sabato 23 novembre 2013

Aspettando i barbari: al Vascello le poesie di Kavafis

Kavafis e i poeti. Lunedì 25 novembre alle 21, presso il Teatro Vascello (via G. Carini 78), si terrà una serata dedicata all'opera di Konstantinos Kavafis, poeta di lingua greca nato e vissuto ad Alessandria d'Egitto. Partecipano Daniela Attanasio, Silvia Bre, Franco Buffoni, Roberto Deidier, Biancamaria Frabotta, Elio Pecora e Dionissis Kapsàlis, Michalis Pierìs. Ingresso libero.

Su Konstantinos Kavafis, ovviamente, si è scritto molto.
D'altra parte la nostra epoca produce parecchio clamore; e tonnellate di carta.
Di Kavafis si è scritto che è un decadente.
Attribuire a un poeta d'inizio Novecento la nomea di decadente significa peccare di tautologia. All'inizio del secolo, un decadente!
Un decadente: ovvio, tutti i poeti sono decadenti. Da almeno cinque secoli. Kavafis decise di esserlo a pieno, un decadente senza retorica, con l'incedere scabro delle epigrafi funerarie, laddove una vita (e la vita di un uomo è sempre un abisso) viene condensata in pochi caratteri consumati su un marmo antico, e la commozione che ce ne deriva, poiché avvertiamo profondo il dileguarsi dell'esistenza nel nulla, si asciuga al sole della ineluttabilità: così è; non possiamo fare altrimenti.
Ed ecco Kavafis esaminare una epigrafe funeraria. Nel mese di Athyr. La poesia, una delle sue migliori, ne racchiude tutto il sentire tragico. Il poeta legge, a fatica, da una lapide:

A fatica leggo sulla vecchia pietra
SIGN(OR)E GESU CRISTO. La parola ANI(M)A distinguo.
NEL ME(SE DI) ATHYR LEUCI(O) SI SP(ENS)E.
Menzionando l'età ...ANNI VIS(SU)TO
Le Kappa e le Zeta dicono che si spense presto
Dove la parte è guasta vedo COSTU(I) ... DI ALESSANDRIA.
Poi vengono tre righe molto mutile, appena posso
Decifrare le parole NOSTRE L(A)CRIME, e DOLORE
E ancora LACRIME e GLI (AM)ICI IN LUTTO.
Questo Leucio a me pare che fu molto amato.
Nel mese di Athyr Leucio si spense.


L'amore di chi è rimasto in vita; la solitudine della morte; il Fato; il cielo, sgombro dagli dei, che più non protegge. Non serve altro.
Kavafis non aspira alla lode civile, all'approvazione, alla corona. Sa, con immediatezza, che il poeta nasce sconfitto, solo, in esilio. Un greco di Bisanzio (la madre, amatissima, era fanariota, di Costantinopoli), nato e vissuto però in Egitto, nel tumulto cosmopolita di Alessandria. Dati biografici insignificanti; lavoro burocratico, atto a celare quella vita ulteriore di cui vergognarsi: poeta; omosessuale; esteta con ghiribizzi patetici d’esteta. Si riconosce, nella sommaria diagnosi, la figura precipua dell'artista novecentesco, irrilevante e scansato dalla modernità.
Nelle composizione rilevano personaggi umiliati dal destino o prossimi alla sconfitta più rovinosa. Ecco Cesarione, figlio di Cleopatra, all'atto dell'incoronazione, delineato con squisitezza omoerotica:

Agghindato di seta rosa, con sul petto
Un mazzo di giacinti e alla cintura
Un filo doppio di zaffiri e ametiste,
I suoi sandali allacciati con dei nastri
Bianchi, ricamati di perline rosa.

Nella gloria si cela la rovina: "Gli alessandrini si rendevano conto ch'era tutto un frasario da teatro". Nella poesia successiva, infatti, Cesarione, già re "futile e minuscolo", si dilegua dalla storia: solo la poesia, ricompensa degli sconfitti, può concedergli redenzione postuma:

Ecco tu sei venuto col tuo fascino
Incerto. La storia ti concede
poco spazio; dunque, a maggior ragione
Libero nella mente io ti ricreo.

E cosi è per Nerone, beato, mentre Galba ne prepara la rovina:

Sopra un letto d'ebano, istoriato
D'aquile di corallo, Nerone dorme
Sodo - incosciente sereno felice ...
Ecco che i Lari si sentono mancare ...
Hanno avvertito il passo delle Erinni.

E per Cesare che trascura gli avvertimenti di Artemidoro, o per il re Dario, o per i combattenti traditi alle Termopili. 
In Kavafis rileva sempre la perdita irrecuperabile a cui opporre, consapevoli, un breve canto:

Un'altra catastrofe, nemmeno adombrata,
Improvvisa violenta ci sta sopra
E disarmati - troppo tardi ormai - a furia ci trascina.

E la morte però non sia occasione per l'ignavia!
Kavafis ha risolto il dilemma di Amleto. La paura dell'aldilà o di un dio maligno non deve turbarci. Il nostro destino si risolve interamente sulla terra e non resta che affrontarlo vivendo intensamente il breve cammino.
Kavafis rifiuta i barbari, ovvero la paura della morte o l’inesistente speranza ultraterrena:

Perché tanta inerzia al Senato?
E i senatori perché non legiferano?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi possono fare i senatori?
Venendo i barbari le faranno loro ...
Come faremo adesso senza i barbari?
Dopotutto quella gente era una soluzione

Kavafis rifiuta dio e accetta la morte e il nulla, ma li ribalta in un pessimismo della forza: la vita va vissuta, negli splendori e nei baluginii più meschini, nell'amore proibito, nelle esclusioni. E che sia lunga e ardente, da meritare il canto di chi resta.
La ricompensa alla vita è la vita stessa. Itaca.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

L'opera del bizantino Kavafis consta di centosettantaquattro poesie.
Tutte - tutte - costituiscono un testamento, amaro e senza rimorsi, declamato nella luce morente di un tramonto alessandrino; come un romano suicida, come Seneca, come Petronio, come Marco Antonio, in attesa delle armate vittoriose di Ottaviano, Kavafis canta:

Per la tua sorte che s’incrina ormai, per i tuoi
fallimenti, per i progetti della tua vita
rivelatisi tutti errori, non piangere invano.
Da uomo ormai pronto, da coraggioso,
salutala l’Alessandria che ti sfugge ...
Come si addice a te che fosti degno di una tale città,
avvicinati con passo fermo alla finestra,
e ascolta commosso, ma senza
le suppliche e le lamentele dei vili,
come estremo piacere, i suoni,
i sublimi strumenti del corteo religioso
e salutala l’Alessandria che tu perdi. 

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