martedì 27 ottobre 2015

Toh, ha chiuso un'altra libreria ...

G. Luca Chiovelli

A via S. Caterina da Siena, a Roma. Mi pare fosse una libreria antiquaria, attaccata a un'altra, Amore e Psiche, dismessa poco tempo fa.
Non è una gran notizia: durante gli ultimi cinque anni c'è stata una moria epidemica di librerie; e anche di edicole, spesso trasformate in spacci d'oggettistica cinese per turisti: colossei di plastica, calendari idioti, cartoline e così via.
Lo ripetiamo: non è una notizia.
Le notizie, straordinarie, sono invece due.

La prima. È straordinario che non abbiano chiuso tutte le librerie, almeno quelle indipendenti. Fra tasse, imposte, ignoranza diffusa e neghittosità degli amministratori ciò rappresenta un vero miracolo di resilienza.

La seconda. È altrettanto straordinario che tale pestilenza epocale non venga recepita affatto dagli statistici del libro (giornalisti, intellettuali, sondaggisti, ricercatori). Per loro le cose vanno malino. La percentuale dei lettori è in declino: dal 43% al 41,6%. Malino. Maluccio. La parola “disastro” - l’unica che abbia un senso oggi - esita a essere espulsa dalle loro boccucce esitanti. Ma quale 43 e 41! Qui è già tanto che ci sia una quota di lettori al 15-20%! Ma loro fanno i pesci in barile; si lamenticchiano, borbottano, proludono, menano il can per l’aia; poi vanno a conferenze dove discutono del nulla ingozzandosi di qualche tartina e buonanotte.
Dal 43% al 41,6% … ma, insomma, chi diavolo le fa queste statistiche? L’Istat? E come le fa? Sondaggia, telefona, chiede pareri? Che fa l’Istat? Non sarà che tali augusti istituti si fanno infinocchiare come certi antropologi bianchi dagli aborigeni? I grandi ricercatori bianchi (un nome a caso: Margaret Mead) s’inoltrano nelle giungle amazzoniche, nelle distese africane, nei deserti australiani, presso i Cippa Lippa del Borneo: studiano, osservano, registrano; gli aborigeni gli rifilano qualche fregnaccia e loro tornano pimpanti nelle loro linde università a scrivere l’opus della vita. Gli aborigeni - intesi come popoli indigeni -  hanno, infatti, un proprio sense of humor; tipicamente aborigeno vien da dire.
E così l’Istat … telefona a casa dell’Italiano medio e domanda: “Scusi lei, non è che per caso ha letto un libro nell’ultimo anno?”. E l’aborigeno italico medio che fa? Si vergogna, ovviamente. E va giù di fregnaccia: “E come, non l’ho letto … certo, adesso, su due piedi … preso a freddo ... non mi ricordo il titolo …”. E il sondaggiarolo: “Non fa niente, non è questo che ci interessa … io segno lettore, va bene? Buongiorno, e scusi per il disturbo …”. E l’Italianuzzo, che non ha letto manco le Pagine Gialle, con un sospiro di sollievo: “Ma le pare. Nessun disturbo … esequie … di nuovo esequie a lei e al dottore …”.
E le statistiche si gonfiano. Tanto da far dire, ancora, in piena disfatta culturale e morale: le cose non vanno male .. vanno malino, anzi quasi bene … ci si può riprendere, via … con qualche bel finanziamento …
Sì, questa è l’unica interpretazione possibile. Questi tipi (intellettuali, studiosi, Istat, sondaggiaroli e compagnia cantante) non hanno capito nulla della realtà. Sono al di sopra di qualsiasi realtà. D’altra parte che intellettuali, sondaggisti, statistici, giornalai e bibliofili vari siano completamente assorbiti in un proprio mondo di fantasia è un fatto; altrimenti non si giustificano, ad esempio, i seguenti titoli, in disprezzo totale del principio di non contraddizione:

“Crescono i lettori, calano le vendite”
“Boom di visitatori al Salone del libro di Pizzighettone, vendite in calo”

Roba da far rivoltare nella tomba Aristotele. Ecco altre chicche:

“La quota di lettori fra gli 11 e i 19 anni [al netto dei testi scolastici] è superiore alla media, ben oltre il 50%”
“Il 9,8% delle famiglie non ha nessun libro in casa …”

… avete capito? … fra gli 11 e i 19 anni, quando la febbre dello smartphone è al massimo, al netto dei testi di scuola, sono tutti lettori … roba da sbellicarsi dalle risa … e che dire di quel 9,8% di senza libro … mi sa che hanno dimenticato un 4 o un 5 davanti a 9,8 … ecco: un 49,8 sarebbe molto più aderente allo squallore quotidiano … alla reale realtà … che citrullame, ragazzi … e sono questi i condottieri che dovrebbero salvare la cultura in Italia?

sabato 24 ottobre 2015

La poesia della domenica - Tristan Corbière, Insonnia

Decadente, umido di tutti gli umori della decadenza ottocentesca: malaticcio, scalcagnato, malato d'amori immedicabili (micidiale il suo ménage a trois con l'attrice parigina Cuchiani, la Marcelle delle poesie, e il suo compagno), riottoso all'insegnamento scolastico, malsano nei rapporti con gli ascendenti (Edouard Corbière, scrittore di feuilleton di successo, ha trent'anni più della madre), naturalmente eccentrico (ama travestirsi: da donna, da galeotto), infelice, perfido, bugiardo, povero, straccione, brutto (brutto come un rospo: come quel rospo, essiccato, ch'egli teneva appeso sopra il caminetto e a cui si paragonava) e già consapevole della Morte tanto da sentirsi nato morto (se ne andrà a trent'anni).
Di un decadentismo, però, senza retorica, privo di fulgori, languori, aristocratiche ricercatezze e citazionismi; un decadentismo crepuscolare, beffardo, colloquiale, irto di esclamazioni, ricco di punteggiature e autocommiserazioni: fra Laforgue e Céline.
Morì sconosciuto, autore di una sola raccolta. 
Poi arrivò Paul Verlaine a dedicargli un capitolo dell'opera sui poeti maledetti; e fu la gloria letteraria; quindi, a babbo morto, altri laudatori s'aggiunsero: Huysmans, Eliot, e Pound e tutta l'eletta compagnia.
Chissà cosa ne avrebbe pensato Tristan, che scrisse: "L'arte non mi conosce, io non conosco l'arte".

Insonnia, impalpabile Bestia!
Hai l’amore solo nella testa?
Per correre a vedere sino a svenire,
sotto il tuo occhio perverso, l’uomo mordere
le sue lenzuola, e torcersi nella noia! …
Sotto il tuo sguardo di diamante nero.

Dimmi: perché, nella notte bianca,
piovosa come una domenica,
venire a leccarci come un cane:
Speranza o Rimpianto che veglia,
al nostro orecchio palpitante
bisbigliare … e non dire niente?

Perché, davanti alla nostra gola arida,
porger sempre la tua coppa vuota
e lasciarci con il collo stirato,
Tantali noi, assetati di chimera:
– filtro d’amore o amaro fiele,
fresca rugiada o piombo fuso! —

Insonnia, ma non sei bella?…
E perché, lubrica pulzella,
stringerci tra le tue ginocchia?
Perché rantolare sulla nostra bocca,
perché disfare il nostro letto,
e … non coricarti con noi?

Perché, Bella-di-notte impura,
quella maschera nera sul tuo viso? …
— per intrigare i sogni d’oro?…
Non sei l’amore nello spazio,
alito di Messalina stremata,
ma non ancora appagata!

Insonnia, sei tu l’Isterìa…
tu l’organetto di barberia
che macina l’Hosannah degli Eletti?…
— o non sei tu il plettro eterno,
sui nervi dei dannati alle lettere,
che strimpellano versi — che solo loro hanno letto.

Insonnia, sei l’asino in pena
di Buridano — o la falena
dell’inferno? — II tuo bacio di fuoco
lascia un gusto freddo di ferro infuocato …
oh! vieni a riposarti nella mia tana! …
dormiremo insieme un poco.

Da Amori gialli, 2004 (traduzione di Renzo Paris)

giovedì 22 ottobre 2015

MVL alla "Crispi", tempo donato alla lettura

Enza Bertoni
La collaborazione dell'associazione Monteverdelegge per la promozione alla lettura e la scuola elementare Francesco Crispi, continua anche quest'anno. L'incontro avuto con alcune insegnanti, che intendono avvalersi di questo servizio volontario per migliorare le potenzialità di ciascun allievo, è stato positivo e favorevole. E' un segnale significativo ed innovativo nell'utilizzo delle risorse del territorio. Tutto ciò non "porterà via tempo" ma rafforzerà la lettura.
Noi di Monteverdelegge ci crediamo.

martedì 20 ottobre 2015

La meraviglia di legger libri

Holbein il Giovane, Gli ambasciatori
G. Luca Chiovelli

Credetemi, leggere tanto per leggere mi disgusta. Come offrire dolci a chi ha fatto indigestione di cioccolata. Leggere come terapia, leggere l'ultima novità, leggere il libro dell'amico ... tutto ciò mi ripugna irresistibilmente ... per tacere dell’orrore che ispirano ormai i libri ... con quella carta crocchiante … un olezzo acido da sbrigativa cartiera fordiana … edizioni inutili di autori inutili, che presentono già il macero, fetenti d'effimero, con risvolti allucinati e copertine d'un kitsch lisergico ... no, tutto questo non è il mio regno di lettore.
Solo l'avidità della conoscenza m'ispira il desiderio bruciante della lettura, non altro.
Se tale brama manca preferisco poltrire nell'ignavia.
Non leggere niente, in tali condizioni, è più nobile del leggere qualcosa – una cosa qualsiasi, a caso.
Rassomiglio insomma a Sherlock Holmes che, in mancanza d'uno stimolo intellettuale, si abbandona a una letargia melanconica, alleviata appena dalla cocaina (in vena una soluzione 7%) o dagli spettrali accordi del violino, che inseguono i saliscendi tartiniani del Trillo del diavolo ... nel salottino a Baker Street, mentre il reduce dall'Afghanistan John Watson, in poltrona, davanti al fuoco inglese d'un caminetto inglese, serrato fuori l'umido lividore dei pomeriggi invernali di Londra, segue con occhio ansioso e clinico tali manifestazioni depressive, da umor nero.
E cosa ci strappa dalla depressione, a me e Sherlock?
L'ansia di capire, di scoprire, di sollevare il velo dipinto dei fenomeni. L'ansia di conoscenza brucia l'anima, non c'è niente da fare ... basta un piccolo accenno, quasi sempre casuale, un minuscolo arzigogolo che risale alla mente, un addentellato trascurato nel mare della conoscenza e una frenesia incontrollabile scuote le mie membra intorpidite di lettore. Allora sì che è una festa ... ma che dico: festa? È, clinicamente, come per Holmes, una libidine maniacale, incontrollabile, travolgente. Un piccolo spunto, si diceva ... un esempio? Eccolo. Qualche tempo mi ero incapricciato della poesia orientale; cinese e giapponese, ma, soprattutto, persiana. Ero reduce, infatti, da una visita al Museo Nazionale d'Arte Orientale, in Via Merulana, a Roma. 
In una bacheca lessi una breve lirica ricca d'una metafora che esercitò su di me un fascino profondo, inspiegabile: il poeta paragonava la propria amata a un cipresso.
Non ricordavo chi fosse l'autore; tornai al museo, ma non riuscii a ritrovare il cartiglio fatale. Feci qualche ricerca; forse il poeta era Amir Khusrow. Non fui capace nemmeno di ritrovare l'esatta lirica; una che le si poteva approssimare era questa:

Il parco ha cipressi, larici e pini
ma nulla ti somiglia mia divina, mio cipresso.
Non hai bisogno di pugnali o spade o coltelli
un dardo dal tuo occhio mi rubò la vita.
Il fuoco d’amore è dolce, oh, quanto dolce
ma quest’inferno lo preferisco al paradiso.
Bacia gli occhi del tuo Khusrow, sciocca ragazza,
ogni sua piccola lacrima è come una perla.


Non importava. L'occasione viene sempre dimenticata. Il morbo, però, era già in me, e operava. Mi procurai, già febbricitante, una serie di antologie di poesia persiana del Medioevo.

sabato 17 ottobre 2015

La poesia della domenica - P. B. Shelley, Non sollevare quel velo dipinto ...

Percy Shelley fu uomo complesso, vasto, quasi insondabile.
Compresse in pochi decenni ciò che centinaia di migliaia di individui non riescono ad attingere, se non in minima parte, in tutta la loro vita.
Fu amante della libertà, rivoluzionario e ateista (sulle orme materialistiche del filosofo William Godwin, padre della moglie Mary): per questo pagò con l'ostracismo accademico e la vergogna sociale; fu, però, prima d'ogni altra cosa devoto al bello; era il bello ciò ch'egli ricercava incessante in ogni attimo della propria esistenza, elevata a opera d'arte: la letteratura e la filosofia classiche (in cui eccelleva), la pittura e il paesaggio italiani, il secolo d'oro spagnolo (tradusse Calderon) - ogni manifestazione del genio umano lo attirava irresistibile poiché, traverso d'esso, bramava qualcosa d'inesprimibile e assolutamente meraviglioso che desse senso ai penosi andirivieni terreni.
Tale attitudine naturale, in contrasto colla formazione scientifica (in fondo il Frankenstein di Mary Shelley è Percy Bysshe Shelley), lo portò irresistibilmente a elaborare una sorta di personalissimo (neo)platonismo, ovvero un sentimento del sublime che cerca di ritrovare la perfezione sotto le spoglie della realtà.
Il punto in questione è: in Shelley tale anelito è puramente estetico o anche filosofico?
Probabilmente solo estetico. Shelley sapeva l'amara verità sul mondo, la finitezza e la sofferenza dell'uomo; quell'ansia spirituale - il platonismo - non era che una consolazione propria all'arte più alta: la poesia.
In tal modo cadrebbe ogni contrasto fra il primo Shelley - ateo o, almeno, agnostico - e le accensioni della produzione più tarda, quasi mistiche.
La bellissima poesia Lift not the painted veil sembra confermare tale interpretazione.  
La Vita non è che un rutilante velo di Maia che irretisce l'uomo, soggiogato dai destini gemelli della Paura (della morte) e della Speranza (in un mondo ultraterreno) - un velame sotto il quale si cela solo "un abisso cieco e desolato"; il poeta stesso, come uno splendido e impavido Angelo, ebbe l'ardire di sollevarlo, ma nulla trovò, nulla, nemmeno una parvenza di verità: una sorta di mito della caverna nichilista e privo d'ogni conforto.
Shelley, assieme a Leopardi e Keats, fu uno dei maggiori lirici dell'Ottocento europeo; forse il più grande. Sopravvissuto - in Italia - a sbrigative svalutazioni nonché a edizioni sciatte e incomplete, avrà, nel 2016, un parziale risarcimento: un Meridiano Mondadori riveduto e accresciuto (a cura di Francesco Rognoni) si poserà sulle stracche scaffalature delle nostre librerie.
60 euri ben spesi.


Non sollevare quel velo dipinto, quel che i viventi
chiamano Vita: per quanto forme irreali vi sian ritratte
e tutto quello che vorremmo credere
vi sia imitato a colori capricciosamente,
dietro stanno in agguato Paura e Speranza,
Destini gemelli, che tessono l'ombre in eterno
sopra l'abisso cieco e desolato. Un tempo
conobbi un uomo che l'aveva sollevato: cercava
col cuore suo tenero e sperduto
qualcosa da amare, ma, ohimé, non ne trovò,
né trovò nulla di ciò che il mondo tiene
cui poter dare la propria approvazione.
Passò in mezzo alla folla distratta, splendore
in mezzo alle ombre, una macchia di luce
su questa lugubre scena, uno Spirito in lotta
per giungere a cogliere il Vero,
ma come il Predicatore, egli non lo trovò.

mercoledì 14 ottobre 2015

Conflitti rimossi e sempre aperti in "Adua" di Igiaba Scego


Valerio De Simone
Ambientato tra le città di Roma e Magalo, in Somalia, lungo un arco di tempo che va dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, l'ultimo romanzo di Igiaba Scego ha per protagonisti Zoppe e sua figlia Adua (da cui il libro, appena uscito per Giunti, prende nome), i quali, in epoche differenti, narrano al lettore le loro esistenze mettendo in luce cosa significhi essere un migrante, uno straniero. A differenza del suo primo romanzo Rhoda (Sinnos, 2004), con Adua Scego sceglie quindi di raccontare - per dirla con le parole di Gayatri Chakravorty Spivak - la subalternità dei soggetti coloniali.
Il termine sottomissione è infatti elemento comune nelle vite degli eroi. Grazie al lavoro di interprete, Zoppe riesce a coronare il suo sogno di raggiungere Roma, città da lui venerata. Ma come accadde per il soggiorno romano di Giacomo Leopardi, ne rimane profondamente deluso. Mentre sua figlia, l’aspirante attrice Adua, viene “presentata” nella grande città come Saartjie Baartman la Venere ottentotta, con la promessa di divenire una diva di Cinecittà. A incrinare il loro rapporto con la città sono le violenze che subiranno in primis sui loro corpi. Zoppe viene brutalmente picchiato e arrestato dai fascisti in quanto “negro”, mentre il corpo della giovane, come una colonia, verrà brutalmente “conquistato e defraudato” da produttori cinematografici e magnati dell’ambiente. L’elevazione a feticcio della giovane donna per il suo carattere “esotico” mostra come i “saccheggi” dei colonizzatori italiani non siano cessati con l’indipendenza della Somalia (1960), aprendo così a una lunga stagione di neocolonialismo.
Divenuta adulta e ormai matura, Adua, il cui nome è stato scelto dal padre per ricordare «la prima vittoria africana contro l’imperialismo» (battaglia a cui il regista Haile Gerima ha dedicato nel 1999 il film Adwa – An African Victory),  assiste ai nuovi flussi migratori che interessano il mediterraneo e quindi l’Italia. Sceglie così di sposare un giovane somalo in fuga dalla povertà e dal conflitto, emblematicamente soprannominato Titanic. «Io lo so che Titanic – dice il giovane somalo a sua moglie - è un film dove tutti muoiono. Ma ricordati che io non sono morto». In realtà la loro relazione sembra essere più quella di una madre con un figlio che di due amanti. E consapevole che il ragazzo non è davvero innamorato di lei, e presto “spiccherà” il volo verso altri luoghi più ospitali, alla donna non resta che cercare nella città di Roma un conforto confidandosi con l'elefantino del Bernini e  raccontando alla statua silenziosa la propria storia, le speranze, i sogni, i rimpianti.
Roma insomma, con le sue architetture, le sue strade e le sue storie, non è solo uno sfondo neutro alle vite dei nostri eroi, ma si fa parte attiva allo svolgersi delle loro azioni fino a diventare un personaggio a parte intera. Proprio la capitale, dove le tracce del colonialismo italiano sono tuttora evidenti come Scego ha splendidamente mostrato in Roma negata – Percorsi postcoloniali nella città (Ediesse, 2014), si trasforma da miraggio di speranza in un luogo freddo e poco sicuro.
Caratteristica distintiva del romanzo, e in generale dell’intera opera del’autrice, è la presenza dell’ibridismo linguistico tra italiano e somalo (ovviamente corredato da un glossario finale), che sottolinea - come già Gloria Anzaldùa aveva fatto in Terre di confine/La Frontera (Palomar, 2000) - le numerose identità del soggetto migrante, il suo appartenere contemporaneamente a due culture: una del colono, l’altra del colonizzatore.
Dunque Adua è una storia che ci racconta di conflitti mai terminati, di migrazioni, di imperialismo, del colonialismo italiano «uno dei grandi rimossi della storiografia del nostro paese», di neocolonialismo, di sfruttamento dei corpi, ma soprattutto di sogni, spesso infranti, e di speranze.

venerdì 9 ottobre 2015

Mvl teatro: al Vascello Tre sorelle e un "grande fratello"



Maria Cristina Reggio


Tre sorelle con un destino comune:  una vita, anzi, una Villa dolorosa. Questo è infatti il titolo dello spettacolo inaspettatamente brillante  (a dispetto del titolo) di Roberto Rustioni che conclude la XXII edizione di Le vie dei Festival e contemporaneamente apre la nuova stagione del Teatro Vascello di Roma. Queste "Tre sorelle" hanno gli stessi nomi Olga, Mascha e Irina, delle protagoniste dell'omonimo dramma che Cechov scrisse all'alba del 1900, e hanno un pure un Andrej come fratello, ma condividono (come suggerito palesemente dal titolo) con quelle che potrebbero essere state le loro bisnonne uno stesso sentimento, il dolore di vivere. L'autrice di questa riscrittura contemporanea della pièce cechoviana è una giovane drammaturga tedesca classe 1974, Rebekka Kricheldorf, che trasforma i russi figli orfani di un generale di provincia in altrettanti figli di una coppia di intellettuali tedeschi, morti da poco in un incidente stradale e proprietari di una villa in rovina. La morte dei genitori sovrintende sulla vita dei figli a loro sopravvissuti, giovani e non più giovani, con nomi e destini simili a quelli dei loro modelli di inizio Novecento.

Il testo, scritto sulla traccia dell'originale russo, ne dilata alcuni temi, come la festa di carnevale che apriva il dramma e che diventa una festa di compleanno di Irina ripetuta per tre anni successivi e ne prosciuga altri, come i personaggi esterni alla famiglia che diventano solo due, un maschio Georg (lo stesso regista, Roberto Rustioni), il maschio fascinoso emblematico e sorprendente per quella famiglia e una femmina, Janine, anch'essa in qualche modo paradigmatica di una femminilità estranea al nucleo famigliare. Nella regia di Rustioni, che con questa opera continua il suo percorso di ricerca su Anton Cechov, iniziato qualche anno fa con i Tre atti unici, e proseguito all'interno di un percorso laboratoriale sfociato in questo spettacolo, il testo ambientato in Germania si impregna dell'esperienza vissuta da un gruppo di giovani della capitale con il loro strascinato linguaggio romano fino a diventare lo squarcio spazio-temporale di vita di un piccolo gruppo di ragazzi, tanto simile alla vita vera da ricordare agli spettatori la formula conosciuta del "grande fratello" o di una probabilissima e poco esotica "isola dei famosi".  E in effetti il paragone non è casuale: lo stile della recitazione improntato a un forzato realismo linguistico privilegia il turpiloquio che caratterizza l'ostentata povertà di linguaggio tipica di quei reality televisivi in cui una finta realtà si esibisce al posto dell'autentica finzione teatrale per testimoniare la necessità di coloro che vi partecipano, di esistere, come personaggi, almeno nella rappresentazione.

Le "sorelle"che improvvisano per la platea le loro danze etiliche su corredo di musica dello "stereo" lanciata "a palla" ricordano le stesse danze compiute dai personaggi dei reality di  fronte all'occhio vigile e vertoviano della telecamera e il loro balletto apparentemente compiuto in solitudine come  di fronte a uno specchio è fatto consapevolmente per essere goduto da un pubblico televisivo di una telecamera nascosta, indulgente e divertito di fronte alle storture di una goffa danza improvvisata, come pure le battute divertentissime di una comica Olga, brava e icastica come il personaggio comico di un varietà televisivo. A parte qualche banalità di routine ormai in molti spettacoli contemporanei come le inutili proiezioni video e l'intrusione fastidiosa di alcuni inserti musicali pop ad alto volume, questi frammenti di dolorosa vita famigliare cechoviana colpiscono con efficacia gli spettatori a cui si rivolgono attraverso la sottigliezza comica che, nello scoppio delle sommesse risate svela, nel dipanarsi di situazioni tanto conosciute quanto quotidiane, la difficoltà degli affetti, delle relazioni umane e delle scelte di una vita vuota, inutile, straziata.  

mercoledì 7 ottobre 2015

Mondazzoli? Poche storie, il monopolio è già fra noi

G. Luca Chiovelli

E cosi la Mondadori ha comprato la Rizzoli.
Sempre che l'Antitrust non decida diversamente.
Ma qual è, in verità, il ruolo dell'Antitrust? Quello dell’invitato al matrimonio che, quando il prete biascica, stremato dalla consuetudine: “Se qualcuno ha qualcosa da dire parli o taccia per sempre”, se ne sta ben zitto; d’altronde tutti gli altri invitati (e il prete e gli sposini) vogliono solo una cosa, altro che obiezioni: il maledetto sì, se non altro per farsi una mangiata e sfilarsi le scarpe troppo strette sotto il tavolo.
L'Antitrust, perciò, sono sicuro, s'acconcerà all’unione (magari lagnandosi un po’ a rate, giusto per darsi un tono).
E così abbiamo il “grande gruppo monopolista” dell'editoria.
Il 35-40% di concentrazione nelle mani di un unico soggetto.
Sorbole!
Reazioni diffuse delle anime belle: piagnistei, piagnucolii, vergini violate, vergini violati, indignazioni, spetezzi libertari, stracciarsi di tuniche da Tempio di Gerusalemme.
Il 35-40%.
A dir la verità l'entità della percentuale mi ha un pochino deluso.
Credevo si trattasse di almeno il 70-80%.
Il 35-40 %, secondo me, è percentuale non congrua al cretinismo della società italiana attuale.
Mi spiego.
In una società, quella italiana del 2015, ormai anestetizzata, zombificata, devitalizzata, rintronata, senza passioni, irrilevante nel contesto internazionale, egemonizzata da mezze tacche intellettuali, in uno stato di vivacità cerebrale prossima non alla morte, già sopraggiunta, ma al disfacimento e alla putrefazione - in tale società, dicevo, il 40% di monopolio editoriale significa un grado di libertà di cui gli Italiani (gli zombi, idioti, cretini, ottusi, zotici e fessi di cui sopra) non sanno che farsene.
Il 35-40% significa che il 60% non è ancora sottoposto al monopolio del male ... 
Per come siamo messi, invece, la Mondadori dovrebbe raggruppare almeno il 90% del mercato editoriale; solo il 90% - una situazione di vero mono-polio - rispecchierebbe con assoluta fedeltà l'asfissia terminale della nazione.
Il monopolio lo permettiamo noi col nostro comportamento.
Il monopolio è l’espressione della nostra impotenza.
Ragionate: con la libertà, noi, che ci facciamo?
Esaminiamo tale ristretto ambito: libri giornali distribuzione; cultura, insomma.
Sappiamo ormai come funziona il gioco.
Non esiste in Italia un dibattito qualsivoglia; una linea alternativa a un vago pensierino unico; un dissenso; un non serviam; un no pronunciato con forza: siamo come quei nobili da restaurazione de La Certosa di Parma che si pregiano d'essere illetterati per non essere tacciati di ansie rivoluzionarie; il cinema e il teatro vivacchiano di sussidi; i giornali non esistono più; la televisione fa ribrezzo; la scuola è in dismissione, l'università non si sa più cosa sia. Abbiamo abolito il passato, non lo comprendiamo più, ci è estraneo; le vendite dei libri sono a picco così come il numero effettivo dei lettori (che si aggira, sono benigno, sul 15-20%) tanto che alcune nobili istituzioni sono costrette a taroccare i dati per farsi belle. I musei sono semivuoti, le aree archeologiche abbandonate, sugli affreschi etruschi delle camere ipogee di Cerveteri fiorisce incontrastata la muffa. Sulla musica posso testimoniare personalmente: pochi ci conoscono, nessuno ci stima a pieno: siamo irrilevanti; emergono realtà thailandesi, neozelandesi, brasiliane, calmucche, ma l’italianuzzo, piccolo, microscopico, provinciale e bamboccio non se lo fila nessuno.
Personaggi di rilievo internazionale non ne abbiamo.
Viviamo una sorta di autarchia del nulla.
Scambiamo per vette innevate dei cumuli di merda.


La destra e la sinistra culturale (coi loro rispettivi esponenti un tanto al chilo) si acconciano allo realtà, barcamenandosi fra la mammella statale (RAI, premiuzzi letterari, finanziamenti a pioggia: c’è ancora da succhiare lì) e il mecenatismo berlusconiano.
È il patto del Nazareno, insomma, esteso a tutta la penisola, a qualsiasi livello: utenti, cittadini, autori, intellettuali.
Una resa così devastante al dio flaccido dell'ignavia non s'era mai vista.
Per questo dico: il 35-40% è ancora poco.
Una superMondadori guidata da Concita De Gregorio e Barbara D’Urso, che fagociti tutto (il 100%), non cambierebbe d'una virgola la situazione culturale della nazione, anzi, come detto, non farebbe che ricalcare con fedeltà la morte cerebrale del cuore dell’Europa.
Una SuperMondandori renderebbe persino tutto più chiaro, e ci libererebbe, per di più, dai fastidiosissimi belati degli antiberlusconiani.
Perché, se non l’aveste ancora capito, per qualche anima bella è ancora colpa di quel despota di Berlusconi. Ah, Berlusconi, questo nome antico che ancor risuona sì dolce... il Berluska, il cattivaccio, il caprone espiatorio ... i girotondi, il conflitto di interesse, l'occupazione della RAI, l'editto bulgaro ... oh oh oh, cosa mi ricordo: l'editto bulgaro ... che bei ricordi ... la nostalgia di quei momenti di abissale stupidità vela subito il mio occhio con salse lacrime ... flow my tears ...
Vi rendete conto? Per qualcuno l'Italia era ed è nella merda per colpa del monopolista Berlusconi ...
Va da sé che i più solerti nell'antiberlusconismo (quali alibi per le loro colpe) sono, di solito, quelli che prendono i soldi da Berlusconi ... o quelli che il potere editoriale di Berlusconi ha reso personaggi di prima grandezza ... in Italia of course ... all'estero i loro parti letterari son carta da riciclo ... però questi ancora parlano, e discettano, e cianciano, e parlano parlano parlano ... gente che da una vita si sostenta con le tasse dei contribuenti tutti, o degli ignoranti di Italia 1, o degli spin doctors della Einaudi è ancora lì a fare le barricate ... le barricate a Berlusconi! Oh, vergogna, dov'è il tuo rossore ...
Certo che i Berlusconi (Marina o Silvio) di risate se ne fanno tante ... me li immagino mentre compulsano distratti le lagnanze liberali di questi cialtroni ... hai sentito Marina che ingrati, gli fa Silvio ... e giù risate ... almeno da parte di Silvio ... Marina, quella, non ride mai, e manco parla; è una donna prudente: non sia mai che, nelle more del cachinno, si sganci qualche allaccio sottocutaneo ... sarebbe il patatrac ...
Ma le prefiche sinistre debbono recitare ancora la loro parte da guitti: è la concentrazione editoriale, la fine-di-mondo, la dittatura ... come no, sicuro ... e il Premio Strega chi ve lo fa vincere, minchioni?
Ma sono, appunto, guitterie ...  figuriamoci se questi credono a qualcosa ... alla pagnotta di sicuro. Pure quelli di destra: credono a qualcosa loro? Ammesso che esistano ... chi c'è a destra? Massimiliano Parente? Parente è di destra? Se all'Action Française avessero presentito tali discendenze si sarebbero suicidati in massa.

E poi entra in scena anche la politica.
I politici italiani hanno nel sangue il sadismo proprio degli psicopatici ... inscenano la consueta, ignobile manfrina ... Mondazzoli è una spartizione di potere, nulla più, eppure questi devono recitare per quei quattro fessi ancora da imbonire.
La recitano male, la manfrina, ma agli italioti queste mossette da filodrammatica di periferia bastano e avanzano. Non solo, ma agli italioti-anime belle la manfrina serve per sgravare la coscienza e autoassolversi. Ecco, ai massimi livelli, fra Ministro e Caporione del Governo la manfrina sulla Mondadori cattiva:
1.El Ministro de la Cultura si dichiara un zinzinello preoccupato per il mercato del libro.
2.El Comandante de Florencia invece no: no estoy preocupado, dichiara. Seppur condivido, continua, ghignando sotto i baffi da caballero, la grave preoccupazione del compañero Ministro de la Cultura.
3.El Ministro de la Cultura, dal canto suo, trattenendo una risatina, replica che entiende mucho la comprension del Conducator de Florencia, suo collega di governo, il che gli rende l’animo un poquito meno preoccupato di prima, seppur – lo ammette - un filo de preocupacion la tiene ancora - preocupacion che gli roer en el interior.
4.Ma El Comandante de Florencia asegura todos que la situación está bajo control: tutto è sotto controllo. Nulla di cui affliggersi.
5. El Ministro, di fronte a tale rassicurazione, se mette el corazon en paz: todo bien.

E finisce lì. Missione compiuta. La pantomima a uso dei gonzi è fatta, ora il parco buoi può tornare a dormire; non si disturbino i manovratori.
Per loro (Ministro e Caporione) vale l'immortale frase di Tex Willer, recitata all'apparizione del cattivo di turno, circondato dai propri scagnozzi: "Toh, si alza il sipario ed entrano i pagliacci".
D'altronde di cosa devono preoccuparsi? Son tutti d'accordo: Berluska, El Conducator, El Ministro de la Cultura, nonché i sopraccitati scrittori, intellettuali e operatori del settore.
L'unico cruccio degli scrittori e intellettuali italiani non è certo il monopolio berlusconiano e la morte della nazione, di cui non gli frega una beneamata mazza, al pari di letteratura, arte, scuola, cultura, monumenti; così come gliene frega assai poco dei poveri, delle commesse e dei guardiani notturni. No, l'unico cruccio sono i dissidi interni per il potere.
La sistemazione alla RAI dei cespugli di centro, ad esempio. Qualche strapuntino agli altri volonterosi. Un posticino ai musei, ai giornali per il vecchio riciclato o trombato forzista o casinista o finiano che tanto ha dato alla nazione.
A sinistra (la parte del leone) ci si scanna fra la sinistra istituzionale e la sinistra-sinistra: vinceranno i paludati del PD-CGIL o gli sbarazzini Vendola Landini e frattaglie comuniste assortite? Questo il busillis. Nanni Moretti o Claudio Caligari? Alessandro Gassman o Ascanio Celestini? Margherita Buy o Emma Dante? Sono scontri epici ... El Comandante de Florencia e Berluska, affacciati al balcone, si scompisciano.

E il maggior intellettuale italico vivente? Che fa, quello? Parla?
Macché, quello redige dispense divulgative per Repubblica.
L'Italia crepa, il Medio Oriente s'infiamma, gli imperi declinano, il sacro muore, la disoccupazione mondiale s'avvia a strutturarsi definitiva e irreversibile, la Costituzione è ormai ex, il patrimonio artistico e paesaggistico si sbriciola, e quello? Si produce in ben due memorabili j’accuse:
1. gli utenti dei social network sono dei minus habentes
2. gli Italiani sono dei cafoni perché non danno del Lei
Sorbole!

Vedete bene che se queste sono le vette, il 35-40% riflette poco dell'attuale situazione; la Mondazzoli, insomma, deve darsi da fare per stare al passo colla spaventevole piattezza, con la corruzione e il micidiale conformismo della scena culturale del Belpaese ... non si può che richiedere, perciò, uno sforzo supplementare ai monopolisti ... si accaparrino almeno il 70%, dai ... suvvia ... questa piccola e media editoria, ad esempio, che ci sta a fare? La verità, signori, dalemianamente, DICIAMOCELA: a che serve la piccola e media editoria? A riunirsi una volta all'anno a Roma in uno dei convegni più squallidi, nichilisti, anempatici, antiletterari che si ricordi a memoria di amante della letteratura? A che serve? A pubblicare libercoli di Ayurveda? Saggi sul sindacalismo nella bassa parmigiana fra 1910 e 1922? Le memorie del lattaio di Virginia Woolf? Le avventure di Birillo, cane arzillo? L'orgasmo tantrico nel Medioevo birmano?
Spazzatela via ... Bomb 'em all ...

E anche le piccole e medie librerie ...  a che servono? Elena Ferrante me la compro in un megastore con lo sconto ... anzi, la ordino su Amazon con un doppio sconto e bacio editoriale ... c'è bisogno di traversare il traffico della città per andarsi ad accattare una brossuraccia che poi, forse, manco si trova, e tocca pure ordinarla? ...  e poi, quando arriva, occorre rimettersi in marcia e riattraversare l'inferno ... per non parlare delle altre noie: la socializzazione, il rapporto umano coi librai ... inciampi che col digitale non si hanno più … per tacere degli spicci di resto ... perché il piccolo libraio, che suda sotto la pressione dei megastore, Amazon, Equitalia, e dei distributori bastardi, alla fine, per fidelizzarti, ti ha fatto lo sconticino all'osso del 10% .... su 17 euri ... e quindi, alla fine della fiera, gli dobbiamo soli 15,30 euri ... eh, questi trenta centesimi ... niente, non si trovano .... ci si fruga convulsi e scoglionati - ma col sorriso - nelle tasche dei pantaloni, della giacca, della camicia, si fruga nel borsello, nella borsa, nel salvaspicci ... non fa niente non fa niente ... ma no, è il principio ... il principio ... e intanto si pensa: ma porca m ... ma se me ne stavo davanti al computer con la carta di credito a quest'ora già me lo stavo già a legge er maggico libro della pretendente al Nobel Elena Ferrante (assieme al nostro maggiore intellettuale) ... e, mentre cliccavo sull’ordine, davo pure una spizzata a met-arti.com ... e invece ... ah eccoli! Eccoli! Lo dicevo io ... dieci, venti e trenta ... no, il pacchetto non serve, grazie ... una bustina, magari ... arrivederci! E grazie! Arrivederci! E mi raccomando ... resistete ... sì, resistete ... piccolo è bello ... piccolo è libertà ... questo il segreto ... ah, i piccoli librai la piccola editoria ... le buone piccole cose di una volta ... arrivederci! Arrivederci! ... ma chi ce torna più ...

Il monopolio e la dissoluzione sono fra noi, cercate di intendere ...
Quando una nazione subisce senza fiatare, senza alcuna dimostrazione di vitalità, lo stravolgimento della Costituzione e della propria storia, la devastazione della bellezza, l'umiliazione dei migliori, è già pronta per il servilismo di massa, altro che Mondazzoli.
Di quale scandalo parlano questi libertari alle vongole, questi ipocriti?
Gli eventi politici ed economici e, in tal caso, editoriali, lo ridico per quelli che hanno la cervice di ferro, non sono che prese d’atto dell'orribile conformismo già in atto e di cui noi tutti (con diversissimi gradi di responsabilità, però) siamo complici.
A questo stato di cose nulla può opporsi. Anzi, per citare Massimo Cacciari: occorre favorire il male e la dissoluzione, non ritardarli. Solo quando il male, la dissoluzione e lo schifo saranno dispiegati alla massima potenza qualcuno di noi, forse, avrà la voglia e la forza di tentare di rovesciare il tavolo (anche perché non ci sarà nulla da perdere).

Ad minora!

martedì 6 ottobre 2015

Laboratori crescono e… collaborano

di Anna Maria Rava

Bilancio più che positivo per il laboratorio di microeditoria, che ha in cantiere per l’autunno molte novità. In particolare segnaliamo qui la sua collaborazione con il laboratorio di traduzione, in occasione del reading di Marianne Boruch alla John Cabot University.
Tutte le poesie “romane” della Boruch,  che in passato ha soggiornato a Roma come borsista, ospite dell’American Academy, sono state raccolte in un cofanetto artigianale fatto a mano, dono molto apprezzato dall’Autrice. Se ne parla nel resoconto del laboratorio di traduzione, che postiamo di seguito nella versione definitiva (completata e limata rispetto a quella postata in occasione dell’evento).


sabato 3 ottobre 2015

La poesia della domenica - Fausto Rossi, Blues

Cantautore friulano (ma visse lungo tempo a Milano), Fausto Rossi fu uno degli alfieri della musica cosiddetta new wave, l'ondata dei primi anni Ottanta che subentrava al progressive del precedente decennio e alla breve esplosione del punk.
Blues è canzone tratta dall'album Exit, in cui Rossi recupera la forma tradizionale della canzone, superando la parentesi elettronica; una sorta di spietato e stralunato flusso di coscienza, biascicato con voce impastata, da parte di chi è totalmente disilluso della propria esperienza umana e politica.
Una composizione rock di rara forza, almeno nel panorama italiano.
Sarebbe bene seguire il testo con l'ausilio del video di youtube, che troverete più sotto.

Ci sono uomini che toccano il denaro come fosse energia
uomini che perdono la loro vera voce molto presto nella vita
che parlano di cose che non hanno mai visto nella loro vita
milioni di uomini a cui altri uomini hanno distrutto il corpo
modificato i sogni posseduto la coscienza
in cambio di luce artificiale
uomini che adorano la scienza come fosse Dio e nominano Dio come fosse vero
e hanno affidato il proprio corpo al magico potere dell’informazione universale
uomini nascosti sotto una bandiera
che come bambini tradiscono sé stessi e gli altri per paura
che guardano la televisione solo 5 minuti alla settimana
e per questo si sentono migliori di altri uomini
ma comunque non riescono a farla finita
uomini che parlano di arte come fosse natura
e guardano la natura come fosse un quadro
uomini che prendono le difese di jugoslavi indios portoricani africani indiani
così li fanno morire
ci sono uomini giovani che entrano in ‘centri sociali’ come in una chiesa
e non li capisco
uomini vecchi che piangono abbandonati
e muoiono soli ovunque nel mondo
ma non c’è davvero niente che possiamo fare
uomini che parlano di anima reincarnazione spirito
e non sanno nemmeno loro di che cazzo stanno parlando
uomini che detestano questa società
        e hanno già pronte le loro nuove regole
ma dovranno usare le armi come sempre
ci sono milioni di uomini che hanno perso la ragione per paura della solitudine
la solitudine che opprime
la solitudine che dilata la mente
la solitudine che è malinconia di tutte le coscienze del corpo
la solitudine che è una striscia di sangue sulla propria porta
        lasciata dall’angelo nella notte
la solitudine che umilia il potere e fa strisciare i suoi idoli ai miei piedi uno per uno
la solitudine che è potenza del corpo luce naturale e bisogno d’amore
la solitudine che è smettere di avere paura
la solitudine che è la fine del regno di Dio
ogni cosa su questa terra è tenuta sotto controllo
le macchine gli uomini
milioni di uomini essere umani rinchiusi in prigioni e manicomi
a Milano come Teheran Los Angeles Johannesburg Cuba Giappone
e non li possiamo salvare
ognuno di noi può tentare di salvare sé stesso
ci sono uomini che si preoccupano continuamente delle guerre degli altri
cosi nascondono la propria guerra dentro ognuno di loro
uomini che cantano parole il cui senso è la morte dell’immaginazione
che suonano musica etnica perché nelle loro vene scorre il sangue di missionari
mercanti e militari e come loro pensano un nuovo ordine del mondo
uomini che hanno inventato la parola ‘arte’ per mezzo della quale controllano
e dividono essere umani
inventano cataloghi di emozioni e producono guerre sante
arte, il cui concetto appartiene a chi l’ha creato
a chi possiede armi più feroci e potere più vasto
dovrete battervi per instaurare il vostro e non è uno scherzo
uomini che hanno inventato la malattia mentale psichiatri
gente che tratta cervelli per conto del governo
e per dimostrarlo hanno distrutto il cervello di
milioni di essere umani e cosi hanno inventato le droghe
e i tossicomani
la pazzia
gli psicofarmaci
inventano il bene e il male e tengono sotto
controllo ogni pianta o fiore presente su questo pianeta
e hanno inventato una sola mente possibile
- e allora diventate incurabili
uomini intellettuali che passano il tempo a frugarsi nelle tasche l’uno con l’altro
uomini che collaborano con il governo leggendo giornali
ascoltando radio
guardando televisione
giocando con i computer
uomini che parlano di tabacco mortale
e non una parola sulla radioattività che contiene
uomini che vestono in uniforme
armi nelle tasche
e fanno paura perché hanno potere assoluto
perché ce ne sono milioni in tutto il mondo e hanno le armi migliori
e sono tutti d’accordo perché sono un esercito organizzato per difendere
il cuore della ‘grande macchina’
le masse di gente si aprono quando passano
con le loro sirene alta velocità e poi le ali si richiudono
in silenzio
nessuno può parlare
il Grande Fratello ascolta
fanno paura perché sequestrano uomini che nemmeno conoscono
e lo fanno per conto di altri
giudici direttori di manicomi e galere
nazisti
scienziati
agenti segreti
comunisti
e possono fare di me quello che vogliono
ma continuo a pensare che tutti loro sono una sola banda di mostri
cosi come i cristiani
gli ebrei
i pacifisti
i buddisti
gli ecologisti
gli adoratori del culo di Satana
i principi indiani che uccidevano i vecchi cavalli a bastonate
e tutti gli altri che rappresentano sempre qualcos’altro
mai il proprio Io disperato
guardo la luna attraverso gli alberi
e vedo i milioni di esseri umani miei compagni su questa terra
ma come posso distinguerli se hanno una sola espressione
come cazzo faccio a capire le loro parole se non parlano
come cazzo faccio a distinguere la terra dal cielo se continuano a spostarli
io sono cambiato il mondo non è cambiato
qui intorno a me nel silenzio ogni cosa pronuncia il suo vero nome
perché non gli uomini
perché non le banche merdose che usano il mio denaro per finanziare guerre
ricerche fantascientifiche e quel denaro non è mio
perché non gli scienziati completamente pazzi
che volano nello spazio come avvoltoi
perché non la chiesa cattolica che stanotte
24 dicembre ’95
rinnova il suo potere sul mondo
perché mi sento staccato da terra e lontano dal cielo e catene d’oro ai miei piedi
milioni di uomini che tutti insieme sono un unico animale grasso e squilibrato
con pelle di alluminio senza muscoli né ossa
solo l’osso del cuore
che non capiscono che il nuovo mondo esiste oltre ogni stato e politica
governo e religione
e come dire la verità su sé stessi senza sentirsi perduti