domenica 19 maggio 2013

mvl Teatro: derive senza fine al Vascello


Maria Cristina Reggio
Ieri sera il Vascello era pieno, come spesso succede in questo spazio del nostro quartiere dedicato da anni alla ricerca teatrale e artistica. Uno spazio franco, libero, dove i ragazzi di tutte le età, piuttosto che starsene a casa incollati alla tv o al pc, si incontrano ancora e raccontano o presentano il loro lavoro, con un entusiasmo e una voglia che toccano il cuore e la mente degli spettatori, monteverdini e non. Ieri dunque  TSI La Fabbrica dell'Attore e Dynamis Teatro Indipendente hanno presentato LIGHTBLACK°,  il risultato parziale di un work-in-progress per otto performers, con la drammaturgia di Andrea De Magistris e Giovanna Vicari, che attraversa da un anno le città italiane e che lascia negli spazi teatrali alcune  "mappe umane" su cui si vorrebbe che gli spettatori facessero qualche riflessione.  Con in mente il metodo della deriva di débordiana memoria si  impegnano in una singolare decostruzione degli spazi abitati, assumendo come strumento di indagine quello della maratona, poco débordiano a dire il vero, ma piuttosto tanto post-moderno e relazionale.
Le "derive" in bianco e nero, amate da Débord, erano passeggiate lentissime della cinepresa  negli spazi urbani che sembravano immensi deserti disabitati, vuoti, tanto vasti e bui, quanto sublimi. Quelle dei giovinetti in sgargianti calzamaglia o variopinte  tute  da ginnastica, armati di marsupi e  cellulari con app. di Skype che, ansanti, scorazzano e si disperdono per le vie delle città, raccontandocele  con le loro voci sempre enfatiche, con gli stessi toni dei cronisti tv, più che derive, sembrano quello che sono, ovvero autentiche performance di maratoneti dello show.
Le loro clip in diretta  non toccano"perché gli occhi di chi filma, scippati dal potente occhio unificante dello smarthphone, non hanno il tempo per vedere nulla che li interessi e che ci possano restituire, mentre loro stessi non hanno nulla da dire a proposito, nel contesto scenico, che possa interessare lʼuditorio. Molta teoria di preparazione, ma poco testo scenico, insomma.  La parte più curiosa è quella iniziale, in cui si ascoltano in diretta audio-video le conversazioni in diretta via Skype con altri ragazzi che hanno il tempo per dialogare e raccontare come vivono gli spazi delle loro città, mentre, al centro della scena, mano a mano i maratoneti, disturbati nei gesti da quella che sembra essere una sindrome di Tourette, in realtà stanno facendo riscaldamento per poi partire di corsa alla volta della metropoli, accompagnati da uno sfondo di Bolero di Ravel (ma perché proprio il Bolero?).
Alla fine della performance, gli stessi maratoneti hanno disegnato  lo spazio srotolando decine e decine di metri di nastro adesivo che segnava diverse traiettorie lineari nello spazio stesso del teatro, ma gli spettatori non capivano cosa dovevano fare e accennavano un timido applauso, non sapendo  se era  giunta lʼora di partire anche per loro. Una deriva senza finale, forse?

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