvenuta in un passato presente,  e un oscuro "cacciatore", che interviene in diverse scene, autore di un misterioso graffito invisibile agli spettatori, e che conosce, lui solo, il segreto di chi sceglie di confinarsi nellʼisolamento. Intorno, decine e decine di personaggi che entrano, come si è detto, per pochi minuti, in quello spazio claustrofobico, componendo brevi quadri di piccoli inciampi-incontri quotidiani, il cui sfondo è dato da una costante mancanza di aria, come in una bara. Uno spazio chiuso che, sul finale, si squarcia, con lʼapertura dei sipari che avevano fatto da cornice, per lasciare vedere lʼinconsistenza di cartone, di un involucro che anche gli spettatori hanno creduto, per due ore, essere costituito  da vere pareti. Lʼisolamento era unʼillusione, intorno non cʼerano spazi siderali così come i reclusi della piccola mansarda  fantasticavano, ma solo una fabbrica di altre modeste mansarde. Erano proprio le pareti che lasciavano immaginare un oltre  fantastico, innalzando una protezione da una ipotetica vita di relazione che si immaginava impossibile da vivere. "Quanto mi piacerebbe vivere ogni giorno della mia vita come se fosse quello prima della partenza", dice a un certo punto un personaggio che spesso cita il diario di Anna Frank, fantasticando sul racconto della sua adolescenza chiusa dietro una parete. Chissà cosa immagina una giovane giapponese dei campi di sterminio verso cui la giovane ebrea olandese è partita e dove è morta insieme con la sua famiglia. Molte le domande poste da questa pièce giunta da un lontano oriente globalizzato, densa di tanti rimandi letterari, cinematografici, ai manga e alla cultura giapponese da sbrogliare e condividere, e  di cui molti  spettatori -  ma quelli giovani si contavano sulle dita -, pur nellʼentusiasmo dellʼaccoglienza di questa ottima pièce sarebbero senzʼaltro curiosi di sapere di più. Una domanda, dunque, al Teatro Vascello e allʼIstituto Giapponese di Cultura di Roma: perché non mettere in cartellone almeno unʼaltra volta questo spettacolo? Una sola recita è davvero poco, ma siccome si immagina già la risposta, meglio evitare di porre  la domanda, limitandosi alla soddisfazione per avere visto un ottimo spettacolo e alla proposta, ottimista, di qualche replica futura.  

Per chi volesse approfondire il fenomeno sociale degli Hikikomori, si consigliano le seguenti visioni:

Il documentario di Francesco LoJodice Hikikomori
Il film di Gianluca Olmastroni Hikikomori ( Italia 2006)
Il film di Marco Prati Hikikomori
Il corto di Jonathan Harris su Youtube:

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