sabato 30 gennaio 2016

Film che bisogna andarsi a cercare/1 (Non uccidere/Kuroneko/Zazie nel metrò/Hanno cambiato faccia/Harakiri)

G. Luca Chiovelli

Quattro di questi film non sono mai finiti in DVD. Il quinto - Zazie - è fuori catalogo. E poiché al cinema ci son discrete fesserie, che tra qualche anno svaporeranno via nell'indifferenza, sarebbe bene recuperare alla Vostra considerazione qualche titolo.
In altre parole: cercateli e guardateli.

Non uccidere (Tu ne tueras point), di Claude Autant-Lara
Francia, 1961, b/n.
Voto: 6,5
Int: Laurent Terzieff, Horst Frank, Mica Orlovic, Marijan Lovric, Suzanne Flon

Quali sono i limiti della coscienza? Non solo della coscienza che si rifiuta di uccidere in tempo di guerra, ma anche di quella che decide di non collaborare con le strutture militari in tempo di pace; in ossequio fermo alle proprie intime convinzioni. Il film è a tratti didascalico, ma la figura di Terzieff che, come il Michael Kohlhaas di Kleist, persegue le proprie idee a qualunque costo - e a dispetto di ogni compromesso - rimane nella memoria: la quieta ostinazione in un ideale che va condiviso sino alla rovina. 
E poi il dilemma centrale: se è vera la morale cristiana: "Non uccidere. Chi uccide sarà sottoposto a giudizio" perché in una società cristiana, quella francese in tal caso, avviene esattamente il contrario? Perché chi si rifiuta di servire la guerra in tempo di pace merita la condanna e chi ha ucciso in tempo di guerra no?

Kuroneko (Kuroneko), di Kaneto Shindô
Giappone, 1968, b/n.
Voto: 7
Int: Kichiemon Nakamura, Nobuko Otowa, Kiwako Taichi, Kei Satô, Taiji Tonoyama, Rokko Toura, Hideo Kanze, Hideaki Esumi, Masashi Oki

In un Giappone feudale dilaniato dalla guerra, alcuni ronin (samurai senza padrone) stuprano e uccidono due donne; i loro spiriti inquieti, però, simboleggiati da un gatto nero (Kuroneko, appunto), torneranno sulla terra a prendersi la vendetta. Il governatore della zona, per contrastare la maledizione, invierà il fidato veterano Gintoki: questi avrà una rivelazione amarissima.
Un bianco bianco e nero perfetto che, sotto le spoglie di una storia classica di fantasmi e vendette, cela una critica violenta all'organizzazione sociale del Giappone del tempo (in particolare alla casta dei samurai, vista quale accolita di sordidi gaglioffi e di criminali). Bellissima l'atmosfera notturna, sospesa e fluttuante come le vesti dei revenants femminili.

Zazie nel metrò (Zazie dans le metro), di Louis Malle.
Francia, 1960, col.
Voto: 8
Int: Catherine Demongeot, Philippe Noiret, Vittorio Caprioli, Jacques Dufilho

La piccola Zazie (la mamma è impegnata con l'amante) viene scaricata presso lo zio parigino: lei vuole assolutamente viaggiare in metrò, ma uno sciopero blocca il suo sogno. Questa la semplice miccia narrativa iniziale, svelta a innescare le decine di esplosioni slapstick del film: una vera sarabanda anarchica la cui gioia di vivere rimanda ai tempi del muto, il cinema innocente per eccellenza. Bravo Noiret, eccezionale Caprioli (esilarante il suo inseguimento a Zazie), irresistibile la Demongeot/Gian Burrasca: a volte ci si innamora di un personaggio e Zazie non posso che amarla con tutto il cuore. Memorabile la battuta finale alla mamma che le chiedeva cosa avesse fatto durante il suo soggiorno a Parigi: "Sono invecchiata". Una delle Bibbie della cinefilia francese. Da un romanzo di Raymond Queneau. 


Hanno cambiato faccia, di Corrado Farina. 
Italia, 1971, col.
Voto: 6,5
Int: Giuliano Disperati, Adolfo Celi, Geraldine Hooper, Francesca Modigliani, Rosalba Bongiovanni, Pio Buscaglione, Salvatore Cantagalli

Inizia con intenti satirici (sembra una parodia di Fantozzi, ovvero una parodia della parodia), piuttosto facili nella loro scoperta allusività (il film ricalca lo schema narrativo di Dracula); prosegue, però, quale apologo sul potere (capitalista) e lo fa con uno spirito profetico a tratti inquietante; il capitalismo, secondo Farina, vampirizza sì i deboli, ma ha ormai soggiogato e dissanguato anche qualsiasi altra forma dell'espressione umana (arte, religione, politica, informazione). Appropriata la sentenza finale, desunta da Marcuse: "Il terrore di oggi è la tecnologia". Adolfo Celi, Nosferatu capitalista che rinasce dalle proprie ceneri, spicca su tutti. Ottime le musiche di Amedeo Tommasi, che i Goblin di Profondo rosso avranno sicuramente orecchiato.

Harakiri (Seppuku), di Masaki Kobayashi.
Giappone, 1962, b/n.
Voto: 9
Int: Tatsuya Nakadai, Shima Iwashita, Akira Ishilama, Rentaro Mikuni, Shichisaburo Amatsu, Yoshio Aoki, Jo Azumi

Un samurai, Hanshiro Tsugumo, si presenta presso la residenza del clan Iyi: ridotto in miseria, chiede solo un luogo dove porre onorevolmente fine ai propri giorni tramite il suicidio rituale, il seppuku. Proprio qualche tempo prima, un altro samurai, Motome Chijiva si era ucciso, proprio in quella nobile magione, costretto dall'onore incombente e dalla povertà. E lo aveva fatto in modo atroce, con una spada di bambù: la propria arma, infatti, era stata venduta per curare la moglie Miho e il piccolo figlio.
Quali sono i limiti del dovere? Occorre perseguirlo oltre il formalismo più feroce o derogarvi in nome della pietà umana? E quando il dovere cessa d'essere la linfa di una tradizione e di un popolo per divenire la maschera della menzogna del potere? Kobayashi organizza questo apologo con raffinati flashback che rivelano gradatamente la trama tragica sottesa agli avvenimenti, apparentemente slegati, che di volta in volta apprendiamo dallo svolgersi della trama. Epico il finale, in cui la volontà di vendetta e il desiderio di punire le proprie colpe si fondono ineluttabili. Uno dei capolavori della cinematografia mondiale, ma da noi l'hanno visto in pochi. Gigantesco Nakadai, personaggio in cui trascolorano rimpianto, fatalismo, determinazione e toni beffardi.

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