giovedì 18 giugno 2015

Errante con stile

La presentazione del libro, JCU
Fiorenza Mormile

Maria Adelaide Basile, Viaggi, Campanotto editore, 2014

La vita è un viaggio, secondo una metafora abusata. Per alcuni tuttavia lo è in modo più pieno, caratterizzante, e Adelaide Basile è senz'altro  tra questi. Il suo esordio poetico Viaggi, edito alla fine dello scorso anno da Campanotto  è solo in minima parte il reportage di vari     spostamenti da Roma (la Puglia, Parigi, Venezia) e di protratti trasferimenti (un anno in Guinea Conakry, dieci negli States), che a differenza del viaggio breve imprimono segni più profondi e irreversibili: "c'è  il colore così  intenso più  intenso/ dei frutti e le stoffe ti rimane negli /occhi ma nel corpo anche/ l'averlo incontrato ". Nella sorvegliatissima architettura Viaggi  è  più  un romanzo di formazione in versi, o, potremmo azzardare,  di scomposizione. Soprattutto è un libro in corsa, se non in fuga, che con un incessante movimento rimuove       l'idea dell'ineluttabile stasi. Nell'exergo troviamo "atleti che corrono nel buio/e non sanno né dove sono/ gli altri         dove gli altri sono sconosciuti concorrenti, quindi potenziali avversari, immersi in un buio ossessivamente ricorrente nei testi.
Lo confermano i treni in corsa di notte della poesia d'apertura che "corrono a mete sconosciute"; "lasciarsi trasportare/ non importa dove/ lontano/ si può  trascorrere la vita. Sono i ripetuti trasferimenti estivi della Basile bambina al mare dell'originaria Puglia a schiudere  la linea di senso di un relazionarsi problematico (le " case illuminate" intraviste e distanziate nello spazio subliminale di un battito di ciglia) ribadito dalla poesia successiva dove "anime inquiete  gli uccelli/ non si fermano/ (...) che per frazioni di secondo (...) gli uc  celli migratori poi/ sono sempre sull'ala di partenza/  mentre gli altri (...) vivono così  vicini   che si potrebbe fare amicizia/ ma volano via . " Lontano" è  parola chiave, a indicare       una condizione non solo spaziale ma del cuore, che per troppa vulnerabile sensibilità  erige  barriere protettive e come nella scrittura, scarnificata all' osso, opera per sottrazione.   
Complementare  appare l'uso paradossale di " vicino": illusoria risulta tanto la vicinanza della Croce del Sud , quanto quella degli uccelli che volano via. Figure amorose o potenzialmente tali appaiono e scompaiono: " ti lasciai nel sonno";   "si rincorsero sotto l'acqua/ e fu l' ultima volta (...) raggiunse l'aeroporto/ da sola"; carattere parente tico rivestono sia il piacevole flirt nello scenario cinematografico - transeunte per     antonomasia - della Stazione ferroviaria di Chicago sia la contemplazione a distanza   con andirivieni di sguardi  del " bellissimo" consapevole in Central Park, Manhattan.
Indicativa del rapporto col femminile la contrapposizione di due poesie adiacenti: nella prima si ammira la schiva dignità  delle donne d'Africa " le sue donne erette/ e timide"       versus    l' orrore - generatosi forse per contiguità  occidentale- nei confronti delle americane     fuori   controllo, ubriache e impudiche, dal " ventre scoperchiato". L'io poetico sembra   più  vicino a una condizione infantile, quella di Alice, altra accanita viaggiatrice, attentissima alle stimolazioni sensoriali: colori, suoni, profumi,  pur nella adulta consapevolezza di non    poter contare sulla guida di " un bianco coniglio". Tra i numerosi accenni all'infanzia l' allusione agli insegnamenti ricevuti ma non accettati: "- si possono?- /si devono/ smettere i  sogni. Ma il rapporto con i sogni, anche premonitori, appare invece ben saldo, catalizzato dalle frequenti contemplazioni dei cieli (quanta luna, quanto sole, quante stelle, unici punti di riferimento di  tutti i nomadi, ma pure, a  diverso titolo, care alla Basile  la cui lunga passione per l’astrologia l’ha condotta ad approfondire nel dottorato l’astrologia medievale attraverso Dante). Ancora all'infanzia può rimandare il tema dello smembramento presente nella poesia (che assembla col Romancero spagnolo-  tre cavalieri erranti e 13 cavalli alati che    prefigurano la morte-  lacerti di una vecchia favola truce più volte raccontata dalla zia    materna) e in quella sugli ex voto di Portorico che,  arti " miniaturizzati" e per definizione separati sono " impaccati per il cavallo psicopompo".  L'interesse di Basile per le fiabe e in particolare per lo smembramento rituale del re - come del resto la coazione della zia a riraccontare la fa vola truce- potrebbero ricondursi almeno in parte al gravissimo incidente occorso al padre di Adelaide,   mutilato di guerra- ma forse  anche a quella specie di  smembramento  identitario di un io diviso e plurimo (romano, pugliese,  africano, statunitense) dalle discontinuità difficili da ricomporre.
Riporto quanto dettomi da lei su precisa domanda: “La favola italiana a forti tinte   rientra in una tradizione di narrativa orale che, almeno fino alla mia generazione, era tranquillamente raccontata ai bambini senza filtri 'politically correct', mentre l'attrazione quasi magica        verso gli arti ex-voto è probabile derivi dai racconti di mio padre che viveva la sua condizio ne di mutilato in modo piuttosto fatalista ed ironico. Nella sua generazione del dopoguerra    c'erano molti invalidi e lui ci diceva che chi entrava nel suo ufficio alla Banca d'Italia per      prima cosa vedeva una gamba nel cestino della carta, ed era quella del suo amico che se la   toglieva quando arrivava al lavoro, poi c'era lui senza un braccio. Non aveva mai sopportato il suo arto sostitutivo e lo teneva a casa nel garage. Quindi, pur non avendo vissuto la situazione in modo drammatico, certamente deve aver lasciato un segno.” 
E da questi due testi possiamo partire per sottolineare il tema della morte tanto presente nella raccolta e a ragione puntualmente sottolineato nella densa postfazione di Federica Capoferri: "Dunque la metafora a doppio scorrimento del viaggio come vita - o, al plurale, dei viaggi come somma delle troppe vite che occorrono per farne una- come moto coatto che, mentre          elude il fine, esorcizza l'unica ineludibile fine (il pozzo/ dove la morte/ ho sognato/ separava semi /di cocomero/ diceva/ - non ti preoccupare/ tu va avanti/ a camminare").Il viaggio infatti  bypassa la morte, pur  sfiorandola continuamente:  scegliamo qui di citare il giovane spiaccicato sull' asfalto nell' incauto attraversamento delle Highways. Attenzione è dovuta al rapporto con i due luoghi più significativi: quello con l'Africa è 'a pel  le': "non facile da avvicinare/ ma fu immediato/ il sentirla familiare/ un' infanzia/ solo più       grande."
Quello con l'America appare problematico e ambivalente, e forse proprio per questo più  forte. Lo stupore meravigliato parte ancora da una misura dilatata: "qui i gatti sono travestiti da scoiattoli.  Basile applica ai comportamenti una diversa eppure analoga declinazione del sublime americano in pittura: la solidarietà,  la determinazione, la stessa episodica furia omicida assumono un connotato di grandiosità  che colpisce rispetto alle nostre "comiche imitazioni". E dopo tanti aeroporti, stazioni, attraversamenti notturni di foreste e di fiumi perfino la tragedia dell' 11 settembre coinvolge l'io poetico in una corsa per tornare da Manhattan verso casa, nel New Jersey: " risucchiata / via via verso l'interno tutto il giorno/ all' indietro a superare posti di blocco- frasi concitate poliziotti gentili- in macchina tutto il giorno a tornare/ verso". L’io lirico è sempre colpito dalla solidarietà, sia qui la gentilezza- magari insolita ma catalizzata dall’emergenza- dei poliziotti, sia altrove quella degli africani spuntati dal nulla  a sollevare la macchina in panne in un fosso, per risparire subito dopo. E pur avendo esaminato la dialettica tra lontano e vicino è solo nel rapporto vis-à-vis con la studentessa colpita negli affetti dal crollo delle torri che l’io lirico riesce ad apprendere la  portata del dramma : “senza il tuo viso terreo/ tutto questo / non sarebbe mai divenuto reale/ è il tuo viso / il silenzio dei morti”.
Basile procede per  quelle che Federica Capoferri in postfazione  chiama “microsceneggiature”, in una ricorrente modalità dialogica scarnificata e reticente più vicina ai racconti di Heminguay -o altrove  a certe atmosfere di Salinger- che alla poesia contemporanea, come a voler compensare, col ricorso a un elusivo “tu”, il difficile rapporto con l’altro.
In chiusura voglio condividere delle immagini mentali: la prima  è quella di un immaginario quadro di Magritte (non esiste ma mi nasce dall’exergo) : atleti ambosessi   corrono con la testa fasciata in diverse direzioni su uno sfondo arido e desolato. L’altra è quella di Adelaide,   dopo gli afrori di una notte di bivacco in aeroporto, (e qui  si sovrappongono nella mente la   serie di amari bivacchi che oggi l’emergenza migrazione crea in ogni stazione e punto di do  gana). Ma tornando alla scena citata vedo Adelaide voltare pagina ancora   una  volta, con      l’acquariana aerea inappartenenza degli uccelli da lei invidiati. Sgattaiolata al bagno cambia  vestito, scarpe e tutta fresca e sorridente, infila le sue perle.

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