martedì 17 settembre 2013

Pronunciare la parola dell'altro. Appunti sulla traduzione

Quattro giorni di poesia a Firenze da oggi a venerdì per l'undicesima edizione del festival "Voci lontane voci sorelle". Tra i partecipanti Gabriele Frasca, Stefano Dal Bianco, Elisa Biagini. Di notevole interesse, oltre alle letture, i seminari: in particolare, domani pomeriggio, si parlerà di Traduzione e poesia, un tema  che è anche al centro del laboratorio avviato tre anni fa da Monteverdelegge. Alla vigilia del nuovo ciclo 2013-2014 ecco le riflessioni di Fiorenza Mormile, coordinatrice dell'iniziativa.

Tradurre è attraversare una distanza nello spazio, nel tempo, nel rapportarsi col reale. Ha a che fare con il nomadismo e la perdita, ricorda il trasloco che permette l’acquisizione di uno spazio nuovo ma lascia indietro inevitabilmente qualcosa. Del bonsai esecravo l’amputazione finché non ne ho compreso lo scopo originario: salvaguardare  specie arboree rendendole trasportabili a distanza. Se per i più severi ogni testo sarebbe per sua natura intraducibile, la traduzione del testo letterario è la più esposta alle intemperie dell’insuccesso. Giuseppe Pontiggia definiva l’idea di tradurre “un viaggio verso Utopia, un avvicinamento progressivo all’impossibile”, che tuttavia molti continuano a praticare con temerarietà e soddisfazione. A maggio ho udito il grande Seamus Heaney tessere le lodi di questo tipo di esplorazione: ammesso che l’aver letto Dante in traduzione gliene avesse fatto perdere il cinquanta per cento ciò che restava era bastato a cambiargli la vita.

Ma quando si traduce e perché? Pavese parlava della necessità di un “innamoramento”, di un’intensa  fascinazione esercitata da un testo. In assenza di questa “chiamata” l’operazione risulterebbe meccanica, carente di interesse letterario. Come un’interpretazione musicale tecnicamente perfetta ma priva di pathos. Attenzione a non farsi trasportare troppo però, il rischio di strafare è sempre in agguato, l’amore a volte si prende troppe libertà e troppo spazio. Pensiamo a un utero in affitto. L’embrione viene impiantato  e comincia a essere nutrito dal sangue e dalla linfa dell’ospite, la circolazione diviene unica, salgono i picchi ormonali …a quel punto l’ospite può entrare in confusione: di chi è il figlio? Forse contro questo rischio di vampirismo Nadia Fusini ammonisce :” La traduzione è passione della parola dell’altro, non della propria, o non è nulla (…)  è amore di lontano, passione di esilio, avventura dell’esodo. Non si tratta di pronunciare la propria parola, si tratta di pronunciare la parola dell’altro.” L’autore è esposto anche ad altri rischi : in genere ci si compiace che le proprie creature possano acquisire in traduzione nuove dimensioni di esistenza ma raramente si è in grado di controllare la bontà dei risultati. Può anche accadere che per tata capiti una strega… Per fortuna sono casi rari.  
Al traduttore coscienzioso e capace di mantenere la giusta distanza, l’operazione garantisce comunque  grande nutrimento. Lo sollecita a espandere pur in un’ottica di servizio la propria parola oltre i confini del sé. Anche un servitore beneficia in termini di allargamento mentale del Grand Tour del suo titolato padrone. Se è un poeta, poi, ancora di più. Ascoltare la propria voce straniata proveniente dalla terra di mezzo del tradurre può aiutarlo a svincolarsi dalle gabbie metriche e stilistiche della sua tradizione. Giudici diceva che gli autori tradotti avevano influito sulla sua poesia attraverso la nuova voce che si era creato per renderli. 
Chiediamoci ora come arrivi “la chiamata”, facendo scattare la seduzione del testo: accende più la somiglianza o la differenza? Più spesso si sceglie forse ciò che ci somiglia, ci è familiare e ci attira come uno specchio ipnotico. Caproni raccomandava invece al poeta traduttore di superare la tentazione dei poeti congeniali e di rivolgersi piuttosto agli  antipodi per risvegliare attraverso la loro parola catalizzatrice ciò che in lui giaceva latente. Un forte stimolo creativo è certamente alla base di quel tipo speciale di traduzioni che sono le variazioni o riscritture : di fatto nuovi testi autonomi generati dai primi come in Nomi distanti di Anedda, che parla di un effetto trascinamento: “il testo altrui mi consentiva di esistere, illuminava il nuovo testo sottraendolo all’irrealtà, trascinandolo, trascinandomi.” In ogni normale traduzione c’è comunque già sempre un alto tasso di creazione, considerando le infinite varianti possibili e le infinite possibilità combinatorie della lingua. 
L’abbiamo toccato con mano, affascinate da questa rutilante molteplicità, nel nostro laboratorio di traduzione di  Monteverdelegge, tenuto quest’anno nella confortevole sede di Plautilla (dopo un primo rodaggio in case private  del quartiere). Abbiamo lavorato sulla poetessa inglese Stevie Smith, cooptata forse più per somiglianza che per distanza a fronte dell’importante presenza materna e paramaterna nel suo vissuto familiare. Ogni partecipante (almeno lo zoccolo duro e costante delle assidue: Paola Splendore, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Maria Teresa Carbone) portava a ogni incontro la sua traduzione del testo di volta in volta concordato, per intero, se breve, o di parte di esso, se lungo). Dal confronto solo in rarissimi casi sono emerse identità di soluzioni su singole espressioni o versi. Si è dovuto allora trovare un compromesso, scegliendo fior da fiore. All’inizio è stata dura. Appariva quasi inaccettabile dover abdicare alla rispettiva proposta cui ciascuna era visceralmente legata, ogni modifica vissuta come una violenza sull’integrità della propria creatura. In mancanza di unanimità sembrava che a un bel momento qualcuno prendesse le redini forzando un po’ le cose, come quando durante una seduta spiritica si ha  l’impressione che qualcuno muova volutamente il piattino. Man mano però questa l’ipertrofia dell’io si è placata e ridimensionata, e abbiamo imparato a gustarci il piacere di veder nascere in diretta un testo coerente partendo da materiali di matrice diversa, a volte lavorando ulteriormente insieme uno spunto interessante. E pian piano credo ciascuno si sia convinto dell’assoluta superiorità del gruppo rispetto alla performance del singolo. Per entrare un po’ nel merito la maggioranza dei testi erano in rima, dall’aria ingenua e quasi infantile, ma dalla tessitura di metrica, lessico e registro piuttosto sofisticata. La resa della rima è risultata fin dall’inizio assai complessa, ma considerata ben presto imprescindibile per non smontare l’effetto ironico e a sorpresa di molte chiuse. Si è spesso dovuto ricorre alla riformulazione dei concetti, evitando le scorciatoie di rime troppo “facili” in “are” dei verbi all’infinito, ma la sfida è stata divertente ed ha finito per appassionare anche chi all’inizio era ostile all’idea, per il rischio filastrocca sempre in agguato. Altra difficoltà pur scontata in partenza è stata quella di dover contenere nella resa italiana il proliferare di sillabe sempre debordanti rispetto alla nervosa e scattante brevitas albionica.  Se ripensiamo a quanto la condivisione sia stato fulcro e punto di avvio di Monteverdelegge questo laboratorio ne incarna a perfezione lo spirito. Ogni incontro porta a  un prodotto finito, un testo che riassume e cristallizza tutto il processo di confronto e discussione. Ho avuto precedenti esperienze di traduzione in gruppo: un’antologia tradotta a quattro mani è uscita nel 2009 e un nuovo progetto con lo stesso team è in dirittura d’arrivo. La modalità operativa è che ciascuna traduca autonomamente un certo numero di testi che poi vengono uno per uno revisionati insieme più volte. Qui c’è stato un ulteriore upgrade della dimensione collettiva. La scelta di lavorare su un numero ridotto di testi ha permesso di estendere il confronto su ogni singolo aspetto: prosodico, lessicale, sintattico etc. Ognuno di noi ha appreso qualcosa dal modo di tradurre degli altri, ad esempio io mi sono definitivamente emancipata dalla tendenza postliceale alla variatio nella resa di un termine ricorrente.                              
Detta così potrebbe apparire ad alcuni una roba impegnativa, e invece non voglio spaventare i nuovi aspiranti traduttori di gruppo. Tranquilli: i “compiti” non sono obbligatori, anche se certo impegno e assiduità danno i loro frutti. Questo dunque è un invito, se vi è venuta voglia… giocate con noi.      

Fiorenza Mormile e Anna Maria Robustelli hanno tradotto e curato insieme a Loredana Magazzeni e Brenda Porster l’antologia Corporea. Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, Le Voci della Luna –Poesia, 2009.  

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