venerdì 6 dicembre 2013

mvl teatro: Lo stupro di Lucrezia


Maria Cristina Reggio
Valter Malosti mette in scena al Vascello il poemetto di Shakespeare Lo stupro di Lucrezia,  pubblicato nel 1594, nel quale il poeta drammaturgo narrava in versi la violenza e il dolore di un abuso, antico e tragico come la storia dellʼumanità: una giovane e bella nobildonna dellʼantica Roma, Lucrezia, moglie di tal Collatino, viene fatta oggetto di uno stupro, compiuto da SestoTarquinio, figlio del re Tarquinio detto il Superbo,  dopo che il di lei marito, nei discorsi dopo  una cena, ne ha elogiato la bellezza e la castità.  In un palcoscenico pressoché buio, tre personaggi sono illuminati con poche improvvise luci di taglio che ne immobilizzano le pose. Uno è il lettore-narratore (lo stesso attore e regista Valter Malosti), che resta per tutto il tempo seduto davanti a una scrivania, mentre gli altri due, una donna (la brava Alice Spisa, appena diplomata alla scuola per attori tenuta dallo stesso Malosti al Teatro Stabile di Torino) e un giovane (lʼatletico Jacopo Squizzato, con lo stesso percorso di studi) si muovono nello spazio del palcoscenico, compiendo una cruda, anzi crudissima e cruenta azione teatrale: dopo pochi minuti dallʼinizio dello spettacolo, infatti, i due corpi nudi degli attori inscenano uno stupro che, nella reale nudità della loro carne esposta, imprime nello sguardo dello spettatore, pur avvezzo (o avvezza) alle nudità esibite attraverso molteplici media, una muta vergogna, un imbarazzo di voyeur, protetto dal buio della platea. Già, perché il nudo a teatro è ben altra cosa rispetto al cinema o alla tv, e soprattutto in un teatro come il Vascello, dove la platea non è innalzata sul palco mediante alcun dislivello.  
Qui non cʼè distanza tra attore e spettatore, e questʼultimo ha una visione dallʼalto, perspicua e molto ravvicinata.   Di solito, inoltre, nel teatro contemporaneo, la nudità non si associa allʼatto sessuale, ma, piuttosto, viene mostrata con un intento di "avanguardia", nel senso di andare oltre, oltrepassare la stessa nudità e lʼerotismo evocato. Diventa un atto, una rappresentazione nella rappresentazione, paradosso del mostrarsi senza abiti, senza protezioni, nudi senza identità sociale. Invece qui i due corpi si offrono allo sguardo discreto dello spettatore e, soprattutto, si direbbe, delle spettatrici, proprio per mostrar loro, apparentemente senza finzioni, lʼatto primario, i movimenti del coito che al cinema siamo abituati a vedere spesso con una musica di sottofondo.   In effetti il risultato è scabroso e molto realistico, ma vien da chiedersi quanto il teatro abbia bisogno di realtà pura e cruda, e quanto, piuttosto, non sarebbe preferibile un teatro che accolga e casomai ripensi il proprio statuto finzionale, declinandone le infinite possibilità.  Ciò che resta impresso nella memoria di questa trasposizione teatrale del poemetto shakespeariano, è lʼimmobilizzazione dei gesti, la resa "statuaria" quanto improvvisa della dinamica dei movimenti, ripetuti sempre uguali, e in taluni casi con un vero esercizio (che non vorrei chiamare effetto) di ralenti, con cui il bellissimo corpo di madreperla della giovane donna sfugge e viene agguantato dal suo predatore come una novella Proserpina ellenistica con il suo marmoreo Plutone: lampi accecanti di dolore in cui la tensione del corpo vero rincorre e sfiora la bellezza di quelli inventati da Bernini per Scipione Borghese allʼinizio del 1600, in un tempo non molto lontano da quello in cui scriveva Shakespeare.  Bellissima la voce del lettore-onnisciente Valter Malosti, mai descrittiva, sempre distaccata e sapiente, alterata talvolta, come pure quelle dei due attori, da effetti di riverbero e intrusioni di glitch e altri rumori. Rumori e suoni che trasportano il dramma in una quotidianità pop, che necessita di microfoni e altoparlanti per accentuare la sua aderenza al vissuto reale e contemporaneo, tanto vero da affiancare, agli attrezzi di scena, un vero, funzionante e tanto pop, frigidaire anni Cinquanta.  Oggetti e suoni ridondanti, rispetto alla puntualità e precisione della voce del lettore, delle parole del poeta e degli splendidi corpi degli attori.
Il poemetto Lo stupro di Lucrezia, nella  traduzione di Gilberto Sacerdoti, si può leggere online  nella pagina web Garzanti libri  dedicata allʼindirizzo http://www.garzantilibri.it/articoli_main.php?sezione=Percorsi%20di%20lettura&pag=1&CPID=11

2 commenti:

  1. Beati gli spettatori che godranno di quelle finzioni teatrali di cui parla l'autrice della recensione. In poche righe si rinvia a palcoscenici di meraviglie, sempre più rari, ricordando che al di là del quotidiano pop c'è l'altro mondo del teatro, le infinite possibilità dei "corpi inventati".

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  2. "Di solito, inoltre, nel teatro contemporaneo, la nudità non si associa allʼatto sessuale, ma, piuttosto, viene mostrata con un intento di "avanguardia", nel senso di andare oltre, oltrepassare la stessa nudità e lʼerotismo evocato. Diventa un atto, una rappresentazione nella rappresentazione, paradosso del mostrarsi senza abiti, senza protezioni, nudi senza identità sociale. Invece qui i due corpi si offrono allo sguardo discreto dello spettatore e, soprattutto, si direbbe, delle spettatrici, proprio per mostrar loro, apparentemente senza finzioni, lʼatto primario, i movimenti del coito che al cinema siamo abituati a vedere spesso con una musica di sottofondo. In effetti il risultato è scabroso e molto realistico, ma vien da chiedersi quanto il teatro abbia bisogno di realtà pura e cruda, e quanto, piuttosto, non sarebbe preferibile un teatro che accolga e casomai ripensi il proprio statuto finzionale, declinandone le infinite possibilità." Sono perfettamente d'accordo!!!

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