sabato 7 dicembre 2013

Una "second life" per la parola scritta

Maria Teresa Carbone
A lungo gli esperti di scrittura digitale (ammesso e non concesso che si possa essere esperti in una materia tanto sfuggente) hanno affermato che i testi per il web devono essere brevi o brevissimi, possibilmente con le parole chiave evidenziate in neretto, per catturare l'attenzione del pubblico, massa di eterni ragazzini pronta a lasciarsi distrarre da un qualsiasi diversivo. E ancora oggi sono in tanti, da noi, a sostenere che chi scrive in Rete deve attenersi a una concisione estrema, pena la fuga dei lettori verso pagine (elettroniche) più facili e accoglienti. Come tante belle addormentate, però, questi esperti veri o presunti non si sono accorti che la lettura su schermo è entrata a far parte delle esperienze quotidiane di un pubblico più o meno alfabetizzato e che, com'era prevedibile, si stanno riproducendo per la “lettura digitale” le stesse dinamiche della lettura su carta: i lettori allenati saranno pronti ad affrontare testi lunghi e complessi sullo schermo del computer, del tablet, perfino dello smartphone, mentre chi non legge, beh... non legge. 
Se ne sono accorti invece, e naturalmente, dall'altra parte dell'Atlantico, dove i siti culturali di ultima generazione sembrano disegnare, per le caratteristiche dei materiali proposti e per il rapporto instaurato con gli utenti, una nuova mappa della Rete, all'interno della quale la parola scritta mantiene un ruolo centrale, senza sensi di inferiorità verso i contenuti audio e video. 

Il percorso non può che cominciare da uno degli spazi internettiani oggi più frequentati dagli amanti dei libri, anche fuori dagli Usa: Brain Pickings, nato nel 2006 come semplice email periodica, è il frutto di una sola mente, quella di Maria Popova, giovane bulgara trapiantata a Brooklyn, che ha saputo trasformare la sua passione per  la lettura in una impresa interessante e redditizia. L'idea di base è semplice: articolate segnalazioni di libri più o meno recenti, arricchite da link e da rimandi letterari. Ma ad avere fatto guadagnare alla Popova il seguito di decine di migliaia di lettori sono le sue scelte acuminate, che rivelano solide basi culturali, il suo stile personale e accattivante, il suo gusto per l'aspetto visivo dei volumi consigliati. Tanto che – e questo, sì, è insolito – nel  giro di poco tempo Brain Pickings è diventato uno spazio culturale di grande successo, anche economico. Ma la scoperta che il sito, inizialmente presentato da Popova come bisognoso di sostegno, le frutta invece ottimi introiti grazie ai clic verso Amazon, non ha intaccato l'affetto dei lettori che continuano a dimostrare la loro gratitudine con donazioni via Paypal e carte di credito. 
Se Brain Pickings è un one-woman show, The New Inquiry si presenta, già a partire dalla grafica della testata, come una rivista all'antica, anche se, ovviamente, esiste solo online. Mary Borkowski, Jennifer Bernstein e Rachel Rosenfelt, che l'hanno lanciata nel 2009, descrivono TNI (una associazione no profit, “non affiliata a partiti, università, enti locali o statali, istituzioni religiose”) come “uno spazio di discussione che aspira a arricchire la vita culturale e pubblica, mettendo tutte le risorse disponibili, digitali e materiali, nella promozione e nell'esplorazione di idee”. Dopo una incerta fase di limbo (nel 2011 Alex Williams definiva sul “New York Times” The New Inquiry  come una “Intellettuali Anonimi per membri disperati del sottobosco letterario, esclusi dall'establishment editoriale”), la rivista ha saputo attrarre collaboratori noti – tra gli altri, Teju Cole, autore del bel romanzo Città aperta – e a  ritagliarsi uno spazio nel panorama cultural-digitale americano, tanto che l'estate scorsa sul “New Yorker” Sasha Frere-Jones ha scritto: “The New Inquiry è una delle rare pubblicazioni che siano riuscite a diventare periodici culturali in grado di attirare lettori, ponendo importanti interrogativi teorici, senza ricadere nel ghetto dell'accademia”. Tutti i materiali (recensioni, interviste, la bella rassegna stampa “Sunday Reading”) sono gratis, ma la rivista può retribuire i collaboratori e permettersi uno staff di cinque persone grazie ai lettori, invitati a pagare due dollari al mese per un magazine che ripropone in pdf, suddivisi per temi, gli articoli del sito. 
Nata grazie al crowdfunding con una campagna di lancio l'anno scorso su Kickstarter che ha fruttato in un mese cinquantamila dollari, Narratively si propone di esplorare nuove forme di giornalismo “lento”: ogni settimana un tema diverso, raccontato giorno dopo giorno con articoli lunghi, video, reportage fotografici, fumetti. Al centro, una New York che si fa paradigma del mondo intero: Local stories, universally told  è una delle autodefinizioni di questo interessante oggetto ibrido, su cui sono già piovuti parecchi premi. In una intervista Noah Rosenberg, fondatore di Narratively, ha rilevato come  “senza dubbio negli ultimi anni ci sia stata una rinascita del giornalismo approfondito, di ampio respiro”. 
E di questo rinnovato long-form journalism l'esempio forse migliore è Matter, che punta su scienza, tecnologia, medicina e ambiente (“le idee che danno forma al nostro futuro”), proponendo un testo al mese, lungo e curato, in una veste grafica di grande sobrietà. Novantanove centesimi di dollaro è il costo dell'abbonamento mensile, necessario per accedere ai testi, ad eccezione del primo, Do No Harm, di Anil Ananthaswamy, eletto tra i migliori pezzi di giornalismo investigativo scientifico del 2012, che si legge gratis. Ma non è escluso che ci siano cambiamenti nel prossimo futuro di Matter, dato che questo “non sito, non rivista, non casa editrice” (così il testo di presentazione) è stato ora acquisito da Medium, altra impresa esemplificativa del web 3.0. Avviato da Ev Williams, cofondatore di Blogger e Twitter, Medium si descrive come “un nuovo luogo della Rete, dove la gente si scambia idee e storie più lunghe di 140 battute, non destinate solo agli amici... un mezzo che possono usare i giornalisti professionisti come i cuochi dilettanti” e che promette agli uni e agli altri di “trovare il pubblico giusto per quello che hanno da dire”. A chi desidera pubblicare i propri pezzi, Medium offre pagine bianche virtuali di facile utilizzo, un parere sull'editing prima della fase finale, algoritmi che aiuteranno i testi a scovare i lettori giusti. Ma soprattutto Medium sa individuare, nel mare degli articoli “postati” dagli utenti, i testi più curiosi e innovativi e li mette sapientemente in vetrina: in questo modo il sito guadagna in credibilità e aumenta ogni giorno la cerchia dei collaboratori/lettori, che includono firme note e giovani di talento.
Una manna per chi non si accontenta delle notizie in pillola, questo Medium come gli altri siti citati, e ancora tanti altri (Byliner, per esempio, con i suoi intelligenti ripescaggi di reportage degli anni scorsi, o il nuovissimo – è stato varato il 18 novembre – Deep Dish del celebre blogger gay conservatore Andrew Sullivan). Peccato che in Italia nessuno sembri avere voglia di seguire questi esempi, radicata come è da noi l'idea che “cultura” fa rima con “iattura” (economica). Cambierà?

Questo articolo è uscito il 22 novembre sul Bo, il magazine online dell'università di Padova, con il titolo Dal web la rivincita della scrittura

Nessun commento:

Posta un commento