lunedì 2 novembre 2015

“Il Prezzo” di Arthur Miller sui palchi del Teatro Argentina

Elvira Sessa
Torna sulle scene italiane “Il Prezzo” di Arthur Miller, opera che debuttò nel nostro Paese nel lontano 1969, ora pubblicata nella sua prima edizione italiana per la Einaudi con la traduzione di Masolino D'Amico.
La pièce, interpretata dalla Compagnia Orsini per la regia di Massimo Popolizio, traccia il quadro di un'America post-crisi del '29, espressione delle incertezze e delle aspirazioni del nostro tempo.
Il sipario si apre su una pila di mobili accatastati alla rinfusa, in cui si distingue una poltrona tappezzata con fiori rossi, un’arpa, un tavolo di legno massiccio in verticale. Appartenevano ad un uomo morto da più di dieci anni, ora devono essere stimati da un perito e venduti, in fretta, dai suoi due figli, Victor e Walter, perché si trovano in un edificio che deve essere demolito.
Sarà la trattativa sul “prezzo” al quale liquidarli a fare emergere a poco a poco i “valori” dei quattro personaggi dell’opera, Victor, Esther, Walter e Solomon.
I protagonisti, che si muovono in una scenografia domestica ridotta all'essenziale (un lavandino, delle sedie, una poltrona, una scala che porta ad un pianerottolo ed una porta che immette in un'altra stanza), sono tutti tratteggiati con grande efficacia dagli interpreti e dal regista.
Victor (un eccellente Massimo Popolizio, che assomma i ruoli di attore e regista) è un poliziotto di mezza età prossimo alla pensione, con più dubbi che certezze, dal tono di voce medio, il passo dinoccolato, testa china, occhi bassi, un po’ di pancetta.
Contraltare di Victor è Esther (una focosa Alvia Reale), moglie dispotica ed esasperata per la vita mediocre che le fa condurre. Sin dalla prima scena, Esther irrompe con il passo deciso, sbraitando e battendo i tacchi, sfoggiando un abito arancione sgargiante, l’abito nuovo, segno del desiderio di una svolta sociale ed economica che tarda ad arrivare: “l’unica cosa che conta è il denaro” dirà più volte, sprezzante, al marito che annuisce a testa bassa. La pensa come lei l’ebreo Solomon (un carismatico Umberto Orsini), antiquario novantenne chiamato da Victor a stimare i beni del padre. Solomon si presenta al pubblico con un soprabito usurato e una busta di plastica con cibarie varie, è arguto, pungente, ironico e si muove con agilità tra i mobili usati, con i quali mostra di avere molta confidenza e distacco professionale, come chiarisce subito a Victor: “con i mobili usati non si può essere sentimentali”.
Quando ormai questi tre personaggi sembrano cristallizzati nei loro ruoli e Victor sta per definire la vendita dei mobili con l'antiquario, irrompe Walter (un impetuoso Elia Schilton), con un colpo di scena che dà una svolta inattesa agli eventi.
Walter viene ritratto come l'arrivista spregiudicato, l’uomo del “sogno americano”, il prepotente che si è fatto da sé recidendo ogni radice e ogni legame affettivo: meno dotato negli studi del fratello, si è lanciato nella scalata per il successo, divenendo un chirurgo primario di tutto rispetto che vede più interessante fare quattrini con gli anziani, divenendo proprietario di tre case di riposo, che accudire il vecchio genitore. Cinico, impeccabile, perfetto, ben ritratto dagli occhiali squadrati con una spessa montatura nera che ne rimarcano la spigolosità del carattere, la giacca nera stretta in vita e lo sguardo torvo e diffidente, calca i passi sulla scena sentendosi una divinità in persona, imponente e pieno di sé. Ripiomba nella vita di Victor, dopo un silenzio decennale, per esprimere un parere sul “prezzo” dei mobili paterni e lo fa per il semplice gusto di esercitare ancora una volta il suo potere sul fratello e ridicolizzarlo per il suo “spirito di apostolica abnegazione”, come lascia intendere la frase che, sprezzante, dice a Solomon, dopo aver saputo a quali svantaggiose condizioni Victor stava vendendo i mobili: “Ruba ai ciechi, tanto loro non se ne accorgono”.
Walter rinuncia subito alla sua eredità su quei beni, privi come sono, ai suoi occhi, di qualunque interesse, come evidenzia la scena, emblematica, in cui Victor recupera entusiasta un vecchio remo di legno, ricordo dell'adolescenza del fratello, per salvarlo dalla vendita e Walter lo rifiuta, con una smorfia di sufficienza, così fotografando due opposte concezioni della vita: per Victor fondata sui “valori”, per Walter sui “prezzi”.
E così, tra i due fratelli, si susseguono feroci duelli verbali di sciabola e fioretto, in un gioco al massacro che travolge il pubblico in un vortice di rivelazioni, menzogne, momenti di ilarità, mentre aleggia l'imminente distruzione dell'edificio, sottolineata dall'incalzare di sinistri boati fuoricampo e dall'affievolirsi delle luci sulla scena.
"Il Prezzo" replica al teatro Argentina fino all' 8 novembre, va poi in tournée nelle maggiori città italiane

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