mercoledì 3 luglio 2013

MVL Cinema: "Il caso Kerenes", Edipo in Romania

Patrizia Vincenzoni
Il caso Kerenes del regista rumeno Calin Peter Netzer, vincitore dell'Orso d'Oro 2013 al Festival  di Berlino, è un film ambientato in Romania, che mette in scena  un intenso dramma edipico collegandolo ad aspetti di interesse sociologico. Siamo a Bucarest e lo sguardo di Netzer è rivolto verso la classe alto-borghese rumena degli anni duemila, erede di quel potere arrogante e spregiudicato che la dittatura di Ceausescu ha incarnato. Il regista osserva i suoi personaggi senza mediazioni e in tal senso è funzionale la mobilità  delle riprese grazie alla camera a spalla che sembra pedinare e scrutare attentamente le figure raccontate nel film. 
Il  titolo originale  A child's pose è - come purtroppo molto spesso accade - più appropriato e incisivo rispetto a quello dato alla pellicola in Italia, un po' troppo "poliziesco". L'altro, invece, corrisponde molto meglio al racconto e ai diversi piani di lettura che evoca.  "La posizione del bambino"  nel referto della polizia sta ad indicare la posizione del corpo ritrovato, ma può significare anche la posizione del feto intesa nel voler trattenere  dentro di sé qualcuno.
Un tragico evento è la finestra temporale che dà un'accelerazione improvvisa e drammatica alle vite dei personaggi borghesi ritratti da Netzer:  un incidente d'auto mortale,  provocato da  Barbu, un trentaquattrenne tratteggiato come  insicuro, fobico, non abituato a essere responsabilizzato.  Veniamo a sapere che da poco tempo è andato a vivere per proprio conto con una donna non corrispondente agli standard (impossibili, in questi casi) di un genitore, Cornelia, architetta e scenografa, che riassume su di sé il potere acefalo e dittatoriale di una madre simbiotica e castrante.   Il padre, chirurgo, occupa in famiglia una posizione e un ruolo marginale, depotenziato delle sue funzioni paterne anche in virtù dei suoi atteggiamenti deleganti.  La  preoccupazione delle conseguenze giudiziarie nei confronti del figlio è l'unica reazione della madre e dei familiari di fronte alla tragedia della morte di un quattordicenne: la pianificazione e l'organizzazione dei modi per evitare ogni riconoscimento di responsabilità è resa in tutta la sua crudezza emotiva, palesando una determinazione che non conosce ostacoli, neanche istituzionali. E' la corruzione materiale e morale  vista nei dettagli, ma nel pieno della sua possibilità di silenziare chi reclama il diritto e il dovere di applicare le regole, e di contagiare facilmente chi entra nella logica  perversa e immorale dello scambio.   
Il dramma scorre parallelo  anche nel rapporto cosi apertamente problematico fra madre e figlio.  I tentativi non riusciti di svincolarsi e rendersi autonomo che  Barbu ha cercato nel tempo di attuare, così come i conflitti interiori ancora irrisolti, sono ritratti (e proposti nel loro significato metaforico) anche attraverso gli atteggiamenti ansiosi e inibiti con i quali affronta gli accadimenti insieme alle paure  e alle contromisure per evitare possibili contagi provenienti dall'ambiente. Questo suo modo timoroso e insicuro di entrare in contatto con la realtà è speculare, nel film, all'invadenza manipolatrice della madre che sembra quasi voler 'reinfetare' il figlio nel suo grembo.  Il grande talento e  la profonda espressività  dell'attrice Luminita Gheorghiu  (la madre) mostrano efficacemente emozioni e stati d'animo che attraversano il suo controverso  personaggio, fino a raggiungere l'apice nella scena struggente del film che lo conclude, lasciando un finale aperto che ci interroga senza dare indicazioni precise su  un  eventuale radicale  cambiamento intercorso nelle esistenze dei personaggi, da un punto in poi.

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