mercoledì 1 maggio 2013

Storie di asini (e del cavallo di Nietzsche, del bufalo di Rosa Luxemburg e della vacca di Gadda)

L'asino Balthazar e Anne Wiazemsky
in Au hasard Balthazar
G. Luca Chiovelli
Nella Bibbia, nei bestiari medioevali, nella letteratura religiosa egizia e classica (Esopo, Apuleio) l’asino è sempre tratteggiato simbolicamente, metafora che rimanda a significati ultraterreni o morali; spesso con graziosi bisticci storici; se nei Vangeli Cristo entra in trionfo sul dorso del mite animale, la più antica raffigurazione della Passione (il graffito Palatino del III secolo d.C.) contempla un Gesù crocefisso con testa d’asino: sorta di fumetto nato per sfottere un convertito alla nuova religione dell’Impero.
Solo con la fine del Medioevo l’animale perde la sua aura simbolica per divenire semplicemente sé stesso: il destriero di Sancho Panza, nonostante le interpretazioni dotte, è quello che è, un asino, in evidente affinità col proprio cavaliere.
Le cose cambiano a metà Ottocento. Victor Hugo, già reazionario in gioventù, vide svaporare gli ideali romantici ed eroici nello sviluppo di una società sempre più secolare. Esiliatosi volontariamente, cercò di ritrovare le pulsioni giovanili in quella forma di romanticismo sfrenato che fu (ed è) il socialismo – un socialismo, beninteso, umanitario e populista, declinato secondo uno stile melodrammatico e patetico. Nel 1880 (ma la gestazione è anteriore) dedica all’asino l’omonimo poema (L’âne) in cui l’animale, Patience, traversa la storia sino a dialogare con Kant [1] cui oppone una filosofia di vita basata sul mistero e lo spiritualismo. Ancor più indicativo il celebre componimento Le crapaud (1856; tradotto da Giovanni Pascoli): alcuni monelli torturano un rospo e lo abbandonano sadicamente nel mezzo della strada sicuri che un carretto lo schiaccerà; ma l’asino, che conduce il biroccio, pur stremato dalla fatica, lo risparmia:

L’asino che era rientrato la sera, sovraccarico, distrutto,
Morente, e sentiva sanguinare i suoi poveri zoccoli consunti,
Aveva fatto qualche passo in più, aveva scartato e deviato
Per non schiacciare un rospo nel fango.
Quest’asino meschino, sudicio, straziato dai colpi di bastone,
Ha mostrato d’esser più nobile di Socrate e più grande di Platone”.

Gli animali sono visti nella loro sofferenza e l’asino, più umano degli umani, incarna uno spirito di solidarietà e sommesso stoicismo più alto dei padri della filosofia occidentale.
Sarà Giovanni Verga ad approfondire l’identità fra bestie e diseredati (e uomini) in due distinte novelle. In Rosso Malpelo (1878) il protagonista è così abbrutito dalla miseria da non riconoscere il proprio simile come fratello di sventura, sia esso un asino o l’unico amico Ranocchio:

Ma l’asino, povera bestia, sbilenco e macilento, sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col manico della zappa, e borbottava: ‘Così creperai più presto!’ … In quel tempo era crepato di stenti e di vecchiaia l’asino grigio; e il carrettiere era andato a buttarlo lontano nella sciara. ‘Così si fa’ brontolava Malpelo ‘gli arnesi che non servono più si buttano lontano’. … gli vedeva [a Ranocchio] il viso trafelato e l’occhio spento, preciso come quello dell’asino grigio allorché ansava rifinito sotto il carico nel salire la viottola, egli borbottava: “È meglio che tu crepi presto! Se devi soffrire a quel modo, è meglio che tu crepi!”.

Malpelo, come l’amico Ranocchio e l’asino grigio, sono accomunati da una vita di sofferenze il cui più benigno destino è morire (“Ora del grigio non rimanevano più che le ossa sgangherate, ed anche di Ranocchio sarebbe stato così”). L’asino di San Giuseppe (1881) è un racconto ancora più crudo poiché privo di qualsiasi empito favolistico: è l’odissea di un asinello che viene sfruttato di padrone in padrone fino a morire per la fatica e le percosse; Verga annota scrupolosamente le varie compravendite in cui il prezzo dell’animale (e lo status sociale dei compratori) decrescono proporzionalmente all’utilità della bestia, sempre più consunta dalla fatica; alla fine l'ultima padrona, povera tra i poveri, con un figlio malato, lo farà schiattare sotto un carico pesantissimo: l'asino morto e, quindi, senza valore pecuniario, verrà liquidato da un carrettiere con una pedata. Se, fra miserabili, ogni umanità è bandita (“Siamo carne d’asino!” dirà ‘Ntoni Malavoglia), è proprio l’animale ad assumere su di sé il dolore di un’esistenza misurata utilitaristicamente e gestita dalle dinamiche della pura sopravvivenza:

“[l'asino]… lasciava cascare il muso e le orecchie ciondoloni … coll’occhio spento, quasi fosse stanco di guardare quella vasta campagna bianca la quale fumava qua e là della polvere delle aie, e pareva non fosse fatta per altro che per lasciar morire di sete e far trottare sui covoni”.

Nel 1883 Guy de Maupassant scrive la novella L’asino; due balordi, Maillochon e Labouise (detto Chicot), bracconieri ed imbroglioni, torturano l’animale per puro divertimento, insensatamente: qui il somaro è davvero un povero Cristo che soffre l’ingiustizia degli uomini, ora visti come esseri bestiali in una definitiva inversione dei ruoli:

Il piombo minuto crivellò le lunghe orecchie del somarello … I due uomini si torcevano dal ridere, curvi, battendo il piede … Labouise mirò e fece fuoco. L’asino ricevette la scarica nelle cosce, ma i pallini erano così piccoli … ch’esso credette certamente d’essere pinzato dai tafani … Maillochon, mirando dove aveva già sparato il compagno tirò nuovamente. Questa volta la bestia fece un sobbalzo, cercò di scalciare, voltò la testa: finalmente scorreva un po’ di sangue! L’animale … doveva soffrire assai poiché si mise a fuggire sull’argine con un piccolo galoppo stanco, zoppicante e tutto a scatti … allo stremo delle forze s’era fermato, e guardava con occhio smarrito avvicinarsi i suoi carnefici … Quando il ciuco ebbe finito il suo lagno pietoso – un’invocazione d’aiuto, quasi un ultimo grido d’impotenza - … Chicot ficcò in fondo alle fauci la canna del fucile come se avesse voluto fargli bere una pozione … premette sul grilletto. L’asino rinculò di tre passi, cadde sul deretano e finalmente s’abbatté sul fianco chiudendo gli occhi. Tutto il suo vecchio corpo spelacchiato palpitava: le gambe si agitavano come se avessero voluto correre. Un fiotto di sangue colava tra i denti. Presto non si mosse più: era morto”.

Nel 1932 il regista Luis Buñuel licenzia Las Hurdes, cortometraggio che registra con rigore scientifico le miserabili ed inumane condizioni di vita delle popolazioni dell’Estremadura; anche qui le sofferenze degli animali sono le sofferenze degli umili e degli indifesi: la morte dell’asino, ucciso da un furioso sciame d’api, e la morte della bambina (ancor più terribile, poiché avviene fuori campo e viene riferita come glaciale annotazione) identificano una sofferenza universale che lega tutti gli esseri viventi.
Nel 1966 Robert Bresson va ancora oltre: in Au hasard Balthazar, riprendendo gli spunti di Verga ne L’asino di San Giuseppe, resoconta freddamente le angherie subite dall'asino Balthazar da parte dei vari rappresentanti di un’umanità meschina (un delinquente, un alcolizzato, il proprietario di un circo); colpita a morte e sanguinante, la bestia si trascinerà fra un gregge di pecore lasciandosi morire come un Cristo indifeso (chiudendo il cerchio col Graffito Palatino di cui sopra).
Ancora animali: un cavallo, un bufalo, una vacca.
Sei anni dopo Maupassant, a Torino, il 3 Gennaio 1889, un altro sifilitico che morirà pazzo, Friedrich Nietzsche, abbraccerà piangente un cavallo frustato a sangue da un cocchiere esclamando “Non picchiare mio fratello!”.
A metà Dicembre 1917, Rosa Luxemburg, che sarà assassinata due anni dopo, scrive dal carcere di Breslavia una commossa lettera a Sonja Liebknecht:

Ah, Sonička, qui ho provato un dolore … acuto: nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri militari … Poco tempo fa è arrivato uno di questi carri, e invece dei cavalli vi erano attaccati dei bufali … Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, cominciò a picchiare gli animali col pesante manico della frusta … con violenza, uno di essi sanguinava … Sonička, la pelle dei bufali è proverbialmente spessa e resistente, ma questa si era lacerata. Mentre scaricavano, le bestie, sfinite, stavano quiete e una, quella che sanguinava, guardava fisso davanti a sé, con l’espressione, sul muso nero e nei dolci occhi neri, di un bimbo in lacrime. Era veramente l’espressione di un bambino, che è stato duramente punito, ma non ne capisce il motivo e lo scopo e non sa come sfuggire al male e alla cruda violenza … Io ero lì, l’animale mi guardava, le lacrime mi scorrevano sul volto – erano le sue lacrime, non si può singhiozzare con maggior dolore per un fratello amato di quanto singhiozzassi io, impotente di fronte a quella silenziosa sofferenza [2]”.

Nel 1939 un inaspettato Carlo Emilio Gadda, in Una mattinata ai macelli, descrive la sorte dei bovini destinati alla mattanza:

“ … qualche animale appoggia la fronte a una barra (bavando una sua schiuma dalla bocca, a fiocchi) quasi per raggelare al contatto del ferro, dopo la scombussolata notte, il tumulto doloroso del proprio sangue. Qualche altro ha un corno mezzo divelto, e ne sanguina: il caglio scarlatto gli si è raggrumato giù per il muso, l’occhio immalinconito sembra dimandarne la cagione alle cose, al mondo”.

Il nostro cielo, spopolato di dei, è fitto di stelle fredde, confitte in un cosmo infinito ed incomprensibile. Rimasti soli non possiamo che stringerci ai nostri compagni più prossimi, gli animali. Questo è un movimento lento, ma irresistibile del sentire umano, acceleratosi negli ultimi 150 anni. Questi, insomma, come i poveri, i bambini, gli estranei e gli ultimi, hanno emozioni ed anima e in loro vige integro quello spirito universale, comune a tutti i viventi, che fu negato per millenni.
Cosa impedisce che tale rivelazione (anticipata da menti eccelse, come si è visto) sia accettata immediatamente? Forse la mancanza della parola.

Se in un mattatoio un animale ci gridasse: ‘Vi prego, non uccidetemi!’. Se un cacciatore, guardando negli occhi un cervo, si sentisse improvvisamente dire da lui: ‘Voglio vivere, ti prego, non uccidermi, i miei figli hanno bisogno di me! Il cacciatore premerebbe il grilletto? O se un gatto, in un laboratorio, gridasse: ‘Ti prego, non torturarmi!’ Lo scienziato potrebbe continuare? [3]’”

Un animale che grida il proprio no di fronte alla morte risolverebbe la questione per sempre.
A proposito basta citare il finale del bellissimo racconto di Leopoldo Lugones, Yzur. Un uomo cerca di insegnare ad una scimmia i rudimenti del linguaggio; egli compulsa le pubblicazioni più varie; studia; i tentativi sono molteplici, ma destinati a fallire. Passano gli anni finché una notte l’animale, Yzur, sta per morire:

Mi svegliai di soprassalto. Questa volta la scimmia, con gli occhi spalancati, moriva definitivamente, e la sua espressione era così umana che mi fece orrore; ma la sua mano, i suoi occhi, mi attiravano così eloquentemente verso di lui, che dovetti chinarmi subito verso il suo volto; e allora, con il suo ultimo respiro, l’ultimo respiro che coronava e nel contempo faceva svanire le mie speranze, sgorgarono – ne sono certo – sgorgarono in un mormorio (come descrivere il tono di una voce rimasta senza parlare per diecimila secoli?) queste parole la cui umanità riconciliava le specie: ‘Padrone, acqua. Padrone, padrone mio …’”

Victor Hugo, Poesie, Mondadori, 2002
Giovanni Verga, Tutte le novelle, Mondadori, 1981
Guy de Maupassant, Racconti e novelle, Einaudi, 1968
Massimo Fini, Nietzsche. L’apolide dell’esistenza, Marsilio, 2002
Carlo Emilio Gadda, Le meraviglie d’Italia, Einaudi, 1964
Karl Kraus, Elogio della vita a rovescio, Studio Tesi, 1988 (contiene la lettera di Rosa Luxemburg)
Jeffrey Moussaieff  Masson-Susan McCarthy, Quando gli elefanti piangono, Mondadori, 1998
Leopoldo Lugones, Le forze strane, Lucarini, 1989
Luis Buňuel, Un chien andalou/Las Hurdes, Rarovideo, 2009
Robert Bresson, Au hasard Balthazar, San Paolo Audiovisivi, 2004, 2006



Il graffito Palatino




[1] Sarà però Kant a dire: “Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali”.
[2] Karl Kraus pubblicherà la lettera su "Die Fackel" nel Luglio 1920.
[3] Jeffrey Moussaieff  Masson-Susan McCarthy, Quando gli elefanti piangono, Mondadori, 1998

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