mercoledì 25 marzo 2015

Una poesia araba: Al-A'sha, Va’ amica mia, sei libera

G. Luca Chiovelli

Maymun ibn Qays noto come Al-A'sha (570 circa-625 circa) ovvero il Nittalopo, a causa della sua vista indebolita e della conseguente preferenza per la semioscurità.
La poesia è tratta da un volume Donzelli del 2003 che raccoglie liriche della tradizione araba, persiana, turca ed ebraica.
Dal libro in questione traggo altresì la fulminea biografia del Nostro: "Nacque e morì in un oasi a sud di Ryad ... viaggiò ... molto, probabilmente come mercante. In una delle sue poesie racconta come, per far soldi, abbia girato il mondo: Oman, Homs e Gerusalemme, ma anche Etiopia, Iraq, Iran e Arabia meridionale".
Si spinse forse a Bisanzio.
È considerato poeta preislamico anche se, forse, fu tentato dalla conversione. O forse no, come vedremo.
Di Al-A'sha non so nulla. Ignoro il contesto storico. E la lingua. Le allusioni, i riferimenti. Il senso di pietà e comprensione per la sua donna che emerge da tale solitaria lirica. Eppure son grato a questo libro: prima di crepare ho conosciuto un nuovo amico: Al-A'sha, nato in una oasi dell'Arabia centrale.
Nella poesia a volte meno si sa meglio è. L'ignoranza stimola la leggenda e, perciò, ancora, la poesia, che ne esce doppiamente amplificata. Come accade quando scorriamo le storie dei poeti della Provenza, condensate in rapide biografie, dette vidas: dicono qualcosa, tutto e niente, ciò che è filologicamente inattendibile, ma poeticamente rilevante. Meglio così. Come per Jaufré Rudel, che scrisse sei poesie e divenne immortale per la meravigliosa vida che apposero al suo minuscolo canzoniere: quasi una settima poesia, forse la più bella.

Jaufré Rudel de Blaia era uomo molto nobile, principe di Blaia. S'innamorò della contessa di Tripoli, senza averla mai vista, per il bene che ne sentiva dire dai pellegrini che venivano da Antiochia ... per il desiderio di vederla si fece crociato e si mise per mare; sulla nave lo prese una malattia; fu condotto a Tripoli, in un albergo, e dato per morto. Fu fatto sapere alla contessa, ella venne da lui, al suo capezzale e lo prese fra le braccia. Egli si rese conto che si trattava della contessa e di colpo recuperò l'udito e l'odorato e si mise a lodare Dio di avergli concesso di vivere tanto da poterla vedere; e così morì tra le sue braccia. Ella lo fece seppellire con grande pompa nella casa del Tempio; poi, in quel giorno, si fece monaca per il dolore provato per la sua morte”.

E poi basta farsi cullare dai nomi: Bisanzio, Gerusalemme, Ryad.
E poi: un'oasi a sud di Ryad. Oasi, cioè beduini. I beduini mi fanno venire in mente una noterella a una poesia di Abu Nuwas, contenuta nel citato libro di Donzelli; vi si nomina la tribù beduina di Banu 'Udhra:

"Banu 'Udhra era una tribù araba, famosa per la devozione dei suoi membri alla poesia e la loro consacrazione all'amore semplice e disinteressato, qualcosa a metà tra l'amore platonico e l'amore cortese". 

Insomma, nel cuore dell'Arabia si nascondevano provenzali e stilnovisti. L'avreste mai detto? Altrove leggo:

"I beduini della tribù preislamica di Banu 'Udhra ... avevano abbracciato il culto di una forma platonica d'amore, un amore contrastato, a distanza, che sarebbe durato sino alla morte".

Un amore a distanza? E chi ci ricorda? Nientemeno che Jaufré Rudel, il provenzale che morì bramando l'amore della principessa di Tripoli. L'amore a distanza ("amor de lohn"), l'inappagato, il più perfetto.
Vedete come tutto si tiene quando si parla fra amici.
Possiamo folleggiare ancora.
Si dice che Al-A'sha fu un nestoriano cristiano ("almost christian"). Si dice. I nestoriani credevano a una doppia natura del Cristo, umana e divina. Maria era madre della natura umana, ma non di quella divina, ineffabile. Il nestorianesimo, tenacemente combattuto, si diffuse in Persia, Cipro, Mesopotamia, Arabia; persino in India e Cina. Oggi sopravvive in piccoli gruppi. Eugenio Montale, in una sua lirica, si paragona a un "povero nestoriano smarrito". Il credo nestoriano fu, secondo alcuni, alla base del pervicace mito medioevale del Prete Gianni, monarca cristiano dell'Asia. In una famigerata lettera, ritenuta apocrifa, egli così si descrive:

"Sappi e fermamente credi che io, Prete Gianni, sono signore dei signori e in ogni ricchezza che c'è sotto il cielo, e in virtù e in potere supero tutti i re della terra. Settantadue re ci pagano i tributi. Sono un devoto cristiano e ovunque proteggo e sostengo con elemosine i cristiani veri governati dalla sovranità della mia Clemenza"

L'epistola giunse a Manuele Comneno, imperatore di Bisanzio, al papa Alessandro III e a Federico Barbarossa. Il mito del Prete Gianni incendierà l'immaginazione di tutta la letteratura europea del tardo Medioevo. Marco Polo, Ariosto; e i poeti siciliani del Duecento, inventati alla corte di Federico II, stupor mundi; e influenzati pesantemente, scopertamente, dai francesi di Provenza - quei provenzali che, secondo alcuni studiosi, trassero linfa, a sua volta, dai poeti arabi moreschi, andalusi. Stroficamente, concettualmente; e musicalmente: e infatti il liuto è arabo (al 'ud). Come araba fu la Sicilia, per più di un secolo.
Il Prete Gianni. Non conoscete la leggenda del Prete Gianni, imperatore delle tre Indie? Peggio per voi. Significa che siete sfortunati, o malaccorti, o semplicemente degli zotici, e, per soprammercato, degli Yahoo, gli scimmioni de I viaggi di Gulliver. Senza offesa.
Mi viene in mente altro? A proposito di Yahoo, Oriana Fallaci. Nel clima post 11 settembre, isterico e psicopatico, licenziò alcuni goffi libelli antimusulmani o antiarabi. In essi esaltava la civiltà occidentale contro la civiltà degli stracci in testa. In un passo d'uno di questi, scorreggiato a nove colonne da Il Corriere della Sera, ella cicalava, pressappoco: "A Firenze abbiamo Michelangelo, Dante e la cupola del Brunelleschi. Noi siamo l'Occidente. Abbiamo dato tanto al mondo. E loro, invece, cosa ci hanno dato? Al massimo qualche poesiola di Omar Khayyám".
Se l'avessero sentita, tra gli altri, il fiorentino Guido Cavalcanti, accusato di eresie averroiste, o il fiorentino Dante, idolatra di Federico II, uno che con il Medio Oriente aveva commerci concettuali fiorentissimi (stavo per dire: fiorentinissimi), l'avrebbero cacciata in convento. Ma non è colpa sua; della povera Oriana, intendo. Era una giornalista. Bisogna comprenderla, anche se il suo disprezzo è di una superficialità e di una meschinità accecanti, imperdonabili. In tal caso l'ignoranza non genera poesia, ma solo altra ignoranza. Evidentemente esistono due ignoranze; una felice, che si nutre della favola e della meraviglia e incita alla conoscenza; e un'ignoranza della mediocrità. Dalla prima nascono i fior, dalla seconda Giuliano Ferrara, un altro di cui non rimarrà niente.
Leggete, allora, il mio amico Al-A'sha, il mezzo cieco dell'oasi di Ryad; e, se lo trovate, anche il libro della Donzelli, in cui c'è posto per geni conosciuti (Hafiz, Nizami, Khayyám) e qualche sconosciuto, come Abu Nuwas, o Al-Hallaj, o il persiano Rudagi (Come acqua salsa è il baciare/a ogni sorso s'accresce la sete); Rudagi, che in vita sua scrisse 180.000 poesie. Qualcuna in più di Khayyám, e di Dante, e di Guido.

Va' amica mia, sei libera.
Tale è la sorte umana, di giorno o di notte.
Lasciami, perché andarsene è meglio del bastone
che sarebbe stato appeso, minaccioso, sopra la tua testa.
Non perché tu abbia commesso alcun grave torto
né ci abbia causato alcuna grave calamità -
Va' incolpevole e pura,
amante e amata.
Prova un altro uomo, e io
un'altra donna, proprio come vuoi tu.

Traduzione di Anna Linda Callow, da Ti amo di due amori, Donzelli, 2003.
Traduzione della vida di Rudel di R. Gagliardi.

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