domenica 26 maggio 2013

Bookshow: ma nei programmi sui libri, i libri dove sono?


Maria Teresa Carbone
Di fronte a Bookshow, il nuovo programma in onda su Sky Arte HD, si prova (a dir poco) imbarazzo. Non siamo forse d'accordo che tutto quello che si fa per promuovere la lettura è bello e buono? e che una nuova trasmissione televisiva sui libri è un avvenimento così raro da meritare solo lodi e applausi? Ebbene no, a malincuore, non siamo d'accordo. E come a suo tempo per la campagna governativa Leggere è il cibo della mente - Passaparola (costata, si dice, due milioni di euro), i ventitré minuti della prima puntata di Bookshow appaiono un'occasione sprecata, a dispetto delle risorse evidentemente profuse nell'impresa.
Due parole per spiegare come funziona il programma: ogni volta c'è un attore-lettore o una attrice-lettrice (nella prima puntata Carolina Crescentini), che guida gli spettatori in un percorso tra i suoi libri preferiti; c'è una città, in questo caso una Roma che ha una pura funzione di décor (ehi, abbiamo l'alta definizione e non la sfruttiamo? via con Trinità dei Monti e Trastevere!); c'è una serie di intermezzi di tono “leggero”, o addirittura comico; e c'è infine una voce off maschile, presa di peso dalla pubblicità, che emette sentenze del tipo: “Pasolini diceva che per diventare poeta ci vuole una vita. Invece, per diventare lettori, basta un attimo”.
Ora. al di là del fatto – non irrilevante in questa prima puntata – che Carolina Crescentini, per dimostrare il proprio amore per la lettura, emette rochi risolini, sbatte le ciglia e allunga le vocali in quella che deve essere la sua parola preferita, “speciale”, anzi “spesciaaale”, tanto che ci si chiede se la sua passione per Open di Agassi o per i libri di Francesco Piccolo sia sincera, dal momento che ha bisogno di tutta questa segnaletica facciale e sonora, il problema sta proprio qui: che il programma sembra fatto per rassicurare il pubblico che gli italiani anzi “i romani sono grandi lettori perché metà di loro legge almeno un libro l'anno” (sorprendente rovesciamento di una statistica spesso citata per mostrare quanto scarsa sia, nel nostro paese, la pratica della lettura), che leggere è l'attività più facile del mondo e che i libri non sono quei mattoni che vi hanno fatto studiare a scuola e vi siete dimenticati (indovinate un po'? si parla dei Promessi sposi!), ma cose che “si buttano giù come un bicchiere di birra” (la frase, più o meno testuale, la dice, senza neanche arrossire, un libraio).

Insomma, se non si sapesse che a produrre Bookshow è Minimum Fax media, costola spettacolare di una casa editrice che nei suoi quasi vent'anni ha pubblicato centinaia di testi interessanti e che dunque con la parola scritta ha una lunga consuetudine, verrebbe da pensare che in fondo gli autori del programma condividano con tanti dirigenti Rai e Mediaset l'idea che i libri (in tv e forse non solo in tv) sono terribilmente noiosi e l'unico modo per rifilarli al pubblico ignaro è infiocchettarli ben bene. Sospetto avvalorato da una dichiarazione di Marica Stocchi, autrice, con Daniele Di Gennaro, Mattia Cianflone e Donato Dallavalle, di Book show: “La nostra è una trasmissione molto raccontata, per tenere alta l'attenzione del pubblico abbiamo puntato tutto sull'estetica dell'immagine”. 
Niente di male, ovviamente, ma un programma in cui si parli di libri, pensando che i libri sono interessanti, quando si farà?

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