domenica 20 dicembre 2015

La poesia della domenica - Stéphane Mallarmé, Brezza marina

E. Manet - Il bevitore d'assenzio
Vi sono momenti, nella storia, in cui ogni vincolo, ogni religione e tradizione precedente più non tiene.
Tutto disgusta, suona falso, appare scolorito, non induce all'azione; quella congerie di credenze che innervavano il presente e donavano un senso al vivere risultano oramai quale confusa massa di ciarpame.
Gli uomini migliori avvertono da subito questo stato di cose; il loro sguardo diviene, quindi, o rabbioso, oppure disilluso o, semplicemente, stanco. Stanco, sfibrato, sfinito; persino dall'arte.
Si cerca l'evasione. Fuggire diviene la parola d'ordine. Dal conformismo, dalla famiglia, dalla convenzione sociale. Si fugge, all'esterno, nei Mari del Sud, in Africa, in Asia. Into the wild. La natura straniera. O si fugge interiormente, divenendo ubriachi, drogati, scandalosi, eretici o solo bislacchi.
Nell'Ottocento la reazione escapista si formò in opposizione a un mondo tradizionale (religioso, accademico, militare) ancora fiorente e solidamente strutturato: tale reazione, perciò, fu altrettanto fiorente, linguisticamente splendida. Oggi, invece, il mondo tradizionale è talmente sfilacciato, impalpabile e corroso dalla ragione che la reazione ad esso si concreta esclusivamente in un caotico vilipendio, in quel ridicolo gallinaio che i fessi ancora spacciano per libertà ("la libertà, questo nome terribile scritto sul carro degli uragani", diceva quel Tale).
Il decadentismo anticipò la disfatta europea della Prima Guerra; la decadenza e l'anarchia morale attuali anticipano - è inevitabile - altre battaglie, altri conflitti, e nuove ecatombi.  


La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri.
Fuggire! laggiù fuggire! Io sento uccelli ebbri
d’essere tra l’ignota schiuma e i cieli!
Niente, né antichi giardini riflessi dagli occhi
terrà questo cuore che già si bagna nel mare
o notti! né il cerchio deserto della mia lampada
sul vuoto foglio difeso dal suo candore
né giovane donna che allatta il suo bambino.
Io partirò! Vascello che dondoli l’alberatura
l’àncora sciogli per una natura straniera!

E crede una Noia, tradita da speranze crudeli,
ancora nell’ultimo addio dei fazzoletti!
E gli alberi forse, richiamo dei temporali
son quelli che un vento inclina sopra i naufragi
sperduti, né antenne, né antenne, né verdi isolotti…
Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai!

da Poesie, traduzione di Luciana Frezza

martedì 15 dicembre 2015

Casal di Principe e la sua dissidente, faticosa bellezza

Elvira Sessa
Possono venti opere d’arte dichiarare guerra alla mafia?
I numeri della mostra “La luce vince l'ombra. Gli Uffizi a Casal di Principe”, svoltasi dal 21 giugno al 13 dicembre scorsi nel feudo del “clan dei Casalesi”, sembrano dire di sì.
Con circa 38.000 visitatori, di cui oltre 20 mila studenti, 50 scuole e 50 partners coinvolti ed 80 giovani volontari - casalesi e dei comuni limitrofi - designati come “Ambasciatori della Rinascita”, ossia come portavoce di un riscatto che parte dalla cultura, Casal di Principe ha lanciato la prima forte sfida contro il suo destino.
Tutto nella mostra - curata da Antonio Natali, Marta Onali, Fabrizio Vona e prodotta da First Social Life - parla di contrasti. A partire dall'allestimento: i capolavori sono stati ospitati in una villa confiscata al boss Egidio Coppola (detto, ironia della sorte, “Brutus”) ora dedicata al concittadino don Peppe Diana, sacerdote assassinato dalla camorra sul sagrato della sua chiesa nel 1994.
Provengono dal Museo di Capodimonte di Napoli, dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, dalla Reggia di Caserta e dal Museo Campano di Capua e recano la firma di artisti che vanno da Artemisia Gentileschi Lomi a Mattia Preti, da Luca Giordano a Battistello Caracciolo, spaziando da Andy Warhol alle sculture precristiane romane delle Madri di Capua.
Il primo dipinto del percorso espositivo, “Il Concerto”, una delle maggiori opere di Bartolomeo Manfredi, irrimediabilmente polverizzata da un ordigno esploso agli Uffizi nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 in un attentato di stampo mafioso, fa venire in mente le parole dell'autobiografia “Prima che sia notte” di Reinaldo Arenas, lo scrittore e poeta cubano che ha combattuto il regime castrista con le armi della penna e del bello, subendo torture e carcere: “La bellezza, in un sistema dittatoriale, è sempre dissidente, perché le dittature sono di per sé antiestetiche, grottesche. Praticare la bellezza è per i dittatori e i loro scagnozzi un atteggiamento reazionario”.
Questa bellezza contrastata e inquieta prorompe nei chiaroscuri delle pieghe del volto della vecchia nel dipinto “Salomè” del Battistello, nella pelle levigata e perlata di Venere contrapposta a quella del ruvido Satiro nell'opera di Pacecco De Rosa, nella sensualità della spalla scoperta della mamma che assiste all'orrore della morte del figlio nell'opera “La Strage degli innocenti” di Stanzione, nella mano che, nella copia dal Caravaggio de “L'incredulità di San Tommaso”, scava feroce nel costato di un Cristo sereno e luminoso.
Con questa iniziativa, il comune di Casal di Principe, “terra di punizione” già nel suo nome – che sembra derivi dal casale dove, sul finire del XV secolo, quando era terra malsana e acquitrinosa, era stato confinato il principe d'Ungheria per punirlo dell' attentato alla vita del padre - si ribella a chi lo vorrebbe affossato per sempre, proponendo un nuovo modello economico della conoscenza che coinvolge banche e imprese (quali Coop Italia, Unipol, Fondazione Unipolis, Banca Monte Paschi di Siena, Aletheia, Centro Commerciale Campania), il mondo della cultura e della politica (dagli Uffizi alla collaborazione con il Soroptimist International d’Italia, l’Associazione Amici degli Uffizi, la Seconda Università di Napoli e del Comitato don Peppe Diana).

Il percorso di rinascita è tutto in salita, come sottolinea Alessandro De lisi, responsabile culturale di "R-Rinascita", il progetto di start up sociali in cui si inserisce l'iniziativa: "Il un comune di ventimila abitanti, ben ottomila casalesi sono venuti a vedere la mostra" e poi aggiunge con ramamrico: "Siamo soddisfatti, si, ma solo parzialmente. Si vergognino quelli che non ci sono!".

Già Calvino ne “Le città invisibili”, invitava a non abbassare la guardia: “Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”


sabato 12 dicembre 2015

La poesia della domenica - Georg Trakl, La canzone di Kaspar Hauser

In un quieto pomeriggio del 1828, Norimberga è teatro di un'apparizione inopinata: un ragazzo, con vesti da contadino, si trascina con passo incerto sulla pubblica piazza. Non sa dire da dove viene, farfuglia pochi vocaboli, incongrui ("Diventare cavaliere!"), si trova a suo agio solo col buio, rifiuta il cibo, che lo disgusta, a meno che non sia o pane o acqua; dimostra una naturale benevolenza, un candore disarmante; forse si chiama Kaspar Hauser.
Più tardi, affidato alle cure del professor Georg Daumer, Kaspar rivelerà d'aver passato la propria breve vita da prigioniero, in una cella oscura, seviziato al minimo cenno di ribellione.
La sua origine rimane, però, un mistero; chi è davvero il "Fanciullo d'Europa", come è stato ribattezzato? Un trovatello o, come suppongono alcuni, un membro della casa reale del Baden, vittima di oscuri intrighi dinastici?
Nell'ottobre del '29 Kaspar è oggetto di un'aggressione; quattro anni più tardi, mentre passeggia nei giardini del palazzo di Anspach, viene pugnalato a morte.
E la morte, come sempre, cancella l'individuo, e pone le basi per il simbolo Kaspar Hauser; un simbolo potentissimo poiché lascia intravedere, al di là della facile aneddottica temporale, un sottofondo profondo e terribile (Rudolf Steiner ha dato della vicenda un'affascinante interpretazione esoterica).
Werner Herzog, l'ultimo dei grandi romantici tedeschi, ha tratto da tale esistenza fragile e commovente uno dei suoi film più belli (L'enigma di Kaspar Hauser, 1974).  

Egli veramente amava il sole, che purpureo il colle scendeva.
Le vie del bosco, il canoro uccello nero
e la gioia del verde.

Serio era il suo sostare all’ombra dell’albero
e puro il suo volto.
Dio parlava con soave fiamma al suo cuore:
oh, uomo!

Silenzioso il suo passo trovò la città di sera;
l’oscuro lamento della sua bocca:
voglio diventare un cavaliere.

Ma lui seguivano cespuglio e animale,
casa e giardino crepuscolare di uomini bianchi
e il suo assassino lo cercava.

Primavera ed estate e bello l’autunno
del giusto, il suo passo lieve
lungo le stanze oscure di sognanti.
Di notte egli rimaneva solo con la sua stella;

vide la neve cadere fra i rami nudi
e sulla soglia crepuscolare l’ombra dell’assassino.

Argenteo cadde il capo del non nato.

Da Sebastian in sogno, traduzione di Gilberto Forti.