martedì 20 maggio 2014

Tognazzi, Gassman e il linguaggio aderenziale e desemplicizzato


"Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra".

Bimbistica.
Bene, perfetto. La lingua si smaglia e il male comincia a colare dalle feritoie.
Pochi mesi fa una pubblicità sulla metropolitana:

I primi tre mesi svapi gratis …

Notevole. Ovviamente gli strappi cominciarono ben prima. C’è un film, eccezionale, del 1971, In nome del popolo italiano; regista: Dino Risi; protagonisti: Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman. Attori incredibili. Incredibili: nel senso stretto della parola: non possiamo credere, a distanza di quarantatré anni, che fossero così bravi.
Tognazzi è un magistrato moralista e incorruttibile. Gassman un imprenditore amorale e rampante. Il primo sospetta l’altro d’aver ucciso una giovane ragazza con cui aveva una relazione mercenaria e adulterina.
Ecco una scena: tre minuti (incredibili anche questi). Da guardare:




Dalla scena stralciamo tre frasi.
Le prime due di Gassman:

“È proprio tanto riprovevole che un uomo nella mia collocazione non desideri esternizzare i suoi rapporti con una puttanella …”

“La prego di attribuire a pura coincidenza la cementizzazione di talune componenti a me contrarie …”, ovvero: il consolidarsi di indizi.

“Esternizzare i rapporti” ricorda molto “l’utilizzatore finale”; “cementizzare” è un neologismo di pari forza.
Fra le due perle gli sceneggiatori incastonano questa battuta:

“È una grande falsità signor giudice. Mi trovavo a passare nel luogo suddetto quando la mia moto ebbe un inaspettabile guasto …”

La frase di un altro imputato. Se Gassman (ingegnere palazzinaro) storpia l’italiano con teppismo tecnico-futuristico (altrove parla di amore per un "linguaggio aderenziale e desemplicizzato" oppure di "prevaricazionismo implicante il maggior indice di repressività"), il secondo individuo utilizza un cascame linguistico-burocratico proprio dell’Italia appena alfabetizzata e pronta a ripiombare nell'analfabetismo.
La lingua è in piena crisi, e si prefigura la postmodernità sospesa fra ultratecnicismo e afasia: puntualmente attuatasi.

* * * * *

Le corrispondenze fra il personaggio di Gassman e il nostro, declinante, Cavalier Brianza sono formidabili; in altro luogo egli afferma:

“Fanno quello che fanno [le puttanelle e la ragazza morta] perché la società è quello che è … comunque non l’ho fatta io quella che è … il posto di commessa alla Standa(rd) glielo avevo trovato ..”.

Non c’è bisogno che vi ricordi tutti gli agganci con la cronaca: ciascuno di voi li conosce.
Ma questa è solo la mezza messa; anticipatore è anche il personaggio di Tognazzi, giudice severo, moralista, inflessibile, seppur incapace non solo di comprendere il reale, ma l’Italia stessa.
A un certo punto Gassman gli grida: “Lei odia me … in nome dell’ideologia … lei non è un buon giudice”. E ha ragione. Tognazzi applica la propria ferrea logica, infatti, a una situazione che non solo lo ripugna, ma di cui ignora la profonda complessità storica.
Disprezza, ma non comprende. E perciò, nel finale, crudelissimo, e visionario sino all’espressionismo, Tognazzi si renderà protagonista di un’ingiustizia somma.
In nome del popolo italiano è un film magnifico: preveggente o, forse, solo intelligente.

È anche una metafora del sentire di destra e di sinistra nell’Italia postbellica: della destra, connessa naturalmente al corpo mistico della nazione, reazionario  e vitale; e della sinistra, altezzosa, moralista e impotente a fronte di tale fenomeno: e quindi minoritaria, perdente, isterica. 

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