domenica 28 febbraio 2016

La poesia della domenica - John Keats, Il cuore mi duole ...

L'ode a un usignolo ... il poeta, a mezzo tra la veglia e il sonno, la realtà e il desiderio, ascolto il canto melodioso dell'uccellino. E l'immaginazione agisce: Keats sogna il Meridione, un'Arcadia spirituale, lontana dagli affanni della vita, ove è solo felicità.

"... non veduto lasciare il mondo,
e con te svanire via nella foresta scura:
Svanire via lontano, dissolvermi, e affatto dimenticare
ciò che tu tra le foglie non hai mai conosciuto".

L'usignolo è araldo d'una terra fatata ove l'eternità si compone secondo la legge dell'Armonia e della Bellezza. Ma tutto questo è solo un breve miraggio:

"fu una visione, o un sogno ad occhi aperti?
fuggita è quella musica:  son io desto o dormo?"

Ma sì, fu solo una visione. Il reale preme, solo la Morte e la Poesia possiedono il balsamo alla tragedia umana.

* * * * *

Il cuore mi duole, e un sonnolento torpore affligge i miei sensi,
come se della cicuta io abbia bevuto,
o vuotato sin alla feccia un potente sonnifero
or è solo un minuto, e verso Lete sia sprofondato:
non è per invidia della tua felice sorte,
ma per esser troppo felice nella tua felicità,
che tu, Driade degli alberi dalle ali leggere,
in un melodioso pianoro
verde di faggi, e dalle ombre innumeri,
dell'estate le gioie a gola piena tu canti.

Oh, per un sorso della vendemmia! che sia stato
rinfrescato per lungo tempo nella terra a fondo scavata
sàpido di Flora e del rustico prato,      
di danza, e canzoni provenzali, e dell'assolata allegria!
Oh! per una coppa piena del tepido Mezzogiorno,
pieno del vero, del rosato Ippocrene,
con perlate bolle occhieggianti sull'orlo,
e la bocca macchiata di porpora:
ch' io potessi bere, e non veduto lasciare il mondo,
e con te svanire via nella foresta scura:

Svanire via lontano, dissolvermi, e affatto dimenticare
ciò che tu tra le foglie non hai mai conosciuto,
il languore, la febbre, e l'ansia
qui, dove gli uomini seggono e odon l'un l'altro gemere
dove la paralisi scuote pochi, tristi, ultimi capelli grigi,
dove la giovinezza si fa pallida e spettrale, e muore;
dove pur il pensare è un esser pieni di dolore
e di disperazioni dai plumbei occhi,
dove la Bellezza non può serbare i suoi occhi luminosi,
o il nuovo Amore struggersi per essi più là di domani.

Via! Via! perché io voglio fuggire a te,
non tratto sul carro da Bacco e dai suoi leopardi,
ma sulle invisibili ali della Poesia,
benché l'ottuso cervello confonda e ritardi:
già con te! Tenera è la notte,
e forse la Regina Luna è sul suo trono,
con a grappoli intorno tutte le sue Fate stellari;
ma qui non c'è luce alcuna,
fuor di quanta dal cielo con le brezze spira
per verdeggianti tenebre e sinuose vie di muschi.

Io non posso vedere quali fiori siano ai miei piedi,
né che molle incenso penda sulle fronde,
ma, nella profumata oscurità, indovino ogni dolcezza
di cui il mese propizio dota
l'erba, il boschetto,- e il selvaggio albero da frutta;
il biancospino, e la pastorale rosa eglantina;
viole che presto appassiscono ricoperte di foglie;
e la figliuola maggiore del mezzo maggio,
la veniente rosa muscosa, piena di vino rugiadoso,
murmurea dimora delle mosche nelle sere estive..

All'oscuro io ascolto; e ben molte volte
son  io stato a mezzo innamorato della confortevole Morte,
l'ho chiamata con soavi nomi in molte meditate rime
perché si portasse nell'aria il mio tranquillo fiato;
ora più che mai sembra delizioso morire,
aver file sulla mezzanotte senza alcun dolore,
mentre tu versi fuori la tua anima intorno
in una tale estasi!
ancora tu canteresti, ed io avrei orecchie invano
al tuo alto requie divenuto una zolla.

Tu non nascesti per la morte, immortale Uccello!
le affannate generazioni non ti calpestano;
la voce ch'io odo in questa fuggevole notte fu udita
in antichi giorni dall'imperatore e dal villano:
forse la stessa canzone che trovò un sentiero
per il triste cuore di Ruth, quando, piena di nostalgia
ella stette in lacrime tra il grano straniero;
la stessa che spesse volte ha
affascinato magiche finestre, aperte sulla schiuma
di perigliosi mari, in fatate terre abbandonate.

Abbandonate! la parola stessa è come una campana
che rintocchi per ritrarmi da te alla mia solitudine!
Addio! la fantasia non può frodare così bene
com'ella ha fama di fare, ingannevole silfo.
Addio! Addio! la tua lamentosa antifona svanisce
oltre i prati vicini, sopra la silenziosa corrente,
su per il fianco del colle; ed ora è sepolta profonda
nelle prossime radure della valle:
fu una visione, o un sogno ad occhi aperti?
fuggita è quella musica:  son io desto o dormo?

Traduzione, con modifiche, di Raffaello Piccoli, Iperione, odi, sonetti, 1984

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