lunedì 5 agosto 2013

Parola di capitano / 5


Nelle puntate precedenti: Il Capitano Giona Missing, involontario eroe dei romanzi da strapazzo Teo Marlo, si riscuote e sogna un destino migliore.




Franca Rovigatti

RISVEGLI COMPLICATI
Il telefono squillò, distruggendo d’un colpo l'ultimo cantuccio del giardino sognato da Teo, onirica zattera sulla cui superficie ancora cercavano di salvarsi i cagnolini e i cuccioli di gatto.
Squillò di nuovo.
Teo si arrese. Gli occhi appannati registrarono l'ora sul quadrante della sveglia: oddio, Le Dieci E Mezza! Realizzò subito che avrebbe dovuto essere attivo almeno da tre ore, e cercò di modulare come se fosse voce la pappa che aveva in gola.
"Pronto?" chiese.
"Dormivi, Marlo, maledizione?!" ruggì von Zeitmerde: "E quando pensi di finirla la tua cagata, stavolta? Ti sei scordato che il turno dal tipografo è tra quindici giorni? Sei ancora all’inizio dell’ottavo capitolo, coglione?".
"Dormire? Ma che dice, dottore? Sono già stato in biblioteca, stamattina!" mentì Teo: "Sa, dovevo controllare qualche toponimo... "
"Alla Cascàmi sei stato, come al solito, idiota! Sono anni che ti dico di cambiare biblioteca: le notizie che trovi lì sono vecchie come il cucco! Ti ricordi quando, nello spedire quell’anima meritoria del Capitano in navigazione sul fiume Congo, come se niente fosse hai scomodato il Congo Belga, che non esiste più da secoli? E allora il critico della 'Gazzetta', che mai s'era degnato di recensire un tuo libro, ci fa su una stroncatura coi fiocchi... Come l'aveva intitolata? Il Ciuchino in Congo Belga, mi pare... Te lo ricordi, idiota?".
Quella era stata pesante, altroché. Ce l’aveva ben presente, Teo. Anche perché von Z. non perdeva occasione di ricordargliela.
Impapocchiò con la voce di chi mente male: "Ma se è una vita che ci non vado, alla Cascàmi! Alla Centrale, sono stato, alla Centrale! L’ho quasi finito, l’ottavo… Sto sviluppando un’idea straordinaria! Le dico solo che Giona ora è a Jakarta... Comunque, dottore, non può continuare a trattarmi in questo modo! Non può! Ho anch’io la mia dignità! Dopotutto, sono pur sempre un suo autore...".
"Ah ah ah!" rantolò l'editore: "Certo! Il mio autore preferito! Per quanto ancora, Teo? Lo sai o no quanto mi costi, brocco?".
(Pausa orribile al telefono. In cui quasi si poté udire il fruscio dei pensieri di Teo...)
"Bando alle ciance, idiota!" concluse von Z.: "Stasera alle sette ti voglio nel mio ufficio con almeno dieci capitoli belli cotti a puntino. Chiaro?".
E riattaccò.

Oddio, oddio. ODDIO, pensò Teo.
A ritmo accelerato, come in un’antica comica, si buttò in bagno. Scontratosi con la dura realtà del rubinetto che perdeva, scivolò sul sapone, fu respinto dall'alito di fuoco che stanziava in studio, si slanciò in cucina, dove atterrò al tavolo. Acchiappò il blocco dei fogli.


In cucina lo attendeva lo spirito del Capitano. Che, nel corso della telefonata, aveva dato due tre tocchi anche all’ottavo capitolo. Procedendo con la jeep nella giungla, aveva stabilito con Leyla McMore un rapporto di amicizia che escludeva ogni sottinteso amoroso. Tanto perché Teo non si facesse illusioni.
Ma Teo, pressato com'era, non rilesse neanche una parola, e, come un forzato, proseguì la fatica.
In pochissimo tempo, la scritturina riempì altre tre pagine. Il Capitano lo lasciò fare. Ora era in ditta anche lui, le sciocchezze di Teo non lo preoccupavano più di tanto.
Certo, anche stavolta gli era toccato prodursi in prestazioni fuori dal comune. Per esempio, copulare con Leyla tra i rami di una mangrovia, far fuori un maschio di scimmia, stritolare un enorme serpente, cantare un’antica serenata normanna accompagnandosi sull’ukulele. La normale spazzatura di Teo, si consolò Giona, correggeremo poi, riscriveremo...
Non faceva i conti, però, con la fretta che era stata messa allo sventurato. Fretta che gli faceva riempire i fogli senza più pensare. Ahimé, ahimé, gemeva l'anima a Teo, mentre infilava una parola dietro l'altra.

Il Capitano, indossata una maculata tuta mimetica, scopre, al centro di una radura, un’enorme fabbrica, alle cui leve e pistoni si affollano macilenti indigeni. E’ lo stabilimento dove Gay EvenMe inscatola la carne antartica che eccede gli ordinativi di surgelato. Il capo del villaggio, un indigeno altissimo col viso dipinto a scacchi, in cambio di perline e specchietti intavola con Giona un’amichevole conversazione e gli rivela che, quando un operaio muore per gli stenti, il suo cadavere viene gettato dai compagni nei bollitori. Qualche volta, stufi di aspettare una morte troppo lenta, i caposquadra li buttano dentro ancora agonizzanti...

E così, annotava Teo (che s'era definitivamente bevuto il cervello): ‘il sapore di pinguino viene corretto col dolce gusto della carne umana’...

Giona (nella giungla, in cucina) si sentì male. Boccheggiando, gridò:

Teo! TEO!!! Basta!! Fermati, idiota! Questo è troppo!!

Oddio, pensò Teo: ancora il mal di testa di ieri. Gli stessi rumori. Dovrò andare dal medico. Il dolore cresceva. Il suo nome, urlato come da lontanissimo paese, gli batteva alle tempie. Oddio, pensò ancora, oggi non posso proprio stare male, devo sbattere giù due capitoli...

Teo, se mi ascolti, forse ti posso aiutare... TEO, IO SONO IL CAPITANO!...

"Aaaaah, misericordia! AIUTO!" urlò Marlo, in preda al terrore: "Che sono queste voci?... Sto impazzendo!".
Il dolore diventò lancinante. Teo, in mutande com'era, svenne.
 

IL BUCO DELLE STORIE
S’era sciolto a terra come un semolino. Giona lo guardò. Tanto fragile creatura, pensò. E dire che da lui io vengo, pensò. Se lui non mi avesse scritto, io non ci sarei... Un tapino! Il senso di pena gli avvolse la mente. Misero schiavo, pensò: e di chi poi?

...di quell'animale di von Zeitmerde: che non vede al di là del proprio volgarissimo stomaco!

(Pur senza conoscerlo, il Capitano ci aveva preso, su von Z. Salvo che per Woodroow non tanto di stomaco si trattava, quanto di bocca. Zeitmerde era un divoratore, addentatore, digrignatore, stritolatore. La sua cieca vita era dominata dall'istinto masticatorio. La sua bocca, agli angoli, perdeva sempre un filino di bava. Ogni campagna editoriale era concepita con aggressività orale: incorporazioni di stampatori di paese, morsi alla coda ai grandi editori nazionali, tentativi di sbranamento, spappolamento, delle amate-odiate classifiche. Di giorno, progettava di diffondere le sue edizioni nei fast food della nazione. Di notte, sognava denti e mascelle: il loro regolare apri-chiudi lo cullava. Era un pescecane, un cane mastino. Non aveva mai vomitato in vita sua.)

Povero Teo! Che poi, dopo tutto, non avrebbe neanche delle idee malvage. Certo, è confuso, ma di fantasia ne ha, ne ha fin troppa!...
Ah!... Ma io DAVVERO potrei aiutarlo... Diavolo, che idea!...

Un'altra bellissima pensata gli si era presentata alla mente.
Veramente poteva fare qualcosa anche per Teo! Riscrivere i capitoli significava non solo riscattare la vita del Capitano, ma anche metter giù un libro decente... Forse non un capolavoro, ma un libro decente, sì. E chi ne sarebbe stato l’autore? Teo Marlo!
Vedrai, stronzo di un editore, Teo avrà buone offerte!... Diventerà noto! E tu ti mangerai le mani su su fino al gomito!

Estasiato, si mise a lavorare per sé e anche per il suo padrone. Attaccò dall’ottavo, spazzò via sesso e mangrovie, king kong, dichiarazione d'amore, eccetra. Di quelle scene lasciò come un'eco, l'ombra delle fantasie di Leyla e Giona, soli come bambini sperduti nell'immensità del bosco, che nel buio vedono mostri, e per farsi coraggio si raccontano favole. Il capo del villaggio diventa un vecchio sciamano, conosce le storie dall’inizio dei tempi, sa tutto sul dolore e sulla morte: lui stesso è morto, dice, già sei volte... Il nono capitolo inizia con la visione della Fabbrica. Le ciminiere emettono un puzzo nauseabondo, bucano la foresta…

Il Capitano si ferma. Il Capitano è nei guai. Del nono capitolo, Teo ha scritto solo poche righe. Non c’è più niente da correggere, Capitano, ora tocca inventare! Ma dove si va per inventare? Aiuto! Si può andare dappertutto! Chi le dà, le istruzioni? Dov’è la bussola? Quale la rotta?
Il Capitano aveva di fronte l’immenso, bianco, vuoto orizzonte delle molteplici possibilità. Senza contesti. Era disorientato, paralizzato.
Pensò: ma come fa Teo? Da qualche parte le prenderà pure, le sue storie! Così gli venne spontaneo accostarsi allo svenuto: si rincantucciò sul suo petto, ponendosi in ascolto.

Che fragore! Per prima Giona sentì la paura: che batte, fischia, rimbomba, va veloce col battito cardiaco, si arrampica su in gola ad accorciare il respiro. Poi, sotto quello strepito, gli arrivò, lontano, il frastuono dei sogni profondi, che sognano il corpo anche quando non si sogna, percorrono sinapsi e cellule, frammenti di dimenticanza, brandelli da una memoria separata. Sogni senza voce, la cui anima è il corpo. Pesanti, senz'aria. Per il Capitano, che era quanto di meno corporeo esista, fu un'esperienza durissima. La materia era indistinta, melmosa e insopportabilmente calda. Ma risuonava. Giona sentì gli accordi viaggiare ritmicamente sul filo di un tracciato con cime, avvallamenti e improvvise voragini. Stava da cani, ma sopportò il calore, tollerò le folate di puzzo.
Fece bene, perché, quando ormai disperava, l’orecchio cominciò a distinguere sospiri, parole, pigolii di benessere, il pianto. Era un'immensa sinfonia, Teo svenuto, che risuonava da buche e da rilievi. Una vasta landa piena di ogni ben di dio.
Esplorando, Giona era giunto alla matrice della fantasia. Che non è, come spesso si crede, come forse avrete finora pensato, cosa aerea e volatile, nefèle.
Nossignori.
La fantasia
fondasi into il corpo
si àncora alla circolazione
gira tortuosa, assieme al bolo e all'aria
nelle complesse volute all'intestino
cresce con unghie, coi denti e coi capelli.
La fantasia
circola lungo le vie linfatiche
il fegato è sua sede, milza, reni.
La fantasia si stende dentro il pancreas
e se soffre, produce grandi calcoli...

In fondo a quel luogo incandescente, Giona trovò il buco delle storie. Buco fondo, nero, bollente. Gli si dipanavano in mano, le storie, come gomitoli, come serpi: guizzavano, svanivano, rinascevano. Erano colorate, piene di sorprese, gioiose, tragiche. Aprivano parentesi, passavano dal presente al passato, mostravano il cielo...
Era troppo caldo. Impossibile resistere. Il Capitano stava per svenire anche lui. Perciò staccò il suo cuore dallo svenuto.
Uscì, tornò in cucina. Il confronto lo lasciò senza respiro. Tra quei mobili di formica arancione tutto pareva morto, disseccato.

(5 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

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