domenica 30 giugno 2013

Macadàm - della cura trasparente


“Da quella volta non era più stato solo: almeno sulla strada. La Nazionale infatti era piena di fratelli e di compagni, che lavoravano ogni giorno in fitta schiera sulla sua stessa tratta. Per ciascuno di loro provava un affetto sincero, che di sicuro non veniva dal sangue. Alcuni li conosceva solo per nome, altri per soprannome, altri ancora non li aveva mai visti ma li sentiva tutti ugualmente vicini: dei cugini buoni, dei fratelli carnali.”
Paolo Teobaldi, Macadàm, edizioni e/o

Le case cantoniere per chi è nato alla fine degli anni 80, come me, sono quegli edifici in disuso che si affacciano sulle strade, spesso con i vetri i frantumi, le mura color mattone scrostate e le erbacce a fare da decoro. Sorgono sui rettilinei o agli incroci, fredde e agghiaccianti, disabitate e funeree, in alcuni rari casi colonizzate da inquilini abusivi che contro le recinzioni hanno piazzato reti da letto e canne di bambù. Fantasmi rossastri e muti, a volte impietosamente coperti di scritte, altre volte derubati delle proprie targhe, che per lo meno ne ricordavano l’antica funzione. La casa cantoniera fa parte di quel passato prossimo, trascorso un attimo fa ma già obsoleto, insieme al carosello, alle diapositive, alla macchina per scrivere e agli ossi di seppia. 

sabato 29 giugno 2013

"Madre in mezzo a letame e spazzatura", un omaggio a Stevie Smith

Dal Laboratorio di traduzione 2012-2013 dedicato alle poesie di Stevie Smith, proponiamo un testo dell'autrice inglese nella versione elaborata durante gli incontri del gruppo curato da Fiorenza Mormile e composto da Maria Teresa Carbone, Silvia Esposito, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore.


Madre, in mezzo a letame e spazzatura

Madre, in mezzo a letame e spazzatura
ho la misura della mia umanità, quasi una figura
della presenza di Dio. Sono sicura


Nel letame, nella spazzatura, nel gioco del gatto
c'è la presenza di Dio, e questo è un fatto.
lui c'è. Madre, tu ne prendi atto?


Anch'io ho sentito la presenza di Dio nella scopa
che stringo, nelle ragnatele della stanza,
ma più di tutto nel silenzio della tomba.


Ah, ma il pensiero che impronta la speranza umana
- che c'è dietro?- non è che cosa vana 
solo la protesta di  una mente inane


che non vuol morire. Questo è il pensiero che rimbalza
dentro una testa pretenziosa e spiazza
l'inchiesta. L'uomo è davvero frivolo quando sentenzia.


Bene madre, continuerò a pensarla a modo mio, 
e penso saresti saggia a farlo  anche tu
puoi dubitare della follia dell'uomo nel creare Dio?
Chi sei tu?

La magia contagiosa dei libri

G. Luca Chiovelli


Ci siamo già interrogati sul vestimento del libro, su come, quell'insieme di qualità apparentemente secondarie (la carta, le cuciture, i caratteri, la coloritura della copertina), influisca sul godimento che intratteniamo col contenuto dello stesso. A complemento di quelle brevi riflessioni, possiamo aggiungere che la bibliofilia, quella pulsione a mezzo fra estetica decadente e volontà di potenza, si appaga quasi esclusivamente nel trattare libri che hanno vissuto più vite. E da cosa nasce questo impulso che spinge a desiderare, oltre al pregio e alla rarità, questi oggetti passati  per decine di mani?
Una bellissima poesia di Bertolt Brecht ci avvicina al cuore del mistero.



Fra tutti gli oggetti i più cari
Sono per me quelli usati.
Storti agli orli e ammaccati, i recipienti di rame,
I coltelli e forchette che hanno di legno i manici,
Lucidi per tante mani; simili forme
Mi paiono di tutte le più nobili. Come le lastre di pietra
Intorno a case antiche, da tanti passi lise, levigate,
E fra cui crescono erbe, codesti
Sono oggetti felici.
Penetrati nell'uso di molti,
Spesso mutati, migliorano forma, si fanno
Preziosi perché tante volte apprezzati.
Persino i frammenti delle sculture,
Con quelle loro mani mozze, li amo. Anche quelle,
Vissero per me. Lasciate cadere, ma pure portate;
Travolte si, ma perché non troppo in alto stavano.
Le costruzioni quasi in rovina
Hanno ancora l'aspetto di progetti
Incompiuti, grandiosi; le loro belle misure
Si posson già indovinare; non hanno bisogno
Ancora della nostra comprensione. E poi
Han già servito, sono persino superate. Tutto
Questo mi fa felice.

Le scalinate di pietra dei borghi medioevali, consunte e infossate al loro centro da passaggi secolari; un affresco i cui colori si arrendono dolcemente al sostrato di calce sottostante, sbiadendo lentamente sino agli ultimi sussurri dell'invisibilità; alcune vecchie porte di legno segnate nei punti in cui le mani girarono innumerevoli le chiavi.

La patina dell'antico, giustamente ricercata dai falsari, può essere una prima risposta; non sufficiente.

venerdì 28 giugno 2013

Un'analista in Iran all'ombra di Kundera

Gohar Homayounpour
Una psicoanalista a Teheran
Raffaello Cortina
pp. 148, euro 13,50

Patrizia Vincenzoni
"Ci insegnano che il paziente dice già tutto nella prima seduta, mentre l'analista ha bisogno di tempo per capirlo. Così io ho avuto bisogno delle pagine che precedono per capire, attraverso le libere associazioni, che cosa significhi per me praticare la psicoanalisi a Teheran". Nelle ultime pagine, Gohar Homayounpour ci spiega  il senso del libro. Tutta la narrazione è un processo autoterapeutico di accesso alla consapevolezza delle motivazioni anche inconsce  che l'aiuteranno a dare ri-significazione alle scelte attuali e a quelle operate nel passato. Nel cercare di comprendere il cammino personale e le motivazioni che l'hanno spinta a tornare nel suo paese d'origine, affrontando anche, nel suo paese, quella particolare esperienza affettiva e relazionale che è il lavoro analitico, l'autrice ci rende parte integrante della narrazione e offre al lettore la sensazione di prendere parte a pensieri, emozioni, titubanze, memorie rimosse che cercano accessi alla coscienza.
L'unicità di certe esperienze umane, l'allontanamento e il ritorno in Iran e la psicoanalisi (pensiero e prassi clinica)  sono il nucleo di base dal quale l'autrice parte per interrogarsi in modo nuovo, perturbante, ripercorrendo legami con i vecchi  'maestri' analisti e letterati.  

giovedì 27 giugno 2013

Gli anni Settanta riletti da una femminista di frontiera


Ti racconto un libro:
Chiara Ingrao, Oltre il ponte. Pensieri di una femminista di frontiera,1976-200
Ediesse, pp 176, euro 12


Anna Maria Rava

Non è vero che gli anni ’70 sono stati solo anni di piombo.

Il conflitto sociale, pure aspro ma non violento, delle generazioni che si sono mobilitate allora ha prodotto radicali mutamenti nella vita delle persone, nella società e nelle leggi.

Come Italo Calvino nella sua poesia Oltre il ponte, posta in apertura dell’introduzione al testo, trasmette la memoria della Resistenza  alla ragazza dalle guance d’aurora, che è il futuro...


O ragazza dalle guance di pesca,

o ragazza dalle guance d’aurora,

io spero che a narrarti riesca

la mia vita all’età che tu hai ora...

Avevamo vent’anni, e oltre il ponte,

oltre il ponte ch’è in mano nemica,

vedevam l’altra riva, la vita,

tutto il bene del mondo oltre il ponte.


...così Chiara Ingrao vuole sia ricordato il patrimonio di profonde e complesse riflessioni elaborato in gran parte dalle donne negli anni ’70. Patrimonio che ha prodotto grandi riforme condivise, basta ricordarne alcune che istituiscono: il divorzio (L. 898), gli asili nido pubblici (L.1044), la tutela delle lavoratrici madri (L.1204), la scuola a tempo pieno (L.820), l’obiezione di coscienza (L. 772), il  nuovo diritto di famiglia (L. 161),  i consultori (405) , la riforma penitenziaria (L.354).

E poi nel ’78, anno dell’assassinio di Aldo Moro,  la riforma sanitaria (L.833), la legge 194 sull’aborto e la legge 180 sull’abolizione dei manicomi. 

mercoledì 26 giugno 2013

Diario di una partita Iva al tempo della crisi

Ti racconto un libro
Ludovica Amat, 60 giorni e finiscono i soldi 
et/al, pp 224, euro 12

Raethia Corsini

"Ho circa due mesi. Poi finiscono i soldi. 
Contavo sulla mia piccola riserva e sul fido, ma quel Calzini, quell’imbecille, quell’inetto, quella faccia di merda di quella fottuta banca di merda mi da detto che mi revoca il fido. Così imparo. A scoprire le carte. Ero andata a dirgli che non mi avevano confermato un incarico importante che durava da anni, e che due clienti non mi avevano, né mi avrebbero, pagato, che quindi avevo bisogno di un piccolo paracadute, un extra fido, che poi da qui a qualche mese il lavoro lo avrei trovato. Figurarsi se non lo trovo. Sono 26 anni che lavoro. Ho cominciato a ventuno, stavamo su tutti i giornali con la mia socia di allora e io. Intervistate come fulgido esempio di imprenditorialità giovanile. Erano gli anni in cui De Michelis (ministro alla disco-music dell’era Craxi) esortava i giovani a inventarsi il lavoro. Un visionario".

Questo è l’incipit di un libro umanamente utile, scritto in modo leggero che strappa ogni tanto sorrisi amari. Si intitola 60 giorni e finiscono i soldi, lo ha scritto Ludovica Amat ed è appena uscito per et/al edizioni. Romanzo in forma di diario, racconta di una professionista di mezza età e a partita Iva, che vede svaporare il proprio lavoro – e relativi guadagni - eroso un giorno dopo l’altro da clienti che scompaiono, spesso senza saldare il conto. Effetti di una crisi impietosa che non fa sconti a nessuno (o quasi). L'autrice, cagliaritana, al suo esordio nel romanzo, vive a Milano e si occupa da sempre di comunicazione aziendale. In questo diario dà voce alle emozioni altalenanti, le ansie, le paure, la solitudine e i mondi nuovi che inprovvisamente si affollano nella vita di chi - da un giorno all’altro – perde il lavoro. Anche quello di libero professionista.

Nuova poesia italiana: Fabio Donalisio

immenso
ovvero: dell'assoluta ovvietà della sconfitta
della cosa vera e scritta, la quieta attitudine
al disastro che contraddistingue, l'intreccio
che non tange tanto ne scorgi la necessità
l'essere qua di un qualche là ma, sia chiaro,
non oltre, si tratta pur sempre – dici – di
roba che immane, roba attinente al mostro
mondo infame arso d'armonia (e chi la porta
via non può essere che il resto l'altro il sempre
mesto contesto cui dare uno straccio di colpa
cui dire alla fine la solita solfa che tanto c'è
un terzo additato al misfatto c'è un fuori
a fare innocenza a farci le veci se ancora
ci resta lo stile spietato del no non lo penso
se un poco di grazia s'è spento l'immenso

(poi ecco – quasi distratta –  la fitta, la torcibudella che canta:
si basta, si passa, si lascia si affonda nel nulla nel sotto

del nero e manco un pietruzzo manco una traccia



Francesca Fiorletta
La scrittura poetica di Fabio Donalisio serba in sé una qualche “attitudine al disastro”, tutt'affatto “quieta”. Si percepisce in ogni sillaba convessa, limata all'osso, giocata al netto dell'esperienza, il continuo ribollire del sangue, appena sotto la patina lucida di un raziocinio puntuale e perfettamente calato nell'analisi del nostro tempo presente. Un tempo che è già quello delle scritture in fuga, il tempo in cui “esistere per accumulo di evidenza è vizio diffuso” e che proprio in questa ridondante vacuità, contraltare di una pienezza estetica e critica che vorrebbe ormai darsi sopita, si rivela portatore di inefficaci strategie di sopravvivenza, sia sul versante letterario che per quanto concerne l'aspetto più strettamente umano. Si cercano allora punti di fuga altri, lontanissimi, spesso fuorvianti (“c'è un fuori a fare innocenza”), si gioca col suono e con l'immagine delle parole (“la torcibudella che canta”), si tentano giustificazioni plausibili a futura memoria. Molto interessante è la perpetua e fiancheggiante, non speculare ma per forza di cose endemica consonanza tra vita e scrittua, che occupa un ruolo centrale nella continua stratificazione e scomposizione che Fabio Donalisio opera sui suoi testi.
Fabio, ci spieghi qual è per te “l'assoluta ovvietà della sconfitta” della lingua odierna?
La sconfitta, prima di tutto (nel senso che è il punto di originalità del tutto), è ancipite: dilaga nel e dall'esistente, e implode poi (nel mentre) nella lingua che di quell'esistente è protasi, ipotesi e apodosi. La sconfitta è la condizione ideale e reale della lingua, il suo grado zero, la sua ovvietà. E, bada, lo dico colmo di gioia, quasi “selvaggia” (virgoletto, che dopo Bolaño non si sa mai), riottosa. La sconfitta è il punto di partenza, il sentimento dello iato. La consapevolezza dell'artificio (miracolo?) del dire. A casa mia dicono: chi le cose le fa, le fa, e non le dice. Chi le dice, non le fa.

martedì 25 giugno 2013

Volodine, la bellicosa ricchezza della diversità

Antoine Volodine, Scrittori
traduzione di Federica Di Lella e Didier Alessio Contadini
Edizioni Clichy, pp. 180, euro 16

Leyla Khalil
Volodine non si sbizzarrisce con i titoli.
Scrittori. Écrivains, in francese. Punto e basta.
Eppure dietro il titolo scarno, in questa prima opera tradotta in italiano dello scrittore francese Antoine Volodine si cela un mondo. A cui, seppur parzialmente, si è tentato di iniziare i lettori e le lettrici nell'articolo La Grasse Matinée – I bei libri sono scritti in una sorta di lingua straniera, sempre scritto dalla sottoscritta.
L'autore parla di un mondo che sta ovunque e da nessuna parte, plasma ambienti familiari per straniare il lettore l'attimo dopo. Seppur con una dose immensa di pessimismo, Volodine riesce nel fanciullesco intento di sorprendere il mondo inquadrandolo da angolazioni del tutto nuove. Al post-modernismo degli impiegati annoiati, alienati, per cui tutto è noto, tutto è routine ripetitiva, il misterioso autore francese risponde dando voce a personaggi che danno conferenze dall'oltretomba, come Maria Trecentotredici, a scrittori falliti che nominano tutti i loro personaggi con le numerosissime declinazioni di uno stesso nome, Wolff, a bambini cantastorie, a folli. Scrittori tutti, sì, ma ognuno a modo suo.

L'Ungheria silenziosa di Sandor Marai

Ti racconto un libro:
Sandor Marai, Sindbad torna a casa
a cura di Marinella D'Alessandro
Adelphi, pp. 194, euro 18 


Enza Bertone Barbato

Come il marinaio Sindbad lo scrittore Krudy (e Marai, attraverso il suo libro) parla di una Ungheria solitaria, di un amore sviscerato per la sua patria. Pensieri e ricordi si alternano, e le riflessioni sono così coinvolgenti da dare alla quotidianità una luce nuova, sembrano restituirci  vista e udito per cogliere l'essenza delle cose. In questo riandare nella memoria riemergono la felicità, la delicatezza, la leggerezza di quell'Ungheria silenziosa, dove amicizia  e amore vivevano una vita autentica. "Qui c'era qualcosa, incantesimo e contagio, malattia nervosa e fervore, dignità e nobiltà". 

La memoria, lo sappiamo,  ci fornisce un filo sottile fatto di sensibilità: la trama della nostra vita. In Sindbad torna a casa il piacere della lettura si trasforma in un abbandono malinconico. Ogni ricordo contiene attese, che chiedono di essere riempite da altri contenuti: "Ora Sindbad era immerso nei ricordi, vedeva il presente offuscato, come velato e con maggiore chiarezza vedeva il passato che si celava dietro quel velo".
La strada mentale che l'autore percorre nella memoria diventa una indagine sul corso di una intera esistenza tra rimpianti, sofferenze, solitudini, e la lucidità spaventosa con cui Marai rievoca il passato è una educazione ai sentimenti più profondi. L'ho trovato bellissimo!

lunedì 24 giugno 2013

Una bambina smarrita nel buio della mente

Ti racconto un libro:
Michèle Halberstadt, La petite
traduzione di Elena Cappellini
L'orma, pp. 132, euro 13,50

Roberto Liberatori
"La tana che mi ero costruita si era trasformata in una prigione nella quale mi rinchiudevo ogni giorno di più e della quale sarei stata incapace di trovare la chiave". Lei, la protagonista del romanzo, è una bambina ipersensibile e diversa dagli altri. Quando a otto anni perde il nonno, col quale ha un rapporto speciale, si accorge che la famiglia cerca di proteggerla dal dolore. Questo fatto scatena nella sua mente un malinteso che la spinge ad annullarsi, a rendersi muta e invisibile a tutti. Fino al punto di volere la morte. Prende avvio da questa scelta estrema e sofferta il romanzo di Michèle Halberstadt, giornalista e produttrice cinematografica francese.  La sua scrittura sapiente ripercorre le fasi di questa discesa negli angoli bui della mente con il racconto in prima persona della nostra protagonista. Attorno a lei i genitori, una sorella messa su un piedistallo, uno zio egocentrico, una compagna di classe carogna e due amici del nonno grazie ai quali intravede un mondo raffinato e cosmopolita, in cui l'arte è un piacere a cui vale la pena di consacrarsi. La "piccola" cerca di sopravvivere al suo mondo di sentimenti soffocati con la lettura e la scrittura: inventa un personaggio, Laure, amica immaginaria che rappresenta ciò che vorrebbe essere. E continua a dialogare muta col nonno. Ma quando tutto sembra perso, si spezza qualcosa nella sua mente e la piccola intravede una seconda possibilità, o meglio una scelta di vita diversa. Semplicemente volendo.  La rinascita della nostra  protagonista è la presa di coscienza dei propri doni, di tutto quello che, per un malinteso, può essere scambiato per "singolarità". Nel breve romanzo la lasciamo così, alle prese con la sua nuova vita. Lei, a passeggio con il suo abito leggero che svolazza al vento e la voglia di sorridere a tutti. Noi, a riflettere su come la mancanza di comunicazione e una percezione sbagliata di se stessi possa produrre tanta infelicità. Anche in tenera età. 

Roma, città verde e solidale?

Raethia Corsini

Gli orti e giardini condivisi di Roma sono aumentati del 50 per cento in un anno, passando da 100 a 150. In quasi
ogni quartiere della città i cittadini, davanti all'incuria dello spazio pubblico e del verde urbano, si sono rimboccati le maniche ed hanno recuperato le aree abbandonate per restituirle all'uso pubblico. Sono i dati riportati sul comunicato di Zappata Romana che annuncia l'aggiornamento 2013 della mappa on line, visitata ogni anno da oltre 30 mila persone. È in versione italiana e inglese, si trovano informazioni e manuali su come fare/farsi l'orto, il giardino, l'aiuola recuperando aree pubbliche incolte e abbandonate o - peggio - destinate a cementificazione o discarica a cielo aperto. La mappa riporta per ogni esperienza la localizzazione, una descrizione, una fotografia e i contatti. Un lavoro necessario e encomiabile, quello di Zappata Romana, anche se non sempre "preciso" perché le iniziative si moltiplicano e spesso non sono intercettabili. 
Anche a Monteverde sono state fatte diverse esperienze di questo genere: il Comitato di quartiere Quattro Venti - che ha una pagina facebook molto attiva, da consultare e a cui partecipare - ha messo a segno diversi successi nel recupero di spazi verdi abbandonati, piantumazioni ex novo e molto altro. Tutto nella filosofia del prendersi cura laddove l'inerzia della Pubblica Amministrazione abbonda. Ed è esattamente questo il messaggio e la linea di Zappata Romana: «Si può fare qualcosa per se stessi e per il resto della comunità, non solo orti e giardini ma anche campi di calcio, palestre, basket, aree cani o,semplicemente, la manutenzione del verde», dicono a Zappata e spiegano inoltre che, «a Roma come Londra, Barcellona e Berlino, nonostante l'assenza di un ruolo propulsivo capitolino, lo spazio pubblico e le aree verdi sono il campo di sperimentazione di nuovi modelli di spazio pubblico a contatto con la natura per aumentare il capitale sociale della città restituendo aree abbandonate a tutta la cittadinanza in forma di spazi di relazioni. Senza inventarsi nulla i romani sono ricorsi alla tradizione, testimoniata dalla antica Università degli Ortolani e dalla mappa di Roma del Nolli del 1748 che riporta orti dentro e fuori le mura rimasti e, infine, ai più recenti, orti di guerra e dei ferrovieri in molti casi rimasti fino ai giorni nostri». I cittadini e le cittadine romane si sono dati molto da fare in questi anni, basta consultare la mappa per scoprire che dall'Appia nuova all'Eur, da Termini a Tor Sapienza "i guerriglieri del verde" sono molti e dotati di fantasia e determinazione. Ora resta da ascoltare la voce della (nuova) Amministrazione alla quale, Zappata Romana e molti suoi "seguaci" chiede di seguire regole semplici e di buonsenso, che elenca così:

domenica 23 giugno 2013

La lotta in Piazza Taksim si "ri-arma". Di uomini e libri

Gli scontri in Turchia hanno assunto modalità inaspettate. Piazza Taksim si è trasformata da luogo di battaglia, in biblioteca a cielo aperto: tutti con un libro in mano, dai manifestanti ai ragazzi in divisa blu. Ecco come lo ha raccontato Monica Ricci Sargentini per il "Corriere della Sera".

Turchia, proteste in piedi
Uomo in piedi contro uomo in piedi. La forma di resistenza civile lanciata lunedì sera dal coreografo Erdem Günduz, che è rimasto per ore fermo e silenzioso al centro di piazza Taksim, ha avuto talmente successo che il governo ha deciso di neutralizzare la protesta imitandola invece che criminalizzandola.
«Non è un atto di violenza, non possiamo condannarlo» ha detto mercoledì scorso il vicepremier Bulent Arinc, sorprendendo tutti dopo che la prima notte i poliziotti avevano arrestato quelle persone sole e pacifiche, che non si agitavano, non urlavano, non minacciavano nessuno. Anzi Arinc ha addirittura detto che questo tipo di esternazione è «piacevole da vedere», a patto che non intralci il traffico.

sabato 22 giugno 2013

Monumenti di carta

Ti racconto un libro:
Andrea Kerbaker, Lo scaffale infinito
Ponte alle Grazie, pp. 264, euro 16,80

G. Luca Chiovelli

Riconosciamo ad Andrea Kerbaker del coraggio. Egli ha l'ardire, in pieno 2013, nell’era della morte del cartaceo, di scrivere un libro, il proprio, che tratta di bibliofili (costruttori di biblioteche o estensori di cataloghi, i libri dei libri) che sacrificarono le proprie vite allo scopo di diffondere, creare ed alimentare amore (e, in taluni casi, libidine) per i libri stessi; una progressione vertiginosa, specie se si tien conto che noi (io, l’estensore di questa recensione e voi, i lettori) non facciamo che creare altri libri, ovvero una sequenza conchiusa e felice di parole e pensieri organizzati, microbica e temporanea oasi nel Caos universale. D’altra parte cos'è un libro se non lo specchio di altri libri? E una biblioteca in cosa consiste se non in un gioco virtualmente infinito di rimandi, che vive autoreferenziale, escludendo la realtà (della vita, secondo il filosofo Pepe Carvalho, o del mondo superiore, il solo reale)? Si potrebbe obiettare che i libri riproducono la realtà, ma questo è spesso falso; anzi, i libri ci aiutano a sopportarla, la realtà, o fuggendola o migliorandone lo spessore e l'universalità, così come il canestro di frutta di Caravaggio migliora e sublima tutti i canestri di frutta del mondo reale; e i libri di cui parla Kerbaker ancor di più assolvono a tale compito, perché sono essi stessi opere d'arte, al netto del contenuto, come il Commento di Servio a Virgilio appartenuto a Francesco Petrarca: "grande, austero, autorevole, nel suo formato imponente reso ancora più maestoso da una legatura blu intenso dove, sotto la scritta in oro Virgilius cum notis Petrarcae, si ripetono gli stemmi imperiali con la N di Napoleone [che aveva requisito il libro durante la campagna di guerra in Italia] ... "; un capolavoro bibliografico noto anche per "la celeberrima illustrazione dell'incipit, quella dipinta da Simone Martini. Un'intera pagina di grande formato su un abbacinante sfondo blu", esornata ulteriormente dalla calligrafia del Petrarca, nitida e simmetrica sino all'inquietudine. Kerbaker, anch’egli collezionista (ha un patrimonio di 25.000 volumi), si sdilinque, e con piena ragione. Non crediate che questi siano meri argomenti formali; il vestimento, infatti, influisce sulla sostanza stessa del libro e, quindi, sul godimento che se ne trae. Petrarca (o Shakespeare o Cormac McCarthy) in cattiva edizione (copertina squillante, carta riciclata, rilegatura brossurata) non è più Petrarca (o Shakespeare o Cormac McCarthy), ma un gemello, apparentemente simile, che soffre una segreta patologia; come asserì Enfield a proposito di Mr. Hyde: “Deve avere un che di deforme: dà una forte impressione di deformità, benché mi sia impossibile specificarne la natura. E' un tipo assolutamente fuori dal comune, eppure non saprei indicare niente di insolito”.
Ciò è facilmente sperimentabile da chiunque.

Migrazioni di ieri e di oggi nelle trame di Laura Pariani

Laura Pariani, Il piatto dell'angelo
Giunti, pp. 144, euro 12


Renato Biggio

Il romanzo Il piatto dell'angelo di Laura Pariani ci racconta di migrazioni passate e presenti. I nostri nonni partivano per le lontane americhe per sfuggire alla fame e per cercare fortuna, ora dal sud del mondo si viene in Europa. I racconti fra vecchio e nuovo si intrecciano in una scrittura fluida e garbata. Curiosamente ho ritrovato nel libro  fatti che riguardavano la mia famiglia, nonno Enrico sfuggito alle persecuzioni fasciste, arrivato a Filadelfia, dopo un anno non se  ne seppe più nulla. Lasciati cinque figli in Italia, si sara fatto una nuova famiglia? Anche di questo parla il buon libro. 

venerdì 21 giugno 2013

La Roma d'antan allo specchio dell'oggi

      
Roberto Mazzucco, I sicari di Trastevere
Sellerio pp.277, euro 13

Maria Vayola
Mi sono avvicinata a questo libro pensando fosse essenzialmente un giallo. In realtà, sebbene sia presente un omicidio che tira il filo della narrazione, è un romanzo storico sugli avvenimenti accaduti a Roma dopo la presa di Porta Pia.
Raffaele Sonzogno, nipote del fondatore della importante casa editrice e redattore del quotidiano  romano La Capitale,  viene ucciso nella redazione del giornale, da un sicario, tipico ”bullo trasteverino”.
E', Raffaele, un uomo della sinistra, milanese, schietto e limpido nella vita come nella sua professione che pratica all’insegna delle ricerca della verità, pronto a smascherare intrighi politici e ineguaglianze sociali.
Al potere, in quel momento, febbraio 1875, è la destra storica e sono imminenti le elezioni,  in cui si prevede la vittoria della sinistra.
Le indagini, svolte dall’onesto Leopoldo Galeazzi,  si sviluppano in più direzioni, ipotizzando una congiura di una banda di Trastevere o un delitto passionale, ma in realtà, sia a livello istruttorio che dibattimentale,  verrà posto in essere un depistaggio e un occultamento delle vere ragioni e dei veri mandanti del delitto.

E in una notte d'aprile narreremo il lavoro

....per leggere, narrare, ascoltare storie di lavoro...
....tutti insieme, tutti alla stessa ora, ognuno con chi vuole,...
...nelle case, nelle scuole, nelle associazioni, nelle istituzioni...





Lorenzo Carlo
I mass media rinnovano periodicamente i loro allarmi: gli italiani leggono sempre meno! Gli italiani leggono meno di tutti gli altri europei! e simili. Probabilmente è vero ma è altrettanto vero che gli-italiani-che-leggono leggono con piacere crescente. E negli ultimi anni sempre più numerosi sono gli-italiani-che-leggono che tentano di contagiare i non-ancora-lettori, di trasmettere la delizia del vivere anche altre vite attraverso la lettura.
I gruppi di lettura di Plautilla, quando si riuniscono, ricordano le serate dei nostri avi contadini quando attorno al fuoco le famiglie si sedevano in cerchio ed ascoltavano l’affabulatore (e poi il primo lettore!) con la bocca aperta e gli occhi spalancati di meraviglia.
Oggi questo tipo di attività può cominciare a estendersi a rete su tutto il territorio nazionale (e poi chissà.... senza confini!) attraverso una serie di collegamenti per lo più virtuali (e forse per questo ancora più suggestivi) tra diversi “centri di lettura”. In questa direzione appare molto interessante l’iniziativa del professore di sociologia napoletano Vincenzo Moretti alla quale possiamo dare sostegno morale fin da subito firmando la petizione al seguente indirizzo:  https://www.change.org/it/petizioni/la-notte-del-lavoro-narrato-30-aprile-2014-ore-20-30 . Col tempo vedremo come l’iniziativa riuscirà a evolversi e potremo decidere di aderire nelle forme che più ci piaceranno. Il professore appare molto aperto e interessato a consigli e suggerimenti e può essere contattato all’indirizzo v.moretti@fdv.cgil.it.  
Notizie più dettagliate sull’attività di Moretti, sul suo recente libro Testa, mani e cuore di cui abbiamo parlato in un precedente post e sul notevole film-documentario La tela e il ciliegio si potranno trovare nel sito Le vie del lavoroInfine mi sembra interessante anche segnalare la genesi, per così dire, dell’idea così come il professore simpaticamente la racconta: http://chesensochefa.blog.rassegna.it/2013/03/05/1488-la-notte-del-lavoro-narrato/
Buona lettura e buon lavoro a tutti!  

Letti di notte 2013. La notte bianca dei libri

La prima notte d’estate è la notte dei libri. Oggi, 21 giugno, saranno molte le iniziative legate alla notte bianca della lettura. A Roma, ma anche a Torino e Milano, in Toscana e in Emilia Romagna, come in altre città estere si festeggia l’inizio della bella stagione con una notte da dedicare ai libri e non solo. Al modo in cui vengono letti, alla maniera in cui vengono scritti, all’intelligenza con cui vengono pensati, alla fantasia con cui vengono raccontati.
Le case editrici in collaborazione con le librerie indipendenti e le biblioteche proporranno un vasto assortimento di eventi, perfomance, incontri.
Idee particolari, accostamenti originali, letture classiche, libri da ascoltare o da immaginare.
A Roma ci saranno reading espressionisti e reading collettivi e condivisi; attori che presteranno la loro voce per audiolibri dal vivo; racconti scritti ad hoc; danze e letture magiche come quelle dei tarocchi; autori presentati e autori presentatori; esperti traduttori e musiche improvvisate; deliri narrativi e oratori; generi letterari tinti di nero e di giallo; scimmiette letterarie e compleanni noir; letture bendate e degustazioni visive; abitudini scrittorie e favole prima di andare a dormire.
Ognuno potrà scegliersi un libro su misura, in una sola notte.

Link utili:


giovedì 20 giugno 2013

Previdi, se un minuto durasse due minuti

Giovanni Previdi, Due fettine di salame, poesie
Quodlibet Compagnia Extra, pp. 120, euro 12,50

La poesia è una grande distrazione
 dal dolore, 
dalle cose pesanti della vita. 

La poesia è anche una catena, 
ma una catena di fiori.


Alda Merini


Simonetta Felli
La poesia non la si può raccontare.  Solo possiamo avvicinarci a lei con rispetto, e leggerla. A volta bastano poche righe ed entriamo  nell’immagine: assaporiamo il suono, la scelta delle parole…Incuriosita  dalla semplicità del titolo (Due fettine di salame) dal sapore quotidiano e sano, ho scoperto che quelle di Previdi sono poesie  concepite e scritte nel dialetto parlato sul Po, al confine tra Mantova e Modena, ma tradotte  in italiano dallo stesso autore. Forse per apprezzarle in pieno, bisognerebbe conoscere quella terra, quei personaggi, ma  scoprire nuovi mondi, anche se vicini,  stupisce, crea appunto   un contatto che  non ci sarebbe mai stato, e per questo ci arricchisce. Sembra che tutto possa essere possibile. Come in questa poesia.

Conti alla mano

Se un minuto
Durasse due minuti,
conti alla mano,
saremmo nel Millecinque
e avrei sedici anni.
E allora chissà,
io e te,
giovedi.

Rabbia e speranza, le donne di Rossana Campo

Ti racconto un libro
Rossana Campo, Il posto delle donne
Ponte alle Grazie, pp. 152, euro 10

Maria Teresa Carbone
Nota: le recensioni dei libri di Rossana Campo si rivolgono solo in minima parte alla cerchia dei lettori di Rossana Campo, e questa probabilmente non farà eccezione. Attenti, però: qui non si vuol dire che gli estimatori dell'autrice del Pieno di super o di Duro come l'amore appartengano alla schiera dei non-lettori, di quelli che hanno solo la televisione come strumento di informazione culturale. Al contrario, chi aspetta con gioia che esca l'ultimo libro della scrittrice genovese e si affretta a comprarlo, a leggerlo, a commentarlo poi con amici vicini e lontani, è quasi sempre un lettore – o una lettrice – forte, di gusti fini e attenti. Un lettore o una lettrice che, senza attendere i consigli del recensore di turno, si accosta al nuovo libro con l'atteggiamento di un cinéphile all'uscita di un film del suo regista preferito: ne conosce e ne ama i temi, lo stile, i tic e non vede l'ora di scoprire quale veste i temi, lo stile, i tic assumeranno questa volta.

mercoledì 19 giugno 2013

Nell'Italia smarrita le paure arcaiche dell'altrove

Patrizia Vincenzoni
La frase scioccante della (ex) consigliera leghista Dolores Valandro "Perché nessuno stupra la Kyenge?", riferendosi alla ministra per l'Integrazione Cecile  Kyenge,di origini congolesi, interroga tutti, al di là del genere e del credo politico. I giornali hanno riportato l'accaduto e il relativo coro di proteste di molti, le denunce sgomente difronte a questa violenza che raggela ancor di più perché le parole sono state espresse da una donna verso un'altra donna. L'esibizione di questo inaspettato armamentario aggressivo da parte di Dolores Velandro produce un senso di raggelante smarrimento e il bisogno di capire, oltre la cruda versione che i fatti offrono.  Sono state invocate varie ipotesi per cercare di dare spiegazioni della violenza dell'insulto, si sono cercate nell'arretratezza del nostro paese rispetto alla migrazione e alle dinamiche dell'integrazione quelle risposte che possono contribuire a ripristinare una apparente normalità e nello stesso tempo alimentare un dibattito.

lunedì 17 giugno 2013

Simona Baldelli: guerra e fate

Giulia Caminito

“Quello che è scritto qui dentro è tutto accaduto, fate incluse”: così Simona Baldelli esordisce parlando del suo romanzo Evelina e le fate, finalista al premio Calvino nel 2012 e ora, uscito per Giunti, piccolo bestseller con oltre diecimila copie vendute in poco più di tre mesi. E subito ammette che questa frase a effetto lei la ripete sempre, a ogni presentazione, a ogni incontro.
“Ma perché è proprio così, questa è la storia di mia madre, della mia famiglia, una storia che avevo con me da tanto tempo.” 
Per raccontarla, Simona - che a Plautilla gioca oggi un doppio ruolo, è socia di Monteverdelegge ma è anche, soprattutto, scrittrice - ha scelto la disciplina dell'apprendistato.

Leogrande su Taranto, l'allegria nell'agonia

Alessandro Leogrande
Fumo sulla città
Fandango, pp 270, euro 17,50 

Fabio Cenciarelli
E' pressoché impossibile non aver mai sentito parlare dell'Italsider prima, dell'Ilva poi, di Cito e di tutto ciò che ruota intorno a una città agonizzante come oggi è Taranto, anche per chi, come me, storpiando un concetto espresso da Italo Calvino (ne Le città invisibili), ha sempre fortemente cercato di coltivarsi il suo angolo di paradiso, nell'inferno nel quale tutti sembrano condannati a vivere.
Il verso scelto da Alessandro Leogrande per dare il la alla sua lucida quanto disarmante disamina della situazione che affligge Taranto (e non solo!) estratto da La città vecchia di De André "...ci sarà allegria anche in agonia", mi è suonato come qualcosa di più dell'augurio di un ottimista, forsanche un sognatore. 

domenica 16 giugno 2013

Ex Press: La biblioteca di Gezi Park

M. T. C.
Dal sito Book Patrol, utile punto di riferimento per chi ama i libri, qualsiasi forma prendano, ecco una fotografia scattata nei giorni scorsi a Gezi Park, dove fin dal'inizio dell'occupazione è nata una biblioteca aperta - in tutti i sensi -al pubblico. Non è una novità, e neanche una caratteristica dello "Zuccotti Park di Istanbul": ovunque si sia materializzato il movimento Occupy (ad esempio, per non andare lontano, al Cinema America Occupato), subito si è deciso di mettere  libri vecchi e nuovi a disposizione dei potenziali lettori, spesso (come è successo in Turchia) con l'appoggio delle case editrici, naturalmente ben disposte a farsi conoscere in cerchie più allargate. Sono, forse, i primi piccoli sintomi di una possibile erosione di quel bestsellerismo ad ogni costo che ha caratterizzato l'editoria degli ultimi due decenni. 

sabato 15 giugno 2013

Campioni di bugie

Raethia Corsini

«Al mio paese c'era un tizio che aveva la gamba destra venti centimetri più corta della sinistra. Camminava con una gamba sopra il marciapiede e l'altra sotto. Così, ogni volta che lo vedevamo avviarsi, gli chiedevamo dove andava, e lui rispondeva: a vedere un po' di mondo. Come potete immaginare, riusciva a fare solo il giro dell'isolato e poi tornava sempre nello stesso posto, ma felice, e sapete perché? Perché a forza di fare il giro dell'isolato aveva scoperto che il mondo era quadrato». 
Anche al mio paese si raccontava una storia simile e fin da piccola mi hanno insegnato che alcune bugie non sono inganni. Esattamente come quella citata qui sopra, che è anche un esempio illustre: l'ha scritta Luis Sepùlveda nell'introduzione di  Le Piastre- Patagonia. Gemellaggio della bugia. Siccome al mio paese mi hanno anche insegnato che le bugie inutili sono inutili, vi dico subito la verità: Le Piastre è "quel mio paese" dove sono cresciuta. La Patagonia, invece, è la Patagonia. Il libro, edito nel 2005 dal Comune di Pistoia e firmato dalla giornalista Sara Bessi, lo psicologo Giuseppe Bruni e l'editor Silvio Ulivelli, raccoglie due lunghi racconti sulle frottole. O meglio, su due paesi sperduti ai due capi opposti del Pianeta, ma uniti  a loro insaputa da un bizzarro campionato dedicato proprio alla bugia. In "Patagonia Express", il romanzo di Sepùlveda, viene descritto in particolare un luogo dedito alla bugia anche se, l'autore racconta, in Patagonia ci sono miriade di festival della frottola e si chiede: ma ci sarà un altro luogo nel mondo dove alla bugia si dedicano gare? Gli autori del libro Le Piastre - Patagonia sono andati a trovare Sepùlveda e gli hanno dato la risposta che cercava. 

Szymborska, una poesia di collages

Giovanni Muratore
Rimarrà aperta fino al 27 giugno la mostra di alcuni fotocollage realizzati da Wislawa Szymborska nel corso della sua vita.
La mostra, presentata per la prima volta nel febbraio 2013 a Cracovia in occasione del primo anniversario della scomparsa della poetessa, fa parte di un tour europeo avviato dall’Istituto Polacco di Roma in collaborazione con la Biblioteca Europea e il Goethe-Institut Rom, che ospita la mostra nei locali di via Savoia 13.
Proprio a Roma, dove nel 2007 la Szymborska tenne l’ultimo incontro con il pubblico romano, insieme a queste deliziose immagini che oltre ad aver rappresentato il suo passatempo preferito per anni illustrano chiaramente l'ironia e l'humour surreale delle sue poesie, è esposto anche il manoscritto originale di una delle più conosciute e amate poesie della poetessa: Il gatto in un appartamento vuoto (il collage ad essa dedicato è stato scelto come poster della mostra).
Premio Nobel per la letteratura nel 1996, la poetessa polacca Wisława Szymborska ha ideato e prodotto questi collage con grande cura e meticolosità, con la stessa passione profusa nei suoi versi. Le realizzazioni venivano poi inviate ai suoi amici più cari o andavano a comporre una delle molteplici "pesche di generosità" che animavano le sue feste, regalando ai presenti uno dei tanti oggetti collezionati dalla poetessa. 
Come spiega il bellissimo documentario sui viaggi dell’artista in Europa, realizzato da coloro che in questi viaggi l'hanno accompagnata, Wislawa Szymborska possedeva un incredibile gusto kitsch per i souvenir, i piccoli oggetti che riportava a casa con amore e riponeva negli oltre 600 cassetti del suo appartamento.