mercoledì 21 agosto 2013

Parola di Capitano / 21


Nelle puntate precedenti: si perde, ma poi si ritrova, il manoscritto del romanzo scritto - finalmente! - a quattro mani da Teo Marlo e dal suo eroe, il prode Capitano Giona Missing.

Franca Rovigatti
RICONGIUNGIMENTI

Come due amanti a lungo separati, Teo e Giona si rassicurarono con parole sommesse, quasi carezze. Così sommesse, tanto pudiche furono, che von Z. neppure se ne accorse.
Del resto, anche lui era frastornato. Accoglieva i ringraziamenti di Teo come come un bambino. Se ne stava lì un po’ basito, mentre il suo cuore, muscolo fino a quel momento disabitato, si intiepidiva alla luce della memoria. I ricordi gli affollavano la mente: chiedevano di Ruth, Werner, dell'allegria di Berto, di Turlo e Varlo Mutti, gemelli indistinguibili. Per quasi cinquant'anni Woodroow non ci aveva più pensato. In collegio lontano dalla città, e poi, nella vita, arrotando e digrignando i denti, s'era scordato ogni cosa... E adesso, guarda, per quest'impiccio di Marlo, tutto riaffiorava da lontano... Sarebbe stato bello ritrovarli… Com'era il nome di quello grasso col naso rincagnato? Che sapeva a memoria tutto l’orario ferroviario della nazione? Bbb..., no! Tob, ecco! Tob Luccio. Sarebbe stato bello rifare tutti insieme il Graal...
"Bene, Teo, andiamo?" disse: "Abbiamo fatto quello per cui eravamo venuti."
"Sì, lo può dire! L'abbiamo fatto! Alla grande! Andiamo.”

Insomma, quando l'orologio ad acqua del laghetto del Parco dei Lanzi segnava le dieci, i due, pallidissimi e sporchi di fango, uscirono dalla botola.
Al cancello si salutarono con imbarazzo, chiedendosi se l'impensabile solidarietà sorta nel corso dell'avventura avrebbe retto, o no, al prossimo incontro.

Lungo la strada, Giona fece il resoconto delle sue peripezie.
Ricongiungersi al manoscritto era stato uno scherzo, il tempo di uno schioccar di dita. Gli era bastato chiamare Leyla: e si era trovato nella jeep, lungo una pista della giungla giavanese. I problemi erano cominciati quando, ritenendosi ubiquo, s’era girato a chiamare Teo. Stava dicendogli: 'Padrone, missione compiuta!', quando s’era reso conto che Teo non c’era. L’ubiquità non c’era. O stava nella giungla, ok, oppure vedeva il fondo di un pozzo d’alabastro. Il fondo dell’Animula. Petente, fetente, umido loco. Prigione.

S’era imposto la calma. Aveva chiuso gli occhi. S'era concentrato. Aveva pensato a Teo, a Sommaire, ai mobili dell'appartamento. Aveva invocato la cucina arancione. Invano. Restava lì, fermo come un masso. Dopo ore di vani tentativi aveva pianto. E Leyla (incredibile!) l'aveva consolato: usando un vocabolario povero e ripetitivo, d'accordo, ma l'aveva consolato. Aveva preso lei stessa l’iniziativa, senza esser scritta né da Teo né da Giona, tutto da sola...

Se non stiamo attenti, Teo, qua finisce che anche gli altri personaggi si svegliano... A causa della mia sortita, si potrebbe essere creata una labilità tra lettera e lettera... che so, dopo il punto e virgola, i due punti... Tra un po’ potremmo trovarci una folla di immigrati in fuga dal romanzo…

Laggiù, le ore non passavano. Quando adesso Teo gli dice che è trascorsa una sola notte, dodici ore in tutto, proprio non riesce a crederci. Per lui era passato un anno, un infinito. Il tempo era diventato carnefice. Ogni minuto si era attaccato ai secondi come usuraio, esigendo brutali interessi. Ogni secondo si era incollato ai decimi, ai centesimi. Per consolarsi, per resistere, s’era rintanato nelle scene del libro che amava di più. E stava precisamente nella stanzetta di Gea, giù alla Bowery, discutendo con lei sulla potenza dell'amore, quando si era sentito sulle spalle, finalmente!, le mani di Teo.

Arrivati al Basso, salirono le scale quattro a quattro. Aprirono la porta.
Sommaire era ancora là dove Teo l'aveva posata. Gli occhi sbarrati non vedevano nulla, un filo di saliva scendeva dagli angoli dell'ammollita bocca, una pozza di orina zuppava il divano, gelida. Cosa immobile e fredda. La colonna di silenzio che soltanto il giorno prima Teo aveva visto sgretolarsi sotto i suoi occhi s’era di nuovo chiusa intorno a lei.

Sommaire, amore mio! Sono tornato! Lo vedi, sono qui!

(Come venire da una lunga assenza
come tornare dal paese dei morti.
Sommaire tremava tutta in ogni fiato
ogni pelle unghia lacrima tremava.
Sottrarsi al nulla fu orrenda fatica
uno sforzo che quasi ne moriva.)

Sommaire la spenta, la decrepita, riaprì gli occhi quel poco che bastava, come impaurita di non vedere nulla.

Invece vide il Capitano, che le stava di fronte preoccupato. E subito le ricomparve tra i denti il pallido sorriso cariato che tanto inteneriva Teo. Giona esultò.
"Sei vivo?" chiese con una vocina stremata. E riattaccò, rapidissima: "Sei tornato? Sei qui, mio Capitano? Sono qui anch'io? Siamo tornati insieme?"

Insieme, Sommaire, insieme. Per sempre! Non temere: io non ti lascio più!

(21 - continua) 

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.


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