martedì 31 marzo 2015

Georg Heym, poeta di Berlino e della metropoli moderna

Georg Heym (1887-1912) è, probabilmente, uno dei maggiori poeti tedeschi del Novecento; sicuramente sconosciuto ai più.
La sua tragica morte, avvenuta ad appena venticinque anni (fu inghiottito dalle acque ghiacciate dell'Havel), avrebbe dovuto congiurare a un suo romantico ripescaggio letterario, ma, a parte un fuoco d'interesse innescato dalla traduzione Einaudi di Paolo Chiarini nei primi anni Ottanta, il suo nome sembra dimenticato.
Solo un breve, seppur meritorio, florilegio delle liriche, ha recentemente rotto il silenzio (Ci invitarono dai cortili, 2011, a cura di Claudia Ciardi).
Heym fu cantore di Berlino, e della moderna metropoli, caotica, mefitica e labirintica - una Lulu capace di irretire l'individuo tramite accorte malie, e di perderlo colla sua sfrontata inumanità.
Il retaggio culturale di Heym è, latamente, quello comune all'espressionismo di area germanica; Benn, Stramm, Ewers, Kubin, Meyrink, Wedekind; Heckel e Kirchner nella pittura; e Rye, Wegener, Wiene, nel cinema. Il simbolismo, le deformazioni prospettiche, il senso del fantastico e del demoniaco, certe intuizioni necrofile, sono parte di quel mondo d'inizio Novecento, d'ambientazione metropolitana, in cui si avvertivano, al contempo, il fascino del progresso industriale e tecnico e il disagio della liquidazione del vecchio ordine.
Heinrich Kley, Metropoli
L'epoca della macchina e della massa sostituiva irresistibile l'antico pantheon; gli artisti, e i poeti, avvertirono oscuramente tale potente irruzione che donava sì nuovi miracoli, ma esigeva, in cambio, sacrifici dapprima sconosciuti (Nelle tempeste d'acciaio di Junger descrive lucidamente tali immani ecatombi lungo il fronte della Grande Guerra).
Se stilisticamente Georg Heym è profondamente consono alle voci tedesche a lui coeve, ideologicamente egli trova compagni inaspettati nel mondo angloamericano, teatro del capitalismo più avanzato. Le descrizioni di Londra, di Arthur Machen, Stevenson e Edgar Allan Poe (L'uomo della folla) o quelle di New York, a opera di H. P. Lovecraft, sono resoconti assolutamente infernali, laddove la città, rigurgitante e tentacolare, si anima come un golem maligno, sotto la sferza di una nuova deità, crudele e meccanica - quella della modernità e dell'indifferenza.

Il dio della città

Sopra un blocco di case sta seduto,
gli cingono la fronte i venti neri,
e guarda irato ove laggiù, sperduti,
si confondono gli ultimi quartieri.

Accende il rosso ventre, a Baal, la sera,
e le grandi città stanno in ginocchi
a lui d'intorno. Innumeri rintocchi
salgon dalla marea di torri nera.

Danza di coribanti per le strade
rimbomba il ritmo della folla. Denso 
di ciminiere e fabbriche a lui sale
il fumo, come nuvola d'incenso.

Sulle sue sopracciglia il tempo abbuia.
nella notte sprofonda ormai la sera.
Intorno alla sua chioma, irta di furia,
come avvoltoio rotea la bufera.

Nel buio tende il pugno suo massiccio.
Lo scuote. Un mar di fuoco avvampa intorno
per una via, crepita il fumo arsiccio
e la divora, finché spunta il giorno.

Berlino VIII 

Le ciminiere stan sull’alto sfondo 
della luce invernale, ne portano il gran peso: 
fosca reggia d’un cielo che s’abbuia. 
Ma l’orlo suo, giù, brucia – soglia d’oro. 

Lontano tra spogliati alberi, case 
e steccati e depositi, là, dove la metropoli s’appiana, 
su rotaie di ghiaccio avanza a stento 
un treno merci e lento poi scompare. 

E di poveri spunta un cimitero, pietra su pietra, nero, 
scrutano i morti da quel loro buco 
la fiammeggiante sera. Di vino forte ha il gusto. 

Le spalle al muro, siedono tessendo, 
berretti di fuliggine sopra le tempie ossute, 
la Marsigliese cantano, l’antico inno di lotta. 

Berlino I

Seduti sopra l’erto e polveroso
argine della strada, contempliamo
la calca innumerevole e confusa
e, nella sera, la città lontana.

Le vetture dei tram imbandierate 
s’aprono colme un varco tra la folla. 
Fendon gli omnibus carichi le strade. 
Suonar di clackson, fumo e automobili. 

Verso l’immenso mare di cemento. 
Ma ad ovest si disegna fusto a fusto 
la filigrana delle chiome spoglie.

Il sole pende enorme all'orizzonte
fiamme saetta l'arco della sera.
E il sogno della luce, alto, su tutto.

* * * * * 

Il dio della città e Berlino I sono tradotte da Paolo Chiarini.
Berlino VIII da Antonio Caponnetto.

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