lunedì 27 gennaio 2014

Hans Sahl: l'esilio come condizione umana

Raethia Corsini

Hans Sahl, ebreo tedesco, ha vissuto l'esperienza della persecuzione nazista, quella dei campi di concentramento e l'esilio, che lo ha visto vivere negli Stati Uniti d'America fino al 1989, anno in cui è tornato in Patria. L'esperienza di lontananza dalla sua Terra natia, però, è andata ben oltre l'esilio geografico, per approdare senza rimedio e per sempre, nella sfera intima, diventando personale condizione umana. Una condizione che riguarda tutti noi. 
Per Del Vecchio Editore (appena passato da Plautilla a raccontare la sua storia) esce il 29 gennaio una preziosa raccolta di poesie di questo importante intellettuale del Novecento, scrittore, critico e poeta, con testo originale a fronte (traduzione di Nadia Centorbi). Un autore da riscoprire, come ha scritto il settimanale tedesco Die Zeit, "perché capace di illuminare il momento in modo ineguagliabile". Il titolo della raccolta non lascia scampo all'universo umano: Mi rifiuto di scrivere un necrologio per l'uomo. 





Riportiamo qui, a solo titolo di assaggio, due poesie scritte in anni lontani tra loro e contenute nel volume edito da Del Vecchio. 






Washington Square
Spietato sta il sole su Manhattan.
Dall'ottava strada soffia un vento corrotto.
Dove siete rimasti voi che amai in più fresche contrade?
Mia madre mi promise un'esistenza splendida,
ricca d'onori e di titoli - ora siedo qui, 
sulla piazza che la città mi ha lasciato, a testa scoperta, 
senza lavoro, tra alberi radi e come questi
muoio di sete. (1941)


Esilio
Non c'è più niente da dire. 
La polvere si disperde.
Ho tirato su il mio bavero.
È già tardi.

L'argano cigola. Lo hanno seppellito.
Non c'è più niente da dire.
Troppo tardi.
(da "Noi siamo gli ultimi" - Poesie 1976)







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