giovedì 25 luglio 2013

Calaciura, il papa e "noi"

Giosuè Calaciura, Urbi et orbi
Baldini Castoldi Dalai, pp. 159 

Brunella Diddi
"Ci perdemmo quando ci ordinarono sacerdoti. La mala pianta del dubbio, che come giardinieri avevamo potato a ogni nuovo germoglio nella rassicurazione di una semina più pregiata, aveva messo radici”: così si presenta l’io, o piuttosto il “noi” narrante di Urbi et Orbi, singolare libro a metà strada tra l’apologo surreale e il romanzo sul papa più popolare del ‘900.
Protagonista è l’ultima leva della curia vaticana: manager giovani e rampanti pronti a gestire l’”azienda” con metodi imprenditoriali, pronti persino ad accelerare o procrastinare la morte del papa a seconda delle esigenze pubblicitarie e della comunicazione. Arrivano in Vaticano quando Karol Wojtyla – mai nominato se non come il papa che porta il nome dei “due apostoli concatenati” – è già vecchio e malato e non esitano a intervenire sulla somministrazione delle sue pillole modificandone la terapia, così, “per divertimento”. Noi” esibisce il suo cinismo con allegra disinvoltura, dalle partitine a poker nelle celle e le cicche spente nelle cassette delle elemosine, all’assunzione di un figurante – un prete ricattabile – nel ruolo di un capo di stato in un finto incontro al vertice per tenersi buono il papa. Se pure incorre in qualche incidente di percorso, “noi” riesce sempre a farla franca, la punizione ben presto condonata grazie alla sua capacità di fingere e mentire.
Sull’altro versante del libro c’è lui, il papa che ha portato lo sconvolgimento in Vaticano fin dalla sua elezione, con le sue mani grosse da contadino, la sua mascolinità e un’aura di santità che si manifesta nella sconcertante interferenza sul conclave: tutte le schede tranne una – la sua – portano il suo nome anche se nessuno lo ha votato.
E’ un papa decisionista che preferisce il viaggio al galateo pontificio, che boccia i miracoli delle Madonne che piangono – “acquarello”, sancisce, assaggiandone una lacrima –, lui che, ormai vecchio, compie il miracolo di levitare con tutta la sedia a rotelle con la quale scorrazza nei corridoi del Vaticano.
E infine, ultimo evento miracolistico, un inspiegabile black out crea lo scenario apocalittico per l’estrema benedizione ai fedeli da San Pietro: un cinguettio in cui l’Ave Maria si confonde con le filastrocche dell’infanzia e il gesto liturgico traccia segni incomprensibili nell’aria.

Il papa dal nome “dei due apostoli concatenati “ esce di scena. Finisce il black out, si accendono tutte le luci in città, anche quelle di “noi”: Improvvise si accesero persino le nostre, lasciandoci per sempre accecati nel nostro peccato”.

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