sabato 14 novembre 2015

La poesia della domenica - Dusan Vasiljev, Un uomo canta dopo la guerra

Un nostro nemico, antico di un secolo.
Dusan Vasiljevic (1900-1924) nacque in Serbia, nella regione del Banato, allora parte dell'Impero d'Austria e Ungheria. Nel 1918, a guerra perduta, quando i ragazzi tornano buoni per fornire carne da cannone, fu chiamato alle armi; servì lungo la linea del Piave, contro l'esercito italiano.
La discesa infernale nelle tempeste d'acciaio ne mutò inevitabilmente e profondamente l'animo, dapprima imbevuto d'un focoso interventismo.
La seguente lirica è, quindi, il resoconto di tale disillusione: in un tono lieve eppur definitivo egli proclama: m'importa poco dell'onore e della vergogna e delle voglie borghesi, datemi aria e rugiada e latte: questo sarà il mio bastevole bottino.
Dai tempi d'Archiloco (che preferiva gettar via lo scudo - onta suprema - e fuggire verso le gioie minute della vita) tutti i sopravvissuti si rassomigliano:

Qualcuno dei Sai si fa bello del mio scudo, arma perfetta,
che io abbandonai a malincuore presso un cespuglio;
però mi sono salvato. Che m'importa dello scudo?
Al diavolo: me ne procurerò un altro, e anche meglio.

L'alito della morte ingenera quasi sempre un registro fra beffardo e testamentario. Si ride del pericolo scampato, dell'onore idiota, delle ridicole vanaglorie, ma si è oramai diversi fra gli uomini, né vivi né morti (Nè vivi né morti è, infatti, il titolo d'un bel libro di Fidia Gambetti, reduce dell'Armir, nella Seconda Guerra).
Da tale punto di vista Vasiljev è affine ai coevi lirici tedeschi dell'espressionismo, molti dei quali conobbero trincee e persecuzioni e, come per maledizione d'un dio laido e cruento, ebbero esistenze brevi e travagliate. Basta leggere questo estratto dalla Storia della letteratura tedesca di Ladislao Mittner: "Presi in blocco, i lirici dell'espressionismo ci sembrano oggi non tanto poeti precocemente maturi, quanto poeti indubbiamente precoci, a molti dei quali il destino, in particolare la guerra, non permise di raggiungere la maturità. Kurt Pinthus, editore della famosa antologia Menschheitsdämmerung. Symphonie jüngster Dichtung [Tramonto dell'umanità. Sinfonia della più recente poesia] del 1919, dovette constatare, nel 1922, che dei ventitré poeti da lui inclusi nel suo volume sette non erano più in vita".
Non rimangono che due cose da dire. La prima: sappiamo molto poco - almeno in Italia - di tale panorama lirico a cavallo della Prima Guerra: a parte Trakl, le figure Stramm, Klemm, Heynicke, Rubiner, Heym, Stadler, Lasker-Schüler, Becher (e Werfel, come poeta) sono poco o nulla indagate; per tacere dell'area serbocroata, russa et cetera. Rimedieremo?
La seconda: Vasiljev è un nobile poeta che depreca la guerra, ma senza la guerra sarebbe esistito il poeta Dusan Vasiljev? 
Questa la micidiale contraddizione.
Impossibile uscirne. La pace perpetua uccide l'arte; l'arte nasce dal sangue e dalla sofferenza, o da una grande tradizione nazionale che di sangue e sofferenza è già stata avida.
Tutti scelgono la pace, eppure se viene a mancare il sentire ultimo e profondo che l'arte evoca ci si strugge in un lento declino, crasso e autodistruttivo. Privi dell'arte si diviene cinici e torpidi, stupidi e assassini; una cultura può spegnersi in tale neghittosità.
E c'è una salvezza, certo, ma è la guerra. 


Col sangue alle ginocchia ho camminato
e sogni non ho più.
Mia sorella si è venduta
e la bianca chioma a mia madre hanno tagliato.
E in questo torbido mare di lussuria e melma
io non chiedo un bottino:
oh, io di aria ho sete! E di latte!
E di bianca rugiada del mattino!

Col sangue alle ginocchia io ridevo,
e non chiedevo: perché?
Nemico giurato mio fratello chiamavo,
ed esultando nel buio all’attacco mi scagliavo,
quando al diavolo va Dio, e l’uomo, e la trincea!
Ma oggi osservo tranquillo il lebbroso bottegaio
che abbraccia la mia donna amata,
e il tetto dalla testa via mi strappa;
e volontà non ho – o forza – di vendetta.

Fino a ieri io docile la testa chinavo
e la vergogna con rabbia baciavo.
E fino a ieri la vera sorte mia non conoscevo –
ma oggi la conosco!

Oh, ma io sono un Uomo! Un Uomo!
Non mi duole di aver camminato col sangue alle ginocchia
e di essere sopravvissuto ai rossi anni di macello,
per questa sacra consapevolezza
che mi ha portato la rovina.

E io non chiedo un bottino:
oh, datemi solo ancora un pugno d’aria
e un po’ di bianca rugiada del mattino –
il resto a voi, alla salute!

Traduzione di Alice Parmeggiani

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