domenica 15 marzo 2015

La paura genera poesia. Quaderno omaggio 2015: Marianne Boruch

a cura di Fiorenza Mormile
Il laboratorio di traduzione di poesia ha deciso di introdurre accanto all’attività già avviata (dedicata quest’anno ad Eleanor Wilner) un quaderno di traduzioni in omaggio a un poeta in visita a Roma: la statunitense Marianne Boruch, che terrà un reading alla John Cabot University martedi 17 marzo alle 18.
                                     
Nella pur breve scelta si individuano tematiche ricorrenti: la violenza, la paura, l’attenzione ai corpi e alla loro fragilità, l’insistenza sulla loro disgregazione. Come in Hands, la sala di disegno e quella di anatomia  si affiancano, necessarie entrambe. Il falco che divora la sua preda, smembrandola meticolosamente, sembra anticipare la dissezione anatomica della mano (Hands), le statue mutile del foro (At The Forum), così come i martoriati martiri di Old Paintings. La minaccia -della morte e non solo- aleggia costantemente sui vivi e la paura è l’inevitabile risposta, come ben sanno l’uccello che dall’alto assiste allo scempio della gracola (The Hawk) e la viaggiatrice notturna terrorizzata dai continui tentativi di forzare la porta del suo vagone letto (Old Paintings). “The old story. Threat meet dread” ci riconferma anche un passaggio chiave di Rom, Du Bist Ein Welt. Ma appare in Boruch anche un altro timore, quello di non ricordare tutto, di non riuscire a ricomporre a distanza, in una poesia, le forti emozioni del momento. Ecco quindi gli schizzi da Gran Tour nella casa di Keats, come la registrazione puntuale di tutti gli stimoli visivi e sonori (silenzio compreso), siano quelli di un cortile pieno di uccelli, dello sbatacchiare di ferraglia di un treno di notte o del vociare che dalla scalinata di Piazza di Spagna penetra nella silenziosa casa-museo.  Boruch sa accendere anche inaspettati sprazzi di humour, collaudato antidoto alla melanconia: il braccio del cadavere che continua ad alzarsi (Hands), la statua del foro che “non tradisce il dolore per il pene smarrito” (At The Forum), l’aureola dei santi che sembra un piatto da torta  ( Old Paintings). E dimostra anche grande capacità di sintesi: secoli di storia romana riassunti nel giro di pochi versi. La pratica di derivazione etrusca del seppellimento simbolico del fulmine  ripropone indirettamente il tema della minaccia e della paura insieme a modalità antiche di esorcizzarle. Ma anche scrivere poesie, sembra dire Marianne Boruch, funziona.
Ad eccezione di The Hawk, che risale al 2004, le poesie tradotte sono tratte da Cadaver, Speak, edito da Copper Canyon Press nel 2014.

Nota biobibliografica
Nata e cresciuta a Chicago (1950), Marianne Boruch ha al suo attivo otto raccolte di poesia. Le più recenti sono The Book of Hours, 2013, per cui ha ricevuto l’ambitissimo Kingsley-Tufts Poetry Award, e Cadaver, Speak, uscito nel 2014. (La successiva, Eventually One Dreams the Real Thing , uscirà nel 2016). Ha pubblicato due raccolte di saggi sulla poesia, In the Blue Pharmacy e Poetry’s Old Air, e un’autobiografia, The Glimpse Traveler. Insegna sia alla Purdue University (Indiana), dove ha fondato e diretto l’MFA  Program di scrittura creativa, sia nel Program for Writers del Warren Wilson College (North Carolina). Presente sulle più autorevoli riviste letterarie e in importanti antologie è stata insignita di molteplici  riconoscimenti, tanto per la qualità letteraria che per quella didattica.                                                                                                
Da Poems: New & Selected, 2004

THE HAWK
He was halfway through the grackle
when I got home. From the kitchen I saw
blood, the black feathers scattered
on snow. How the bird bent
to each skein of flesh, his muscles
tacking to the strain and tear.
The fierceness of it, the nonchalance.
Silence took the yard, so usually
restless with every call or quarrel,
titmouse, chickadee, drab
and gorgeous finch, and the sparrow haunted
by her small complete surrender
to a fear of anything.  I didn't know
how to look at it.  How to stand
or take a breath in the hawk's bite
and pull, his pleasure
so efficient, so of course, of course,
the throat triumphant,
rising up.  Not 
the violence, poor grackle.  But the
sparrow, high above us, who
knew exactly.

IL FALCO
Era a metà della gracola
quando tornai a casa. Dalla cucina vidi
il sangue, le penne nere sparpagliate
sulla neve. Come l'uccello si piegava
su ogni matassa di carne, i muscoli
protesi allo sforzo e allo strappo.
La ferocia del tutto, la noncuranza.
Il silenzio catturò il cortile, di solito
scosso da liti o richiami,
cinciallegra, passero e fringuello cinerino
e quello sgargiante, e la cincia tormentata
dalla sua piccola resa totale
alla paura di ogni cosa. Non sapevo
come guardare. Come restare lì
o prendere fiato tra i morsi
e gli strappi del falco, il suo piacere
così efficiente, così naturale, naturale,
la gola in trionfo,
che si sollevava. Non
la violenza, povera gracola. Ma la
cincia, alta sopra di noi, che
capiva ogni cosa.



Da Cadaver, Speak, 2014

HANDS
A whole roomful of hands
drawing hands! Then I know I'm thinking too much.
My teacher said keep looking when I figured
done, the broken-off
conte crayon in my fingers.
Early spring, wired urgent with spring
means the catbird
never lets up, his small chaos falling
again, again to the tell-tale whiney note,
the meow of no cat
I ever heard. In reflexology, you press hard
between third finger and the little one
to dull such ringing in the ear.
The hand in cadaver labthe first fully human thing
we did, I thought. No hands alike, raging
small vessels run through themyou'd never
believe how many ribbons. The arm
kept springing up, no
not to volunteer. We tied it down with ordinary rope
you'd get at the hardware store, and even then
The catbird is gray and dark gray but you can't
see him, not with the trees
leafed out. That hurry in a throat, no sound
like another he repeats
sideways, down,
inside out.
A whole room of hands drawing hands!
I still love that. Look away then. You should
look anywhere else
in that other room, hands with a knife to dissect
the hand, no fat there to speak of, busy
traffic of nerve and vein and tendon and trust me,
it stops.

MANI
Tutta una stanza di mani –
che disegnano mani! Lo so che sto pensando troppo.
L'insegnante disse continua a guardare quando credevo di
aver finito, il carboncino
spezzato tra le dita.
Inizio di primavera, elettrizzato pronto a scattare
significa che l'uccello gatto
non smette mai, il suo piccolo caos ricade
ancora e ancora in una nota pettegola e lamentosa,
un miao che non ho mai sentito
da nessun gatto. In riflessologia, premi forte
tra il medio e il mignolo
per smorzare quel suono nell'orecchio.
La mano nella sala di anatomia– la prima cosa umana
che abbiamo fatto, pensai. Non ci sono mani uguali,
attraversate da piccoli vasi furiosi– non
crederesti mai quanti filamenti. Il braccio
continuava a scattare su, no,
non per offrirsi. Lo fissammo con una comune corda
che si trova dal ferramenta, e anche così–
L'uccello-gatto è grigio e grigio scuro ma non
lo vedi, non con gli alberi
pieni di foglie. Quell'urgenza nella gola, nessun suono
uguale all'altro ripete
di lato, in giù,
dentro fuori.
Un'intera stanza di mani che disegnano mani!
Mi piace ancora. Guarda da un'altra parte, allora. Dovresti
guardare altrove
in quell'altra stanza, mani con un coltello per dissezionare
la mano, senza un filo di grasso, traffico
intenso di nervi e vene e tendini e credimi,
si ferma.

AT THE FORUM
Outside, one statue keeps its head.

And inside the museum, so many puzzle pieces missing
in the frescos.  Missing: a belly, a neck, an arm.

Among the upright stone figures, one
can't really bear it, another
leans in to the touch.  Heads crooked, eyes closed– 
pain or ecstasy, who can tell.
Sleepers dream like that, passing through tunnels
of rest, unrest.

The point is sweet or not sweet at all, a face
staring down or straight on.
Hair curls uncombed until a headband stops it.
So many noses
just not there.  Skin, like skin, ribs rough enough
shine under. The fragile scrotum, made of
stone now too, belies its grief
that the penis is gone. Shoulders draped
in the most opulent scarves pierced out, shattered,
soothed by mallet, by chisel.  Opulent. 
I never wrote
that word before. Others rise like
some moon-soaked cloud:  Suggrundaria
graves under the eaves.  Bidentalia, places struck
by lightning– toxic, dangerous. 
A rock buried there equals bolt.  So that's settled.
Just in case, a fence went up around it.
More marking: Practicic di Mare, Ficana and Ardea – the edge
they buried infants, children under 10,
to claim property, 620 B.C.  It works.  The wind cries.
In the museum, it's over and over how those who walk and look
gaily ape the statues for the photograph home,
arm raised when
a stone arm is up, head turned
the same frozen angle.

To see and see.  What to say.  The bent figure of a woman
made of that stone.
A small hand on her lower back.
Nothing else left of the child once attached to it.

AL FORO
Fuori, una statua ha ancora la testa.

E dentro il museo, tanti i pezzi mancanti
negli affreschi. Mancano: una pancia, un collo, un braccio.

Tra le figure di pietra in piedi, una
si regge appena, un'altra
si inclina al tocco. Teste storte, occhi chiusi–
dolore o estasi, chi può dirlo.
Chi dorme sogna così, attraversando tunnel
di riposo, di non riposo.

Il punto è dolce o niente affatto dolce, un viso
che fissa in basso o davanti a sé.
Riccioli scompigliati finché una fascia non li ferma.
Tanti nasi
non più lì. Pelle, come pelle, costole appuntite
spiccano da sotto. Il fragile scroto, ora
anch'esso di pietra, non tradisce il dolore
per il pene sparito. Spalle avvolte
nel drappeggio più opulento strappate a forza, spaccate,
placate dal mazzuolo, dallo scalpello. Opulento.
Non ho mai scritto prima
questa parola. Altre si levano come
nuvole intrise di luna:  Suggrundaria,
tombe sotto le grondaie, Bidentalia, luoghi colpiti
dal fulmine– tossici, pericolosi.
Una pietra sepolta là uguale folgore. Così la cosa è risolta.
Per sicurezza, una recinzione tutto intorno.
Altri segni: Pratica di Mare, Ficana e Ardea– il confine
dove seppellivano neonati, bambini sotto i 10 anni,
per rivendicare la proprietà, 620 a.C. Funziona. Il vento piange.
Nel museo, è un continuo di gente che cammina e guarda
scimmiottando allegramente le statue per la foto ricordo,
braccio alzato quando
un braccio di pietra è in su, testa voltata
bloccata nella stessa rigida angolatura.

Vedere e vedere. Che dire. La figura piegata di una donna
fatta di quella pietra.
Una piccola mano sul fondo della schiena.
Nient'altro rimane del bambino che vi era attaccato.

ROM, DU BIST EINE WELT
   – from the headstone of Hans Barth, buried near Keats in Rome
                                                                                                                                                           
One vast ceiling in this city–  
of course of course, Adam reaching a long way
to touch fingers with a god who
maybe is curious.
Two panels over, Eve takes an apple from
a human hand.  We know better.
It never was a garden, how that arm morphs
from the snake of all snakes
a few feet away.

The old story.  Threat,
meet dread.  The deepest deep sea.
Or outer space with its
light years flashing through dark.

But never to end
loops and still breaks, color
violent, muddied, murdered in the making.
Paint toxic, a blue scarce-brilliant eked out of 
Khyber and Persia, scaffolding so
look down, day grueling day, the most
twisted position to do
an angel's wing right.  Years, the swearing
up there, swirl and swell of rage,
the bad light

huge in the eye
that blinks back an ocean.

ROM, DU BIST EINE WELT
– dalla lapide di Hans Barth, sepolto a Roma vicino a Keats

Un'unica immensa volta in questa città–
certo certo, Adamo si allunga fino a
toccare il dito di un dio che
forse è curioso.
Due pannelli più avanti, Eva prende una mela da
mano umana. Noi la sappiamo più lunga.
Questo non è mai stato un giardino, come quel braccio prende forma
dal serpente dei serpenti
a poca distanza.

La vecchia storia. Minaccia,
incontra terrore. Il più profondo dei mari profondi.
O lo spazio infinito con i suoi
anni luce che lampeggiano nel buio.

Ma senza mai finire
s'incurva e ancora si spezza, colore
violento, torbido, ucciso nel farsi.
Pittura tossica, un azzurro poco brillante ottenuto da
Khyber e Persia, un'impalcatura così
guarda giù, ogni giorno più estenuante, la posizione
più contorta per fare bene
l'ala di un angelo. Anni, a imprecare
lassù, la rabbia che turbina e monta, 
la cattiva luce

enorme nell'occhio
che rimanda un oceano.

OLD PAINTINGS
Someone always lifted into heaven–
the Son, Mary, the Holy Ghost in perpetual
hover, any number
of saints alone.  Or a murder of them,
those martyrs,  their gorgeous flight north
reward for fire, for stones, hot breath in the ear.
Tooth and claw, human style, 
down centuries like a drip.

Night trains now, one from Milano to Roma,
blue blanket, blue sheets in the sleeping car,
a sink, a shelf, all racketing, lurching
over mountain, vineyards, cutting goat trails in half. 
Human nature.  The ticket guy
won't warn us about it: someone keeps trying
our locked door all night. I hear that. 
Then I dream that.

Violent too, how the paintings
rest, gallery after gallery
at the Vatican.  St. Sebastian, his arrows in deep,
up to their feathers.  And the crucifixions– this is the deadest
dead Christ we've seen, my husband says, the skin
pasty gray unto green, the head lolling. 
Then St. Bartholomew (my grade school named for him,
I walked through his door), he can't unlove
being flayed, standard
pie plate of halo off-gassing golden behind him. 
I thought that ended it, passing
into funny
because of distance.  Could.

It didn't.  Not the train,
not the door and door all night,
the rattle, dark
window of it nailed right to the wall.

DIPINTI ANTICHI
Qualcuno saliva sempre al cielo–
il Figlio, Maria, lo Spirito Santo in perpetua
sospensione, un gran numero
di santi solitari. O il loro assassinio,
quei martiri, il loro splendido volo verso nord
ricompensa per fuoco, pietre, fiato caldo nell'orecchio.
Zanne e artigli, alla maniera umana,
per secoli, uno stillicidio.

Treni notturni ora, il Milano-Roma,
coperta azzurra, lenzuola azzurre nel vagone letto,
un lavabo, un ripiano, tutto traballante, sbandando
per montagne, vigneti, tagliando a metà sentieri di capre.
La natura umana. Il tizio dei biglietti
non ci dice niente: tutta la notte qualcuno cerca
di forzare la nostra porta. Lo sento.
Poi lo sogno.

Violento anche il modo in cui i dipinti
riposano, sala dopo sala
al Vaticano. San Sebastiano, frecce conficcate
fino alle alette. E le crocifissioni– è il Cristo morto
più morto che abbiamo visto, dice mio marito, la pelle
terrea tendente al verde, la testa che pende.
Poi San Bartolomeo (la mia scuola elementare aveva il suo nome,
ho varcato la sua porta), non può non amare
di essere scuoiato, il solito piatto
da torta dorato per aureola che sprizza dietro.
Pensavo che finisse lì, diventando
divertente
col tempo. Avrebbe potuto.

Non è andata così. Non il treno,
non la porta e tutta la notte la porta,
lo sferragliare, il suo oscuro
finestrino inchiodato proprio alla parete.

I testi sono stati riprodotti per gentile concessione dell’Autrice.

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