lunedì 5 gennaio 2015

Il libro più misterioso del mondo. Forse.

Sezione astrologica: foglio 68 v
G. Luca Chiovelli

La scoperta.
Nel 1912, presso il Collegio Gesuita di Villa Mondragone (nei dintorni di Frascati) si presentò un americano, Wilfrid Voynich. L'incontro con un rappresentante del Collegio era stato preparato con accuratezza, grazie a una serie di missive.
Voynich, d'origine polacca e lituana, era un cacciatore, nel pieno senso della parola: un cacciatore di tesori. Un antiquario bibliofilo, uno dei maggiori del mondo.
Nelle viscere del Collegio, in alcune casse lignee insidiate dall'umidità e dai topi, fra ragnatele e salnitro, riposavano libri magnifici, edizioni cinquecentesche, meravigliosamente illustrate - una collezione mirabile, lacerto di quella, vastissima, dell'Ordine Generale dei Gesuiti, requisita nel 1873 dopo l'Unità d'Italia e andata a sostanziare il primo nucleo della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II.

Wilfrid Voynich
Fu così che Wilfrid Voynich, in quelle cataste secolari, rinvenne un piccolo e tozzo libretto, dalla copertina ocra, senza alcun riferimento in grado di suggerire l'autore o la materia trattata o il luogo di provenienza.
A prima occhiata, Voynich lo classificò quale sorta di erbario o trattato biologico-cosmologico, scritto apparentemente in caratteri sconosciuti. File ordinate e fitte di parole incomprensibili, nitidamente vergate, e mai interrotte dal pentimento: un errore di scrittura, una cancellatura, una correzione, un inserimento sopra e sotto quella teoria di caratteri implacabili. La calligrafia aliena cedeva il passo unicamente a una serie di disegni, piuttosto grossolani, ma, a tratti, di sconvolgente alterità: se gli erbari sembravano non rimandare ad alcun vegetale conosciuto, era la sezione biologica – in cui apparivano incongrui nudi femminili, pozze liquide, tubi di connessione -  a suscitare la sensazione di trovarsi alla presenza di un trattato magico, esoterico. Stelle, infiorescenze malsane, simbologie zodiacali accrescevano vieppiù l’impressione di disagio.
Voynich presentì immediatamente l'importanza del manoscritto; lo portò a New York e, per lungo tempo, non rivelò a nessuno la sua provenienza. Lo conservò gelosamente, dedicando energie alla risoluzione dell’enigma; sino all’anno della morte, che lo colse diciotto anni dopo. 

Il libro.
Piuttosto piccolo: 22 cm x 15 cm. 4 i centimetri di spessore.
La pergamena è di pelle di capretto.
“È formato da 102 fogli, che danno un totale di 102 pagine scritte e illustrate. In origine, i fogli erano 116, come si è potuto dedurre dalla rilegatura dei vari fascicoli. Vi sono anche cinque fogli ripiegati a metà, tre fogli ripiegati tre volte, un foglio ripiegato quattro volte ed un foglio con ben sei ripiegature”.
I caratteri del linguaggio usato sono 250.000.
Le parole (ciò che si suppone siano parole) sono 4182. "Di queste 1284 sono presenti più di una volta; 308 appaiono da otto volte in su; 184 da quindici volte in su; 23 sono presenti da cento volte in su".

La struttura.
Gli studiosi hanno suddiviso il libro in sezioni tematiche, suggerite dai numerosi disegni.
Sono ripartizioni di comodo poiché nessuno può asserire che la sezione botanica, ad esempio, tratti di botanica. E così via. Abbiamo perciò:
1. Sezione botanica (dal foglio 1 al foglio 66)

Sezione botanica: f32v
2. Sezione astrologica (dal foglio 67 al foglio 73)
3. Sezione biologica (dal foglio 75 al foglio 86)
4. Sezione farmacologica (dal foglio 87 al foglio 102)
5. Sezione indice (dal foglio 103 al termine del manoscritto)
Fra la sezione biologica e farmacologica vi è un foglio (85 recto-86 verso) ripiegato in sei parti (medaglioni circolari).

Datazione.
Voynich, suggestionato da Johannes Marci (1), che attribuiva l'opera al filosofo Ruggero Bacone, datò il manoscritto alla seconda metà del XIII secolo.
Erwin Panofsky, storico dell'arte, suggerì il decennio 1510-1520; cum grano salis: egli aveva infatti notato come le linee dei disegni rifuggissero dalle acutezze dell'arte gotica e non godessero, tuttavia, della piena morbidezza dei tratti rinascimentali. Il 1510-1520 veniva individuato, perciò, come periodo di mezzo, interlocutorio, fra le due grandi epoche.
Hugh O'Neill si basò, invece, su evidenze botaniche: poiché il fiore del foglio 93 è un girasole, e tale pianta giunse in Europa dalle Americhe solo nel 1493 (secondo viaggio di Colombo), il manoscritto non può essere che cinquecentesco (lo stesso Neill riconobbe al foglio 101 una pianta di peperone, altra solanacea d'origine oltreatlantica).
Robert Brumbaugh osservò, con acume e una buona dose di fantasia, che il simbolo del Sagittario ha "un copricapo da arciere fiorentino del Cinquecento"; mentre al foglio 85 r., con acribia meravigliosa, rinvenne un orologio con lancette (di lunghezza diversa) di foggia irrefutabilmente cinquecentesca.
Altri studiosi (Robert Babcock della Yale University; Harvard University) sono arrivati alle stesse conclusioni basandosi sull'esame della pergamena.
Sezione biologica: f77v

L'area culturale della composizione varia con nettezza: alcuni ravvisano influssi italiani, altri della koinè centro-europea (praghese, insomma).
Una recente datazione al radiocarbonio (2011), tuttavia, con la forza dell’oggettività scientifica, ha fatto strame di tali congetture filologiche retrodatando il manoscritto alla prima metà del Quattrocento (1404-1438)

Decifrazione del manoscritto
Diciamolo subito: il manoscritto rimane a tutt'oggi inviolato. Forse.
Nessuno ha proposto una soluzione né definitiva né solidamente ragionevole; i tentativi, esercitati da accademici o dilettanti di talento, grossolane o minuziose, dirette come fendenti o arzigogolate come una decorazione gotica, hanno sempre cozzato contro una muraglia impenetrabile.
La letteratura formata da tali assalti al cielo è assai corposa e, spesso, piuttosto che rientrare nell'annalistica della filologia, pare deragliare in quella dell'insensatezza; con notevole guadagno della letteratura tout court, insomma, a cominciare da quella umoristica.
Ecco alcune tappe di tale naufragio.

William Romaine Newbold. Nel 1921 Newbold pubblica un articolo sensazionale: secondo lui il Voynich era opera del duecentesco Ruggero Bacone (Roger Bacon); in esso il filosofo inglese aveva trasfuso scoperte eccezionali, in netto anticipo sui tempi a venire: in alcuni passi, assicurava il professore della Pennsylvania, Bacone descriveva la nebulosa di Andromeda, in altri la riproduzione sessuale - nientepopodimeno - scoperte davvero eccezionali, opera di un genio assoluto dell'umanità, anche in considerazione del fatto che nel Duecento non esistevano né telescopi né microscopi.
La splendida costruzione di Newbold resistette pochi anni: quando si conobbe il suo metodo di indagine (nel 1931), il responso fu severo: le dichiarazioni (e le dimostrazioni, davvero astruse e arbitrarie), erano interamente senza fondamento e da esporre al più duro dei rifiuti (Newbold aveva inoltre scambiato, nel suo dotto e ingenuo entusiasmo, sbavature e colature d'inchiostro della pergamena per occulti simboli chiarificatori).

Sezione biologica: f84r
Il professore non ebbe, tuttavia, l'animo esacerbato da tali confutazioni poiché , nel 1931, era passato a miglior vita da cinque anni.

Joseph Martin Feely. Nel 1943 Feely pubblicò un libro titolato ottimisticamente Ruggero Bacone: trovata la chiave giusta. Lo sforzo filologico del Nostro si esercitò sul foglio 78: egli suppose che tale pagina fosse dedicata da Bacone alla riproduzione sessuale; esaminò quindi alcuni scritti baconiani (d'attribuzione certa), redatti in latino, individuandone alcune regolarità (la frequenza nell'uso delle lettere: nell'ordine e, i, t, a, n, u, s); quindi operò un collegamento fra caratteri latini e caratteri del Voynich estrapolandone il latino ivi occultato: ecco alcune gemme riesumate alla luce: istsnfunduntr (per istis infunduntur), immcisnntr (per immiscuntur), festsn (per festivi sunt).
Tale sforzo, adeguatamente tradotto, dava passi di cristallino surrealismo come questo:
"Il flusso combinato quando è bene umidificato, ramifica; più tardi è spezzato più piccolo ..." Oppure "l'effeminato, essendo stato effeminato, spinge innanzi il predestinato; quelli che si spingono innanzi sono inumiditi ... Saranno dispersi; sono umiliato".

Leonell C. Strong. Tentó una decifrazione della sezione biologica. A suo avviso il Voynich era una sorta di manuale sessuale, scritto in gergo inglese, e celato sotto tali caratteri enigmatici solo per evitare scandali, in un'epoca, quella seicentesca, assai peritosa in materia.
I risultati, purtroppo, paiono usciti dalla bocca di un'entitá lovecraftiana: 
"When skuge of tun'e-bag rip, seo uogon kum sli of se mosure-issueped-stans skubent, stokked kimbo-elbow crawk-not".

1st Voynich Manuscript Group. Supergruppo di studiosi riuniti nel 1944 dal crittologo William S. friedman. Ognuno di essi lavorava come esperto di cifrature per l'esercito americano; nel tempo libero si dedicava alla decifrazione del Voynich. Il lavoro, affrontato con perizia, e con l'ausilio di un primitivo computer IBM, non diede, però, risultati degni di nota. Un secondo gruppo, riunito sempre da Friedman fra il 1962 e il 1963, non ebbe miglior fortuna. Friedman, tuttavia, si convinse che il testo fosse redatto in una sorta di esperanto, così come avvenne per la Lingua Ignota, inventata da Santa Ildegarda di Bingen.

Robert S. Brumbaugh. Docente di filosofia medioevale a Yale, Brumbaugh ebbe un'intuizione brillante: secondo lui il Voynich era un falso, redatto per spillare soldi all'imperatore mecenate Rodolfo d'Asburgo. L’operazione venne concepita con finezza da lestofante, instillando il sospetto che il libro fosse stato davvero redatto da Ruggero Bacone (accrescendone, in tal modo, il valore scientifico e venale). Il Voynich era perciò: "un libro in codice... scritto col proposito di venire decifrato".
Il sistema decrittatorio di Brumbaugh, tuttavia, risente di scarti arbitrari e traduce le righe sibilline in un latino approssimato e pericolante.

William Ralph Bennett. Bennett affrontò il codice con netto piglio scientifico; una sua conclusione, irrefutabile, è che il linguaggio del Voynich vanta un livello di entropia basso, più basso di qualsiasi altra lingua europea nota. Cos'è l'entropia linguistica? La si può definire, grossolanamente, quale livello di prevedibilità. 
"Se trovo una sequenza così composta ab ab ab ab ab abab ab a, posso supporre con buona probabilità che la lettera successiva sarà una b ... se invece ho una successione di lettere del tipo dsghttfkptuyewsxhbrjyhko, sarà ... impossibile prevedere quale sarà la lettera che seguirà all'ultima ...". 
Nel primo caso si parlerà, quindi, di bassa entropia (alta prevedibilità); nel secondo di alta entropia (bassa prevedibilità).

Sezione farmacologica: f99v
Il Voynich ha una bassa entropia (solo l'hawaiano, fra le lingue esistenti, può paragonarvisi), e quindi può ragionevolmente definirsi quale linguaggio artificiale (e, perciò, non un codice, poiché un codice codifica appunto una lingua esistente e viva).

Ucraini, cinesi, Catari, extraterrestri. Altre soluzioni all'enigma: John Stojko (consonanti della lingua ucraina traslitterate); Leo Levitov (manuale liturgico cataro per il suicidio rituale); Jorge Stolfi (invenzione di studiosi cinesi in viaggio in Europa).
Non mancano (e perché dovrebbero?) ipotesi iperuranie: i soliti marziani che scendono sulla Terra a impiastricciare pergamene ... lingua aliena, e come ti sbagli … mai una volta che parlino chiaro questi birichini.

Paolo Cortesi. Secondo Cortesi, mio personale Virgilio, il codice Voynich fu un artefatto, il tentativo di compilare un manuale sospeso fra biologia, botanica e alchimia.
Tale congettura prende forza dall'esame dei disegni in cui Cortesi nota "un crescendo di stranezze". E l'autore prosegue: "l'insieme delle illustrazioni suggerisce che l'autore del manoscritto abbia deciso ... cosa disegnare nel corso del lavoro stesso: si è iniziato con un erbario ... non abbastanza misterioso e suggestivo ... in seguito, per rendere più prezioso e desiderabile il volume, passò a oggetti vistosamente magici, segreti oscuri ...". Un work in progress, insomma, in cui il dato esoterico andava ingrossandosi con il fine di gabbare qualcuno (l'imperatore Rodolfo II, forse, che lo acquistò per la considerevole somma di 600 ducati). Tale ipotesi, ragionevole, cozza tuttavia con la datazione al radiocarbonio: la carta risale ai primi del Quattrocento; Rodolfo II ascese al potere, come detto, nel 1576, un secolo e mezzo dopo. Si dovrebbe ipotizzare un falso, con inchiostri cinquecenteschi, eseguito su pergamena quattrocentesca ... purtroppo gli inchiostri contengono poco carbonio e la controprova scientifica è, stavolta, impossibile ... 
Un altro cul de sac? Non del tutto, come vedremo.

Gordon Rugg. Lo scozzese suppone che il testo del Voynich sia stato compilato usando una griglia di Cardano (Girolamo Cardano fu un matematico, astrologo e umanista cinquecentesco). Il sistema è semplice. Si prende un foglio di carta o cartone, su cui sono state ritagliati dei fori rettangolari, e lo si sovrappone sulla codice da vergare. In tali fori vengono scritte le porzioni di frasi che costituiscono il messaggio vero o codice. Rimosso il cartone, si completano le porzioni di frasi anzidette con parole di senso compiuto, occultando, in tal modo, il messaggio originale.

Griglia di Cardano
Il sistema, piuttosto veloce, è reso ancor più semplice dal fatto che i simboli usati, sconosciuti, non devono rendere parole e frasi di senso compiuto. Il messaggio rivelatore del Voynich, insomma, è un testo scritto in un linguaggio sconosciuto annegato in un linguaggio affine altrettanto sconosciuto ... come scorgere una foglia in una foresta in cui abbiamo perso l'orientamento ... 
Tale metodo, peraltro, era già conosciuto; nel Seicento inglese, almeno: nientemeno che dai servizi segreti elisabettiani. La conferma storica, tuttavia, non esaurisce i dubbi: il metodo anzidetto può ricostruire un codice affine al Voynich, ma non è detto sia stato usato per produrre il Voynich stesso; e inoltre rimane in sospeso la domanda fatale: che diavolo significa il Voynich?

Richard Rogers. Lascio il campo a un sunto della blogger Claudia Migliore che chiarisce, in parte, l'ennesimo tentativo di soluzione. Divertitevi:
"Il manoscritto non contiene lettere o parole ... in realtà il testo rappresenterebbe il primo foglio di calcolo della storia. Si tratterebbe non di lettere ma di numeri. Algebra simbolica. Rogers ... ha concluso che il manoscritto contiene un messaggio segreto nascosto nelle figure. Alla base del documento c’è una griglia 8×8. Come quella delle scacchiere. Simbolo massonico.

Giardini di Villa Mondragone
La griglia ha numeri nella parte bassa e lettere nella parte alta. Il documento è algebra ma è anche un sistema per spiegare come navigare sulla scacchiera per leggere o scoprire i messaggi segreti, le immagini e i simboli. La prima pagina non rappresenta altro che le istruzioni su come leggere il manoscritto ...  Rogers ha concluso che il manoscritto è stato redatto a più mani dalla famiglia [Longhi] proprio in Italia. Martino Longhi (1534-1591), Onorio Longhi e Martino Longhi il giovane (1602-1660) sarebbero gli autori. Datato intorno al 1578 prendendo come riferimento l’anno di costruzione di Villa Mondragone a Frascati dove il libro era conservato dai gesuiti. Rogers sostiene che proprio il giardino della villa, sia la chiave. Che la griglia rappresentata nel giardino si integri con il documento che conterrebbe importanti segreti commerciali nascosti alla chiesa ...".
In effetti i Longhi furono incaricati dal cardinale Marco Sittico Altemps di realizzare la villa attorno al 1667. La costruzione fu terminata nel 1673 e utilizzata da Gregorio XIII, il riformatore del calendario, quale residenza (nello stemma gentilizio di Gregorio compariva un drago, da cui il nome della villa). Rodolfo II sale al trono nel 1676. E quindi?
Massoneria, codici segreti, giardini patrizi, informatici americani, labirinti, inganni, costruttori e muratori (ultramassonici!): il bric-à-brac tipico che Umberto Eco provvide giustamente a ridicolizzare ne Il pendolo di Foucault ...

Claudia Pandolfi. Ricordiamo, en passant, che villa Mondragone fu utilizzata come sfondo per la fiction paraesoterica Mediaset Il tredicesimo apostolo, starring la magica Claudia Pandolfi ... Una notiziola televisiva che, nella mia mente sacrilega e scettica, non so per quale motivo, chiude il cerchio dell'ennesima follia interpretativa ...
Auguro, tuttavia, a Richard Rogers ogni bene e gli ammannisco, crepi l'avarizia!, uno spunto alternativo.

Umano, troppo umano
Ho sempre amato i misteri, gli enigmi, i rebus, le sfide logico-matematiche. Fui traviato da La Settimana Enigmistica, che cominciai a consultare ancora analfabeta (annerivo spazi, univo puntini; la passione per l’enigma e il mistero mi portò, peraltro, a costituire una vasta collezione di letteratura fantastica che oggi affatica decine di scaffali).
Tale istinto - l'istinto per un sentimento antiborghese, contrario al praticume e al più crasso buon senso, tanto da divenire in regola di vita - non si è mai però spinto sino all'insania. I mulini a vento sono mulini a vento anche se amo scambiarli per giganti. Tutto è umano, troppo umano; l'adagio di Nietzsche è vero, assolutamente vero, sempre e comunque: e così è - deve esserlo - per l'affare Voynich. Ogni evento, pur inspiegabile ed elusivo, ha una propria radice umana che ne spiega la natura intima; e anche se tale natura ama spesso nascondersi - è la sua bellezza - essa non  sfuggirà mai alla luce della ragione.

Sezione farmacologica: f102r
Le soluzioni del codice Voynich formano una letteratura a sé stante che ho goduto a compulsare (il fascino del bislacco), ma la verità è che al fondo dell’unica soluzione possibile, quella giusta, non c'è un drago che custodisce un tesoro o una Wunderkammer, ma solo un comunissimo scrigno e qualche brillocco. È sempre la nostra ignoranza (beata davvero!) a creare il brivido del meraviglioso o il sublime terrore per lo sconosciuto: ma la ragione, mossa implacabilmente da tali cause, arriverà sempre a definire questi interminati spazi sino a ridurli a cantucci ordinari. Una dannazione, ma è così.

Troppo umano. Ovvio, dicevo tra di me. Il problema non è il manoscritto, ma lo scopritore, Voynich stesso. L'ha compilato lui, non c'è dubbio. Rodolfo II, Kircher, Johannes Marci, i Gesuiti, la Cabala, ma il rasoio di Occam dell'umano, troppo umano, non sbaglia mai.

Qualche anno fa, seppur a livello dilettantesco, mi sono occupato di pittura. Uno dei miei libri preferiti era Il manuale del falsario di Eric Hebborn, sorta di breviario essoterico per contraffatori d’arte … e uno dei miei mascalzoni favoriti era Han Van Meegeren, l’uomo che abbindolò tutti (compresi Himmler e Göring) con i suoi Vermeer inventati dal nulla (non imitati!) con pigmenti e materiali d’epoca. I musei pullulano di patacche. Federico Zeri, divertito detective di falsi, ne individuò qualcuno (magari di Hebborn stesso; saranno stati sicuramente splendidi: un falso, se inventato, è opera d’arte essa stessa).

La seconda dannazione. Non si è mai originali. Ogni pensiero è la glossa di qualche idea precedente. Anche quell’ipotesi – Voynich artefice del Voynich – che, peraltro, avrei tenuto per me, non è mica tanto originale. Anzi, è una congettura, apparentemente solida e delineata con dovizia di particolari, di cui è autore Aldo Gritti.
Una cosa ho imparato nella vita. Tutto è già stato detto. Tutto. La buona letteratura consiste solo nello scrivere meglio ciò che è stato già scritto.

Colpo di coda: Aldo Gritti. Nel 2012 esce un romanzo titolato I custodi della pergamena proibita. Un’opera dal titolo infelice (sembra una delle tante imitazioni del Codice da Vinci), ma che ha il pregio di incastonare in sé la probabile soluzione del secolare enigma (1912-2012).

Sezione indice: 106r
Gritti, giustamente, lascia da parte l’enigma del manoscritto per occuparsi di quello vero: Wilfrid Voynich. E scopre che il Nostro, ad esempio, non si chiamava Voynich, ma Woynicz; che fu un truffatore, un falsario, una spia e, in modo colposo, un assassino; e un antiquario e bibliofilo, certamente, in grado di distillare inchiostri simili a quelli cinquecenteschi e di procurarsi delle pergamene quattrocentesche da riempire con un falso codice magico-esoterico (così come Hebborn e Van Meegeren raschiarono via tele d’epoca e le ridipinsero con pigmenti e medium simili a quelli rinascimentali e secenteschi); e un uomo d’ingegno, tanto da disseppellire l’opera del maggior crittografo del Rinascimento, Giovanni Battista della Porta (De furtivis literarum notis), e servirsene per criptare il testo del manoscritto fatale …
E perché lo fece? Questo non posso dirvelo, devo rispettare la suspense gialla del libro.
Posso solo anticipare che forse siamo sulla strada giusta. Inevitabile, come ho già scritto. Dove altri vedono cose ideali, gli scettici – l’unica genia di filosofi rispettabili secondo Nietzsche – vedono solo cose umane, troppo umane …

* * * * *

(1)
Proprietari del libro
- Rodolfo II d'Asburgo (lo acquistò per 600 ducati prima del 1608)
- Jakub Horcicky de Tepenec (botanico e chimico dell'imperatore)
- Georg Baresch
- Johannes Marcus Marci (lo ereditò da Baresch nel 1665)
- Padre Athanasius Kircher, uno dei più famosi eruditi del Seicento. Johannes Marcus Marci spedì a lui il manoscritto, nella speranza d'una decifrazione. Kircher, poliglotta e faro di sapienza, "incollò la lettera dell'amico Marci dietro la copertina del manoscritto e poi lo ripose in uno scaffale della sua imponente biblioteca, in attesa di uno studio decisivo che non fece mai".
Poiché a quel tempo Kircher operava presso il Collegio Gesuita a Roma (nel 1938 fu nominato professore di matematiche), il manoscritto rimase nell'ambito della Confraternita; nel 1873, in seguito all'annessione dello Stato Pontificio al nuovo Regno d'Italia, la biblioteca del Collegio gesuita fu interamente requisita (il materiale andrà a costituire il primo nucleo della Nazionale di Roma); una parte del materiale, tuttavia, era già confluita nella biblioteca di Jean-Pierre Beckx, padre generale della compagnia di Gesù: tale collezione, fra cui era il manoscritto, trovò scampo presso Villa Mondragone, dove fu abbandonata, alla polvere e alla desolazione, sino al 1912 quando l'astuto Voynich la setacciò, appropriandosi definitivamente del libro fatale, lì confuso.
Alla morte di Voynich (1930) la proprietà del manoscritto passò nelle mani della moglie Ethel, quindi in quelle della sua amica, già segretaria di Voynich, l’edace Anne Nill. Quest’ultima (1961) lo rivendette a un altro antiquario, Hans P. Kraus, il quale ebbe finalmente la compiacenza di donarlo all’Università di Yale, dove il birichino riposa, dal 1969, sotto la segnatura (massonica?) di MS408 (Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale).

Gran parte del materiale del post (e le citazioni) derivano dal capitolo di un bel libro di Paolo Cortesi, Manoscritti segreti, 2003.
Il libro di Aldo Gritti, I custodi della pergamena proibita, edito nel 2012 da Rizzoli, è ora di non facile reperibilità.
Qui il sito di Aldo Gritti:

http://www.aldogritti.com/home.html

e la pagina Facebook:

https://www.facebook.com/aldogritti

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