sabato 11 ottobre 2014

La poesia della domenica - Arnaut Daniel, "Io solo so che enorme affanno ha il cuore ..."

Dante Alighieri (De vulg. el. II, 6) lodò ampiamente la struttura di tale canzone (“Hunc gradum constructionis excellentissimus nominamus”).
Agli inizi del Trecento, durante la stesura del De vulgari, il fiorentino, però, ancora anteponeva ad Arnaut Daniel (in volgare: Arnaldo Daniello, nato a Riberac, in Dordogna, 1150-1210 circa) l’altro trovatore, Giraut de Bornhel, di Limoges.
Dieci anni più tardi, durante la stesura del Purgatorio, il giudizio è capovolto: nello straordinario canto XXVI, infatti, Dante, per bocca di Guido Guinizelli, dirà:

"O frate", disse, "questi ch’io ti cerno
col dito", e additò un spirto innanzi,
"fu miglior fabbro del parlar materno.

Versi d’amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon ch’avanzi.

Guinizelli/Dante statuisce il nuovo primato poetico.
Le parole di risposta di Arnaut (in lingua provenzale) sono immortali:

Tan m'abellis vostre cortes deman,
qu'ieu no me puesc ni voill a vos cobrire:
jeu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen la joi qu'esper, denan;
ara vos prec, per aquela valor
que vos guida al som de l'escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor! 

(Tanto mi piace la vostra cortese domanda,
che io non mi posso né voglio nascondere a voi.
Io sono Arnaldo, che piango e canto;
pensoso vedo la passata follia,
e vedo gioioso la gioia che aspetto nel futuro.
Ora vi prego, per quel valore
che vi guida al sommo della scala,
ricordatevi a tempo del mio dolore!)

Ezra Pound considerava Arnaut il maggiore poeta di tutti i tempi.
La seguente canzone, sei stanze di sestine decasillabe, rifugge dallo sperimentalismo più arduo e dalla licenziosità del celeberrimo sirventese nato dalla disputa con il trovatore Raimon e il giullare Truc Malec.
Ci consegna, invece, un uomo per cui il valore è nella fedeltà alla propria donna, nella perseveranza e nella costanza del sentimento, nel culto della servitù d’amore – uno stato gioioso, che nulla chiede o spera, reso con un ritmo largo e disteso, definitivo.

Io solo so che enorme affanno ha il cuore,
Come soffre d’amore per il suo troppo amare.
Perché tenace e intatto è il mio volere:
Da lei non si è staccato né si è distolto mai,
La bramo come al giorno del suo primo apparire.
E assente lei trabocco di parole, poi quando
La vedo, in me fan ressa e non so cosa dire.

Vederne e udirne un’altra? No, sono cieco e sordo.
Lei solo guardo e ascolto, di lei solo m’importa;
E non uso lusinghe per piacerle, ché il cuore
La vuole più di quanto non dica la mia bocca.
Posso varcare campi valli poggi pianure,
Non troverò in un corpo tutte insieme le pure
Qualità che in lei Dio volle adunare.

Sì, sono stato in molte ricche corti,
Ma qui da lei si trova molto più da lodare:
Qui c’è misura e senno, le qualità più rare,
Bellezza, gioventù, gentili atti e diporti.
Cortesia l’ha cresciuta e istruita,
E tanto ha cancellato da sé ogni sgradita
Macchia che in lei non vedo altro che bene.

Da lei nessun piacere riterrei breve o scarso:
Ma la prego che voglia indovinarlo,
Perché da me potrà saperlo solo
Se m’esce fuori il cuore, visto che io non parlo.
Il Rodano per quanta acqua lo gonfi
Non ha un impeto tale: quando la scorgo, Amore
Fa in me più vasta piena e m’alluviona il cuore.

Gioia e diletto d’altre sono bastardi e falsi;
Non c’è alcuna che a lei possa paragonarsi,
per quanto può donare su ogni altra prevale.
Essere in sua balìa senza averla è il mio male!
Ma quest’affanno è bello, è mio riso e mia gioia,
Perché, avido e ghiotto, nel pensiero ne godo.
Dio, se potessi un giorno goderne in altro modo!

Mai mi piacque così, lo giuro, ballo o giostra
Né niente al cuore tanta gioia ha dato
Come questo diletto che maligni
Maldicenti non hanno ancora propalato,
Mio segreto tesoro. Parlo troppo e le spiace?
Perdío, bella, ch’io perda la voce e la parola
Prima di dire cosa che v’indigni!

E questa mia canzone esservi accetta vuole:
Piaccia o dispiaccia ad altri, ad Arnaut poco importa
Purché ne amiate voi le note e le parole.

Da Sirventese e canzoni, traduzione di Fernando Bandini.

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