venerdì 24 maggio 2013

Saffo, le acrobazie dell'amore totale

Patrizia Vincenzoni
In Fuochi di Marguerite Yourcenar, opera che racchiude una serie di prose liriche, l'amore è l'elemento che percorre i testi, amore  totale, pervasivo che s'impone quasi fosse una malattia e allo stesso tempo, una vocazione.
L'amore non  inteso come centro della vita, almeno non in modo continuo, ma l'abisso o l'apice: questa alternanza di stati nei quali  è possibile  percepire che la vita contiene anche una certa inconsistenza, impalpabile quasi fosse un sogno.
Saffo o il volo dell'acrobata, ispirato a Fuochi,  con Manuela Kustermann, regia di Massimo Verdastro, una produzione di TSI La Fabbrica dell'Attore Teatro Vascello, in scena nei giorni scorsi al Vascello, costituisce un significativo estratto di queste indicazioni dell'autrice.   Laddove le parole sono veicoli verbali caricati di senso, quasi a concretizzare il sentimento, producendo quell'espressionismo barocco che è  il registro timbrico e sintattico del testo originale, la scena presenta un'essenzialita e una laterale trasparenza che aiutano  il gioco delle sovrapposizioni temporali nelle quali il personaggio Saffo si muove e racconta del bisogno di essere aderente all'illusione dell'amore-idolatria dell'essere amato.  Vediamo inizialmente  Saffo  in uno spazio scenico nel quale vive la dimensione propria di un acrobata di circo, quale è: dentro un cerchio  il suo corpo esprime  la possibilità di essere sospesa fra cielo e terra, sospensione che si fa indefinitezza come l'ombra del cerchio vuoto di lei proiettato sullo sfondo.
Il monologo in terza persona la interroga verso il suo errare fra i personaggi che assume: l'atleta che sfida il pericolo e la donna, anche se, drappeggiata in lunghe vestaglie che le restituiscono le ali, si può pensare che si tratti di un travestimento.  In Fuochi  una sovraimpressione tematica modernizza i miti del passato e ritroviamo nella Saffo interpretata dalla Kustermann quell'aggirarsi dolente ed esausto fra le acrobazie dell'amore totale e la passione, il patire, direttrici attuali attraverso le quali si snodano i suoi ricordi, riflessioni, ossessioni, la sua adorazione amara e rassegnata nelle compagne e in  Attide per quello che non è stata.   
Il monologo nelle fasi conclusive sembra fare posto a una presenza femminile che, spogliatasi anche in senso letterale, delle vesti del personaggio che è stato sino ad allora, si ri-veste di abiti che la precipitano nei panni di una donna contemporanea, abbigliata  "da un tailleur pantalone,  distaccata nel prendere la parola e nel concludere il racconto dell'"inutile suicida" che, non avendo realizzato la propria vita, corre anche il rischio di fallire il suicidio. Questa donna che appare sicura di sé e quasi infastidita e distaccata nel dire dell'aspirazione, fallita, ad esistere di Saffo,  sembra sostituire  l'andare illusorio verso  la ricerca dell'amore  totalizzante  con un modello di donna contemporanea, dove la femminilità appare ancora una volta relegata in codici culturali che ne sacrificano le possibilità di espressione e di affermazione più  ampie e creative di sé.

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