sabato 23 novembre 2013

Lessico minimo: governo, governare


Franca Rovigatti

Tutto parte da Lisiana, un’assolata mattina che al fresco del tavolo di marmo della sua ombrosa cucina si chiacchierava, e lei mi fa: “Fra’, vo’ giù du’ minutini a governa’ le bestioline”. Le bestioline erano sei vacche nella stalla sotto casa, e governarle significava, come vidi, pulirle e cibarle. Pulirle, igiene, e nutrirle, cibo.
Da quel momento, ed era Maremma ed era l’estate di quindici anni fa, e ora da tempo purtroppo Lisiana è morta, da allora spesso mi sono trovata a pensare a quella accezione di governo, che in sostanza significava prendersi cura. Non avevo mai guardato bene la parola governo, l’avevo sempre percepita solo come significante del significato istituzionale: il governo italiano, il capo del governo, il partito che governa, ecc., e improvvisamente mi ritrovavo a ricordare i gesti di Lisiana con le sue bestie.

Allora, mi veniva in mente il Buon Governo che Ambrogio Lorenzetti, alla fine degli anni trenta del Trecento, aveva squadernato nelle sale del Palazzo Pubblico di Siena: città prospere, campagne coltivate, benessere, ricchezza, armonia. Cittadini puliti e cibati, fervidi e lieti: Buon Governo.

E poi pensavo al corrispondente negativo, l’Allegoria del Cattivo Governo, o malgoverno: e rivedevo l’affresco notturno di una campagna abbandonata, desolata, attraversata da lugubri bande di pallidi zombi; rivedevo le città piene di mendicanti, di storpi, di malati, le case cadenti, le strade luride; e il gigantesco algido diavolo messo a capo della baracca, circondato da cupi accoliti. (Perché mi viene in mante Andreotti?).

Diavolo, pensavo, stessa radice di diabàllo, verbo greco che significa mentire, calunniare: etimologicamente, il diavolo è colui che imbroglia le carte, è il gran bugiardo, il re dei mentitori, colui disattende i patti. Perché già allora – Trecento già un po’ rinascimento, già abbastanza fuori dal medioevo, già comunale – quello che legava gli abitanti di città e contado ai loro governanti era il patto del buon governo appunto: il perseguimento e raggiungimento del bene comune. Il malgoverno deriva dal tradimento di questo patto.

Continuando a pensare: da quando posseggo un minimo di coscienza civica e critica (il che è avvenuto piuttosto tardi, ma questa è un’altra storia) la mia netta e continuativa sensazione è stata di essere cittadina di uno stato di malgoverno. Il malgoverno privilegia pochi (che nel tempo diventano pochissimi) e deprime, stritola, ingannandolo, il popolo: lesina e nega i servizi, continuando a promettere lotterie ed eldoradi. Privilegi io ne ho visti (e anche vissuti) nei miei primi vent’anni. So di cosa si tratta. Essermene tolta non mi toglie ancora il senso di ingiustizia che mi opprimeva anche mentre godevo dei vantaggi che il privilegio offriva. La sensazione, poi la convinzione, non è stata solo di vivere in uno stato di malgovernanti mossi da lucro, da brama di potere e di pre-potere (che significa: potere assoluto), ma poi, via via – e negli ultimi vent’anni in modo paradossale – mi sono resa conto che sono anche inetti, che mancano di ogni possibile larghezza di visione, che sono goffi crapuloni, che hanno una straordinaria corporatività, e dimestichezza con l’inganno e con la truffa, e negare di aver detto quello che si è detto, e un’infinità di altre belle cose.

Tornando al sostantivo governo (senza ulteriori qualificazioni), metto qui di seguito la definizione che il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (1907) dà del lemma “governare”

governàre prov. e port. governar; fr. gouverner; sp. Gobernar: dal lat. GUBERNARE e questo dal gr. KYBERNÂN propriam. dirigere una nave (onde gubêrnatèr = lat. gubernàtor piloto, gubèrnêsis, direzione della nave) formato su KŸBERNOS, capitano, che tiene a KŸBÊ, testa, capo, o, come altri vuole, nel senso figurato di parte principale o più alta della nave, che darebbe il significato di quei che sta sull’alto della nave per dirigerla.
Propriamente vale Condurre tra gli scogli e le secche, fra le tempeste ed i venti contrari, salva in porto la nave; e metaforicamente è Reggere il timone dello Stato, e fra le commozioni politiche procurare ai popoli la maggiore sicurezza e prosperità possibile.
Più generic. Reggere, Temperare, Regolare, Custodire, Provvedere ai bisogni, Fornire del necessario, specialmente dell’occorrente al vitto; Operare, Fare.

Visto? Provvedere ai bisogni, fornire del necessario, aveva ragione Lisiana! Visto? Tra scogli e secche condurre salva in porto la nave. Perché mi viene in mente Schettino? E ancora: reggere il timone dello Stato, e procurare ai popoli la maggiore sicurezza e prosperità possibile: come da noi, come all’Aquila, a Pompei.

Dal liceo mi ricordo anche kybernètes, il gubernator, il governatore, colui che governa. Il capitano (Capitano! Mio Capitano!), l’ultimo a lasciare la nave che affonda, l’unico che non ha conti alle Cayman, o in Lussemburgo, o in Svizzera, che non prende mazzette, che non corrompe perché non è corrotto. Il kybernètes, il prode capitano, salva la nave e i passeggeri, non li affonda.

Il nostro povero paese affondato, spolpato, succhiato nel suo midollo dai caimani, necessita in modo urgente di un vero governo: ma nel senso di Lisiana.

Se ormai non è troppo tardi, ma io cerco sempre di essere ottimista.

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