lunedì 4 novembre 2013

Vade/Mecum a Monteverde: Le catacombe ebraiche, una storia lunga e non conclusa

 Giovedì 7 novembre alle 18 nel Tempio  Beth  Michael, Viale di Villa Pamphilj, 71c verrà presentato il volume La catacomba ebraica di Monteverde: vecchi dati e nuove scoperte, edito dalla Presidenza del Consiglio Provinciale di Roma e dal Municipio Roma XII. Proponiamo uno stralcio dall'introduzione di Daniela Rossi, curatrice del volume insieme a Marzia Di Mento.


Daniela Rossi
Roma fu una delle più antiche sedi occidentali dell’antica comunità ebraica. L’Urbe cosmopolita e aperta a molteplici traffici economici e interessi materiali, offriva ai forestieri moltissimi vantaggi e garanzia di libertà religiosa. Condizioni favorevoli che motivarono un insediamento stabile profondamente partecipe della realtà romana dell’epoca ma mai un’integrazione totale, in quanto la comunità ha sempre conservato riti e tradizioni culturali che l’hanno resa ben identificabile, come si desume anche da questa nuova ricerca. In particolare, l’area compresa fra la riva destra del Tevere, il Trastevere e la collina di Monteverde e la zona intorno a Porta Portese ebbero precoce frequentazione ebraica sin dal I secolo a.C., sebbene notizie di Iudaei in Roma sono testimoniate già dal II secolo a.C. E molti se ne aggiunsero dopo il I secolo d.C. deportati dalla loro patria a seguito della ribellione della Giudea contro Roma.
Il Transtiberim era in origine sede di gente semplice, piccoli trafficanti e marinai che gravitavano sugli approdi del fiume; solo più tardi vi si insediarono i ricchi giardini dei Cesari. Peraltro la continuità insediamentale sull’area sembra non sia mai venuta meno grazie, probabilmente, anche alla buona disposizione delle autorità. Del resto fu Cesare a concedere grandi privilegi ai Giudei romani a fronte di favori politici nella contesa contro Pompeo.
Tale circostanza mette in luce il peso che doveva avere la comunità sulla vita politica e sociale romana in età imperiale quando alcuni studiosi ritengono che la popolazione ebraica entro la città si attestasse sui circa ottomila individui nel 4 a.C. e circa quattromila uomini in età militare nel 19 a.C.
Le sinagoghe, in particolare dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., diventarono luoghi di aggregazione culturale e punti di riferimento organizzativo delle comunità.
Assai scarse sono le testimonianze archeologiche legate alla vita dei primi Ebrei in Trastevere, quasi tutte le informazioni sono state dedotte dall’analisi delle iscrizioni sepolcrali rinvenute negli anni in scavi assolutamente non scientifici e, quindi, privi quasi sempre di informazioni topografiche se non del tutto generiche. I luoghi di sepoltura erano determinati soprattutto dalle condizioni geomorfologiche dei terreni e, dagli inizi del III secolo si diffuse l’uso, del tutto simile, tra cristiani ed ebrei, di scavare all’uopo complesse planimetrie di gallerie e ambienti cimiteriali nelle profonde viscere della terra. A differenza dalle catacombe cristiane, all’interno di quelle ebraiche era vietata la celebrazione liturgica a suffragio dei morti, vista dalla religione come una sorta di contatto fisico con i defunti e quindi considerata pratica impura.
Nella catacomba ebraica gli accessi, le gallerie, i cubicoli sono da ritenersi funzionali esclusivamente ai riti di sepoltura.  La peculiarità delle catacombe ebraiche si rivela nella presenza di simboli ebraici nelle pitture e nelle incisioni che decorano gli ambienti.
La catacomba di Monteverde venne realizzata proprio negli strati più teneri della stratigrafia collinare e fu, in seguito, anche la prima delle sei note in Roma a venire alla luce, nel 1602, ad opera di Antonio Bosio e, poi, più volte dimenticata fino al completo oblio. Già a quel tempo si parlò di gallerie crollate a testimonianza della fragilità dell’impianto e della contemporanea attività estrattiva.
Del resto la collina di Monteverde pare abbia preso il nome dal caratteristico colore della vena tufacea che fu lavorata da età romana in poi per estrarne pietra da costruzione. Le gallerie estrattive si collocavano ad un livello inferiore rispetto a quelle catacombali destabilizzandole e determinandone, quindi, spesso il crollo. L’edificazione moderna successiva le ha definitivamente inglobate e cancellate senza alcun riconoscimento o rispetto.
La storia urbanistica del quartiere si intreccia, infatti, con quella della perdita definitiva della testimonianza antica. Al momento della sua unificazione al Regno d'Italia, Roma non aveva affatto le sembianze ambientali di una moderna capitale europea e Monteverde si presentava ancora come un ridente colle ricco di molti terreni agricoli, vigne, frutteti, oliveti con ville, casali e chiesette di campagna disseminate lungo sentieri e stradine di terra battuta.
Il dibattito sullo sviluppo urbanistico tramite il quale la Città  avrebbe potuto affrontare le nuove funzioni burocratiche fu, purtroppo il presupposto del cambio repentino di destinazione d’uso di quelle tenute.
 Il primo Piano Regolatore di Roma, approvato il 28 novembre 1871, non prevedeva l’espansione oltre la riva destra del Tevere che si aggiunse, invece, dal 1873 nel “Piano Regolatore di Roma moderna” nel quale era previsto anche "un piccolo quartiere signorile alle pendici del Gianicolo" mentre in quello del 1883 era compresa la costruzione di una stazione ferroviaria della linea Roma Viterbo presso l'attuale piazza Ippolito Nievo. Stazione che venne poi spostata nell'attuale sede tra il 1906 e il 1911 con un intervento di grande impatto urbanistico che stabilì l’assetto definitivo degli assi ferroviari e stradali di tutta la zona.
L’elezione a sindaco di Ernesto Nathan nel 1907 segnò un cambio di rotta nella speculazione selvaggia e un tentativo di regolamentazione edilizia attraverso l’adozione di un nuovo piano regolatore, approvato nel 1909, e la cui realizzazione fu affidata ad Edmondo Sanjust di Teulada, ingegnere del Genio Civile di Milano.
Per le zone di Monteverde Vecchio e di Via Portuense vi era in progetto la realizzazione di un nucleo edilizio residenziale mentre tutto il terreno da san Pietro all'attuale Circonvallazione Gianicolense restava destinato a 'giardini'. E, se in particolare Monteverde Vecchio avrebbe dovuto essere destinato soltanto ad abitazioni circondate dal verde , nella realtà dei fatti, come in altre zone, lo sviluppo edilizio puntò anche ad una prima costruzione di palazzine che permettevano maggiori vantaggi economici e speculativi
Le case, al principio degli anni Venti, si distribuirono lungo le direttrici che vanno da Via Berchet a Via Lorenzo Valla e da Via Fratelli Bandiera a Via Felice Cavallotti mentre  l'asse Nord-Sud era segnato da Via Alessandro Poerio.
Gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale determinarono per tutta Roma un’accelerazione urbanistica che non risparmiò nemmeno la collina di Monteverde.
Così, con il piano regolatore del 1931, votato alla massima resa edilizia dei terreni, a fianco dei graziosi "villini", presero posto nuove "palazzine" e "fabbricati". L'INCIS costruì nuove case destinate agli impiegati dello Stato in Via Oreste Regnoli, Via Francesco Saverio Sprovieri e Via Raffaello Giovagnoli, mentre la nuova direttrice di Via Giacinto Carini attraversava piazza Rosolino Pilo e sfociava in Via Barrili. Successivamente, nel 1937, l’Istituto Autonomo Case Popolari costruì in Piazza Donna Olimpia, allora separata da una vallata dal quartiere residenziale di Monteverde, grandi palazzoni intensivi destinati ad ospitare le persone provenienti dalle abitazione coinvolte negli sventramenti del centro storico. Nel 1939 a piazza Rosolino Pilo furono edificati palazzoni di otto piani che ne stravolsero le caratteristiche di piazza-giardino. Si costruirono anche le nuove chiese: Nostra Signora de la Salette e la nuova chiesa di S. Maria Regina Pacis. Ciò nonostante, al confronto con altri quartieri romani, ancora all'inizio degli anni Cinquanta, Monteverde Vecchio si poteva definire un’oasi tranquilla ed isolata. Durante la guerra le zone rimaste libere dall’edificazione furono sfruttate ancora come orti per poi dare spazio a costruzioni negli anni 50 e 60. Allora diversi villini vennero demoliti e sostituiti con palazzi di molti piani e le aree verdi man mano scomparvero.Intanto, in tutto questo fervore edificatorio, si sono perse completamente le tracce visibili dell’antica catacomba, condannando questo importante monumento ad un progressivo e sempre più pericoloso oblio. Proprio questa consapevolezza, allora, ci ha spinti ad immaginare un progetto che potesse divenire un "ponte di conoscenza" fra l'attuale quartiere e i suoi abitanti, e le memorie storiche che esso ancora cela nel suo sottosuolo. L'auspicio è che, anche attraverso questo nostro volume, i Monteverdini e gli abitanti del Municipio XVI in genere possano tornare ad interessarsi e ad attivarsi nella ricerca, tutela e valorizzazione di ciò che di più prezioso il proprio territorio da secoli conserva: le testimonianze della nostra storia comune.

1 commento:

  1. La storia urbanistica dei quartieri di Roma è interessante, ma avrei voluto sapere di più sulle catacombe ebraiche, che danno il titolo all'articolo.

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