giovedì 21 agosto 2014

Il racconto del giovedì - Saki, La finestra aperta

Saki
«Mia zia scenderà subito, signor Nuttel» disse una signorina di quindici anni molto sicura di sé. «Nel frattempo temo che dovrete accontentarvi della mia compagnia.»
Framton Nuttel si sforzò di dire l’esatto qualcosa che lusingasse la nipote del momento senza trascurare indebitamente la zia che stava per arrivare. Detto fra noi dubitava più che mai che queste visite ufficiali a una sequela di perfetti sconosciuti potesse giovare assai alla cura per i nervi alla quale si riteneva che si sottoponesse.
«So come andranno le cose» aveva detto la sorella mentre si preparava a emigrare verso il suo ritiro rurale; «ti seppellirai laggiù e non rivolgerai la parola ad anima viva, e rimuginare nuocerà ancor più ai tuoi nervi. Ti darò lettere di presentazione per tutte le persone che conosco. Alcune di loro, a quanto ricordo, erano assolutamente incantevoli.»
Framton si chiedeva se la signora Sappleton, la signora alla quale si accingeva a consegnare una delle lettere di presentazione, rientrasse nella categoria incantevole.
«Conoscete molta gente qui attorno?» chiese la nipote, quando giudicò che avessero comunicato a sufficienza silenziosamente.
«Non conosco quasi un’anima» disse Framton. «Mia sorella è stata qui, al rettorato, sapete, qualche anno fa, e mi ha dato lettere di presentazione per alcune persone.»
Fece quest’ultima dichiarazione in tono di palese rimpianto.
«In tal caso non sapete niente di mia zia?» proseguì la signorina sicura di sé.
«Solo il suo nome e indirizzo» confessò il visitatore. Si chiedeva se la signora Sappleton fosse vedova o maritata. Qualcosa di indefinibile nella stanza sembrava suggerire una presenza maschile.
«La tragedia avvenne proprio tre anni fa,» disse la fanciulla; «dopo l’epoca di vostra sorella probabilmente.»
«Tragedia?» chiese Framton; gli sembrava che in questo tranquillo posticino di campagna le tragedie fossero fuori luogo.
«Vi chiederete forse perché teniamo aperta quella finestra in un pomeriggio di ottobre» disse la nipote, accennando a una grande porta finestra che si apriva su un prato.
«Fa piuttosto caldo per questa stagione» disse Framton; «ma la finestra ha qualcosa a che fare con la tragedia?»
«Da quella finestra, esattamente tre anni or sono, suo marito e i suoi due fratelli minori uscirono per andare a caccia. Non sono mai tornati. Attraversando la brughiera diretti al loro posto preferito per la caccia ai beccaccini furono inghiottiti tutti e tre da una frana improvvisa. Era stata quella terribile estate piovosa, sapete, e posti una volta sicuri cedevano di colpo senza preavviso. I loro corpi non furono mai trovati; questa fu la cosa più terribile.» A questo punto la voce della fanciulla perse la sua nota di sicurezza per farsi umana e tremante. «La povera zia continua a pensare che un giorno faranno ritorno, loro e il piccolo spaniel marrone che li accompagnava, e che entreranno dalla finestra come erano soliti fare sempre. Questo è il motivo per cui la finestra resta aperta ogni sera fino a dopo il crepuscolo. Povera cara zia, mi ha raccontato spesso come siano usciti, il marito con l’impermeabile bianco sul braccio, e Ronnie, il suo fratello minore, cantando “Bertie, perché salti?” come faceva sempre per stuzzicarla, perché sapeva che la irritava. Qualche volta, sapete, in serate immobili e silenziose come questa, provo quasi la sensazione raccapricciante che entreranno tutti da quella finestra ...»

Si interruppe con un piccolo brivido. Fu un sollievo per Framton quando la zia entrò rumorosamente nella stanza con un turbine di scuse per essere apparsa tanto tardi.
«Mi auguro che Vera vi abbia intrattenuto?» disse.
«È stata molto avvincente» disse Framton.
«Mi auguro che non vi infastidisca la finestra aperta» disse vivacemente la signora Sappleton; «mio marito e i miei fratelli ritorneranno presto dalla caccia, ed entrano sempre da questa parte. Oggi sono stati a caccia di beccaccini nelle paludi e faranno un bel pantano sui miei poveri tappeti. Ma voi uomini siete fatti così, vero?»
Continuò a chiacchierare allegramente della caccia e della scarsità di uccelli, e della prospettiva di avere anitre in inverno. Per Framton era tutto semplicemente orribile. Fece uno sforzo disperato ma solo parzialmente riuscito di portare la conversazione su un argomento meno imbarazzante; si rendeva conto del fatto che la sua ospite gli dedicava solo una parte della propria attenzione, e che il suo sguardo era costantemente fisso dietro a lui sulla finestra aperta e sul prato oltre questa. Era senza dubbio una coincidenza sfortunata essere venuto in visita in questo tragico anniversario.
«I medici sono d’accordo nel prescrivermi riposo assoluto, mancanza di forti emozioni e di qualsiasi tipo di esercizio fisico violento» dichiarò Framton, vittima della convinzione abbastanza diffusa che completi estranei e conoscenze casuali siano avidi di conoscere i minimi particolari dei propri mali e infermità, delle loro cause e cure. «Per quanto riguarda la dieta» continuò «non sono altrettanto concordi.»
«No?» la voce della signora Sappleton aveva sostituito solo all’ultimo momento uno sbadiglio. All’improvviso si illuminò mentre la sua attenzione si ridestava vivamente; ma non per quello che diceva Framton.
«Eccoli finalmente!» esclamò. «Appena in tempo per il tè, e guarda se non sembrano infangati fino agli occhi!
Framton rabbrividì impercettibilmente e si volse alla nipote con uno sguardo che intendeva comunicarle la sua simpatia e comprensione. La fanciulla guardava fuori dalla finestra con gli occhi pieni di incredulo terrore. Mentre una paura senza nome lo attanagliava in una morsa di ghiaccio Framton girò rapidamente sulla sedia e guardò nella stessa direzione.
Nelle ombre del crepuscolo che si addensavano tre figure si avvicinavano alla finestra attraverso il prato; tutte e tre portavano il fucile sotto il braccio, e una di loro portava in più gettato sulle spalle un impermeabile bianco. Uno spaniel marrone stanco zampettava alle loro calcagna. Si avvicinavano in silenzio alla casa, quindi una voce giovane e roca intonò nella semioscurità: «Dico, Bertie, perché salti?».
Framton afferrò selvaggiamente cappello e bastone; la porta d’ingresso, il viale di ghiaia, e il cancello furono tappe appena intraviste nella sua precipitosa ritirata. Un ciclista che gli veniva incontro sulla strada finì contro la siepe per evitare una collisione imminente.
«Eccoci qua, mia cara» disse l’uomo che portava l’impermeabile entrando dalla porta finestra; «infangati anzi che no, ma è quasi tutto secco. Chi era quel tipo che è uscito a precipizio mentre noi arrivavamo?»
«Un uomo quanto mai strano, un certo signor Nuttel,» disse la signora Sappleton; «non parlava che della sua malattia ed è schizzato via senza una parola di scusa quando vi ha visti arrivare. Si sarebbe detto che avesse visto un fantasma.»
«Penso sia stato lo spaniel» disse compostamente la nipote; «mi ha detto di avere terrore dei cani. Una volta è stato sospinto in un cimitero da qualche parte sulle rive del Gange da un branco di cani paria, e ha dovuto passare la notte in una tomba aperta con quelle belve che latravano e digrignavano i denti e schiumavano proprio sopra la sua testa. Abbastanza da far saltare i nervi a chiunque.»
Una fertile immaginazione era la sua caratteristica principale.

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