martedì 13 agosto 2013

Parola di Capitano / 13

Nelle puntate precedenti: Finalmente lo scrittore di serie zeta Teo Marlo e il suo eroe, il prode Capitano Giona Missing, si sono alleati per produrre romanzi meno dozzinali di quelli usciti finora, ma sul loro cammino si ergono imprevisti ostacoli.


Franca Rovigatti


ALTRI DISTURBI
Quel giorno era destino che i nostri non lavorassero. Oppure, i disturbi s'erano dati appuntamento.
Teo e il Capitano stavano ancora ridendo, quando il citofono squillò di nuovo. Imperativo. Come a dire: se ci sei, non potrai eludermi, e se non ci sei, in un modo o nell'altro ti scoverò. Il dito di una persona determinata.
"Ah, sì" disse Teo rivolto al Capitano: "questo è Potto, solo lui suona così... E’ l’avvocato tutore di Sommaire, la mia prima moglie. Sommaire Pochintesta, poverina: da vent’anni non scuce una parola… Catatonica. Sta in clinica,”
"Mio carissimo, esimio, signor Marlo," squittì infatti la stridula voce imperiosa, appena liberata dalla forcella: "possiamo conferire? Salgo?"
"Va bene, venga, salga pure, avvocato": si rassegnò Teo.

Samuel Potto entrò col fare furtivo che tanto si confaceva al fisico stento, al naso in perenne avanscoperta. Si portava dietro

l'accasciato sembiante, il trascicare
di una vecchia, che neanche alzò la testa
nulla guardava, tutta in sé distante
tutta rinchiusa in sé si conservava.
Una colonna di silenzio stava
a contenerla, muta e raggelante.

"Sommaire..." mormorò Teo, infinitamente dispiaciuto.
Lei, entro lo scudo dell'immobile schiena, neppure lo sentì. Sembrava che ogni disponibile energia le bastasse appena a tenersi insieme.
"Ho portato la nostra cara Sommaire a fare una passeggiatina. Sa, amico mio, ai Campi Elisii non la tengono più se non paghiamo l'aumento della retta..." trillò Samuel Potto, con una punta di isterica esultanza nella voce: "Era tanto che non la vedeva, signor Marlo?"
"Lo sa bene, avvocato, lo sa bene..." mormorò Teo. "Non è forse lei che si occupa della retta della clinica? Che controlla le terapie? Lo sa bene, no?, che io non ci vado mai, a trovarla. Gliel'ho detto e ripetuto: troppa angoscia... E’ una vita che non la vedo..."
"E come la trova, la nostra amica: benino, sì?" trionfò Potto.

Aaah, ma questo è un aguzzino! Gode! E’ peggio del tuo editore, peggio del più cattivo dei cattivi del libro! Attento, Teo, non ti fare colpevolizzare...

Teo, rinfrancato, già prendeva respiro, già stava per dire all'avvoltoio il fatto suo, quando vide che Sommaire aveva alzato il capo, e lo guardava: anzi, dietro di lui guardave (vedeva!) qualcun altro. Incerta, come una che da troppo tempo non lo fa, sorrideva. Lo strazio di quel sorriso, la desolazione dei denti gialli che da anni non venivano mostrati, impietrò l'aria della stanza. Sommaire alzò un braccio, scostò dagli occhi un'inesistente ciocca di capelli, e farfugliò: "Ca...tano".
Scosse piano la testa e riprovò (si vide proprio che ci riprovava): "Ca...-pi...-ta...-no...".
L'avvocato non capiva. Ma Giona e Teo sì! Altroché!
Teo esclamò: "Capitano, ti vede! Ti conosce! Com’è possibile?"
Il Capitano non sapeva che pensare: lui, quella povera donna, proprio non l’aveva mai vista. Si girò verso Sommaire e disse:

Sì, è vero, sono il Capitano. Dove ci siamo conosciuti? Te lo ricordi? Pensa che sciocco, io l'ho dimenticato...

Il sorriso di Sommaire si bloccò. Due lacrime si allungarono sul gelo delle gote.
"Attento, Capitano." sussurrò Teo: “E’ delicata. Non farle domande, piuttosto tranquillizzala... Sono vent'anni che non parla..."


"Si può sapere chi sarebbe questo Capitano? Dov’è? Qui non c’è nessuno!" strillò l'avvocato: "E’ matto anche lei, Marlo? Vuole avere la grazia di farmi capire qualcosa, dannazione?!!".
"Zitto!" concitò Teo: "Non faccia confusione! Zitto!"

Sommaire, bella, sono felice di ritrovarti. Vieni qui...

Sommaire lentissima si mosse. Si fermò accanto all'attaccapanni di plastica (là difatti stava il Capitano). Sorrise ai ganci neri, alle polverose giacche di Teo che spenzolavano da secoli.
Si sforzò, e disse: "Ec...-co ... -mi ... qui".
Fece un sospiro. L’orribile, densa colonna di silenzio che conteneva il corpo di Sommaire sembrò aprirsi, sgretolarsi...
Da quei frantumi riaffacciandosi, la donna si girò, si guardò intorno, e disse: "Teo caro! Anche tu qui? Anche io sono qui, vero? Anch'io qui..."
"Sommaire: ma certo che sei qui..." disse Teo andandole incontro: "Come stai, uccellino?"
"Ah, mi ha salvata il Capitano..." sospirò lei, con un'ombra di civetteria: "Prima, credo, dovevo stare tutta ferma... Ferma e zitta, ferma e zitta, ferma e zitta... Però... non mi ricordo bene, Teo... Cosa è successo veramente?"
"Succede veramente" si intromise Potto: "che sta guarendo, cara la mia signora... Ottime cure, evidentemente! Ma così, per me, lei non vale più una cicca. Ecco quello che succede!"
"Se ne vada! Alzi i tacchi! Tolga il disturbo, mascalzone!" urlò Teo spingendolo fuori. "E non si faccia più vedere! Mai Più! Chiaro!? Muoia!!! Crepi!!!"
Chiuse la porta dietro l’ometto che sibilava, che ad ogni maligno movimento crepitava.
Sommaire non se ne accorse: parlava fitto all'aria piena di Capitano confidando segreti.







RICORDI, AGNIZIONI



"Vado giù a fare un po' di spesa, a casa non c’è niente" disse Teo a Sommaire: "Ti lascio col Capitano: stai qui buona...".
"Sì, sì, va bene..." sussurrò lei, che s'era seduta sulla sedia in corridoio: "va bene va bene va bene va bene va bene. Va bene?"
Il Capitano la calmava:

Tranquilla, Sommaire, è tutto sotto controllo. Ci sono qui io. Non ti lascio sola!

Fuori, il caldo continuava implacabile a condensarsi tra l'asfalto e il cielo bassissimo. Teo prese meccanicamente la strada verso il GAP. Mentre camminava curvo, i ricordi (quelli di cui non s'era mai voluto ricordare) gli affollavano la mente.
Di quando lui, giovanotto di vacue speranze (che affidava la sua incerta sicurezza alla collezione di oltre trecento papillon), aveva chiesto alla piccola Sommaire di sposarlo (lei l'aveva guardato negli occhi sussurrando "sicuro?").
Di quando i due fidanzati avevano girato per mesi mano nella mano, incollati, sicché poi a tutti e due era venuto un simmetrico eczema da contatto al palmo.
E di che deliziosa mogliettina fosse stata Sommaire nei primi mesi, il primo anno, quando disseminava di amorosi biglietti ogni angolo del monolocale, preparava sgonfi soufflé in stampi a forma di cuore, festeggiava i complimesi, riempiva i bicchieri dei puzzolenti fiori gialli di tarassaco, detti anche pisciacane, gli unici che crescessero nei giardinetti del quartiere...
Tutto sarebbe anche potuto andare, pensò Teo, se non fosse che lui altro non era che uno stupido: un vero coglione!
Così quando Sommaire, in un autunno di eterna pioggia, aveva cominciato a dare segni di malinconia, lui, l'idiota, si era offeso, aveva pensato che lei non lo amasse più di Vero Amore, aveva messo i bronci, fatto i dispetti.
Non aveva capito (neanche dalla postura, che di giorno in giorno si afflosciava, dal passo, che non aveva più centro) che Sommaire era sulla soglia di un mondo vuoto. Bastarono due mesi. Mentre lui, imbecille, badava a tenere il conto dei torti subìti, a Natale Sommaire era già caduta dentro Catatonia.

La cassiera del GAP (Grandi Acquisti Proletari), una donna dagli avambracci pelosi, scuoteva Teo per la manica: "Vuole decidersi a pagare? Non vede che razza di fila aspetta i suoi comodi?... Ma che, dorme?!".
Teo uscì dai ricordi. Pagò il luccio in scatola, le sardine e il tonno, la baguette all'aglio, il burro salato eccetra.

Chi fosse poco prima entrato di nascosto nell'appartamento di Teo, avrebbe visto una vecchia ridere e parlare da sola guardando un angolo del corridoio. Era lì infatti che s’era appoggiato il Capitano, intrattenendo Sommaire come se la conoscesse da sempre.
Lei sì che lo conosceva, invece, lo conosceva bene. Sapeva che aveva servito nella Marina Elvetica, ricordava avventure strabilianti, lo stuzzicava su amori di cui Giona era all’oscuro. Chiedeva notizie di una contorsionista, tale Ljudmilla, detta Ljuba, che il Capitano avrebbe fatto fuggire dalla Bielorussia chiusa in un valigione e mascherata da scarpe e calzini. Di un'altra tipa, l'esuberante Samantha, lanciatrice di coltelli. E della romantica Annie Lou, della spiritosa Rose Mary, della perfida Tessa...
Il Capitano di tutte queste storie non sapeva nulla. Eppure quei nomi gli parevano vagamente familiari: come se qualcuno, tanto tempo prima, glieli avesse già detti...

Quando Teo entrò in casa, il Capitano disse:

Fa piano, Teo! S'è appena addormentata...
Sembra che mi conosca davvero, sai... Mi ha raccontato delle storie... Di una certa Ljuba: che io l’avrei fatta fuggire dalla Bielorussia... Di un viaggio in India alla ricerca dello smeraldo maledetto... Poi di una guerra batteriologica in cui una tipa, Tessa, mi avrebbe incastrato per rubarmi un virus mortale...
Teo, ma perché questa roba mi sembra di averla già sentita?

Ah (pensò Teo) Sommaire ha letto gli altri romanzi, poverina...

Altri romanzi? Degli altri, dici? Ne hai scritti altri, Teo? Sempre con me dentro?

"Sì, carissimo amico mio" confessò Teo, stupito di non averne ancora parlato: "Quello che stiamo scrivendo è il sesto. Ce ne sono altri cinque, finiti e pubblicati. Un po’ di copie anche vendute. E tu sei sempre il protagonista."

Ah, Dio mio! Certo, dev'essere così...
Altri cinque romanzi!?... E come sono? Uguali a questo, ai Polli, prima che io ci mettessi le mani?

"Beh, più o meno, Giona: come vuoi che siano? Come li voleva von Z., come li sapevo fare io... Roba esotica, Giona, mi spiace..."

Maledizione!
Quanta fatica inutile!!
Il mio nome era già disonorato, cinque volte disonorato, oddio, prima ch'io nascessi...

Oddio, pensò anche Teo.
E disse: "Mi dispiace moltissimo, Giona: sono mortificato... Che ne sapevo che tu saresti venuto fuori?!...”

E ti pare una buona ragione?
In ogni caso, scrivendomi, dovevi fare del tuo meglio! E non buttarmi giù a cazzo, come viene viene…
Ah, così magari mi sarei risparmiato di nascere…

Mortificato, Teo strascicò verso la cucina. Distese il luccio, le sardine, il tonno sugli spaiati piattini rosa che adoperava quand'era lo sposo di Sommaire. Riesumò un portaburro a fiori, affettò la baguette e l'adagiò sul cestino che von Z. gli aveva regalato un Natale, pieno di noci. Rivestì la fòrmica arancione di una tovaglia a righe, badò a coprirne coi piatti sdruciture e buchi.
Si allontanò di due passi per verificare l'effetto. Non c'è malaccio, pensò mestamente.

Intanto Sommaire s'era svegliata: i sogni s'erano condensati e le avevano d'ogni parte sussurrato in coro: "Sveglia, c'è il tuo Capitano!".

Perché lei era, se ancora non si fosse capito, innamorata persa del Capitano. Cotta a puntino. Fin dal primo libro, trovato un giorno di quattro anni prima per terra, vicino alla porta dell'Economato.
Nonostante il titolo, Il Deserto dell'Amore, era stato proprio quel libro a salvarla dal deserto, dal luogo senza parole in cui sommaria si aggirava.
S'era subito invaghita di Quell'Uomo: Bello e Tormentato, Alto, Indecifrabile. Per pensare a Lui, le parole che da tanto tempo erano svanite dal mondo le erano fiorite nella mente come angeli. Non le pronunciava. Le succhiava in silenzio, in segreto. Come celestiali caramelle.
Poi, quando la portarono nell'altra casa, la Scuola, si fece furba. Riuscì a farsi assegnare le pulizie dei bagni: proprio lì accanto, oltre una porta, aveva localizzato lo scaffale dei libri. Individuò il ripiano giusto, e attese.
Perché sapeva con certezza (non domandatemi come, lo sapeva e basta) che Lui sarebbe tornato. Così appena arrivarono trafugò La notte delle Sirene, La Grande Fuga del Capitano, Ossa e Trucioli e l'appassionante Donna di Cuori, Fante di Picche.
Li divorò, li imparò a memoria. Ogni notte sognava il Capitano: insieme fecero viaggi straordinari, e lei era la regina dell’amore.
Per Sommaire il Capitano non era un personaggio, ma un uomo in carne ed ossa: anzi, l’unico uomo al mondo. Forse per questo non si era mai interessata al nome dell’autore, non lo aveva mai ricollegato a quel fantasma di marito che si era lasciata dietro le spalle, nell’altra vita.

Dal fondo del corridoio Sommaire pigolava: "Capitano! Dove sei? Eri qui, prima... mio Capitano!...".
Giona scivolò al suo fianco.
Teo disse: "Ti ho preparato un bel pranzetto, vieni!”.
Lo seguì docile, portata per mano. Sedette, si guardò intorno: forse riconobbe i piattini, forse il luccio le sorrise. Certo che sussurrò: "Sto proprio bene!".
Divorò tutto, si finì anche il burro, chino il capo sul piatto, senza mai sollevare gli occhi. Con metodo, usando mani e gomiti, ungendosi i capelli.

Poi chiese a Teo: "Il Capitano abita qui con te?".
Teo annuì, e Sommaire domandò: "Vi posso venire a trovare, qualche volta? E voi potete venirmi a trovare lì alla Scuola?".
Scuola? pensò Teo: ah, la Clinica. Chiese: "Come ci si sta alla Scuola, Sommaire? Ti trovi bene?".
Lei sorrise tra sé: "Sì, sì, sto bene. Si sta tranquilli... Certo, bisogna stare buoni e zitti, pulire... Essere bravi, fare quello che dice lui... Ma io sono furba..."
"Adesso devo proprio andare" aggiunse poi col tono di una bimba che giochi a fare la signora: "E' stato un gran bel pranzo, vi ringrazio".
Si alzò, lisciando le pieghe unte del vestito grigio.
"Ti accompagnamo noi, Sommaire. La sai la strada?", chiese Teo.
"Ma..." rispose, corrugando la fronte: "credo che bisogna solo andare dritti. Prima o poi ci si arriva, basta riconoscere la casa..."
"Certo, certo, carissima." la tranquillizzò Teo: "Adesso chiamo un taxi, così facciamo prima."

Il Capitano andò con loro. Sommaire non avrebbe sopportato di stargli lontana, lo voleva accanto fino all’ultimo. 

(13 - continua)

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
 

Nessun commento:

Posta un commento