martedì 7 dicembre 2010

District 9

Prodotto dal regista neozelandese Peter Jackson (Creature del cielo, Il signore degli anelli, King Kong) è stato un po' a sorpresa un successo negli Stati Uniti, dove ha incassato cento milioni di dollari in meno di un mese, tra l'agosto e il settembre 2009. In Italia, il film è arrivato poco dopo, ma non è andato altrettanto bene, ed è scomparso rapidamente dalle sale. Un peccato, perché tra finto documentario e finto film di fantascienza District 9 racconta parecchie cose vere, e non sempre gradevoli (anzi), sul Sudafrica in cui è ambientato (e da cui viene il regista, Neill Blomkamp) e sulla società contemporanea di molti paesi che amano considerarsi empatici e democratici, ma che nei confronti degli "altri" si muovono a colpi di respingimenti e di campi di detenzione più o meno temporanea. Tra i link utili, la (fin troppo) completa scheda di Wikipedia (versione inglese), una intervista con Peter Jackson (ancora in inglese) e la bella pagina di MyMovies (in italiano), che contiene tra l'altro diverse recensioni del film.

mercoledì 10 novembre 2010

Conturbante Condominio

Alcuni link interessanti per approfondire gli spunti offerti dal dibattito appassionato di sabato 6 novembre su Condominio di James Graham Ballard:
- uno speciale dedicato al libro nel sito dell'editore Feltrinelli;
- la scheda su Condominio all'interno di Wikipedia;
- una pagina sulla prima edizione italiana (Urania Mondadori 10/10/1976)
- un sito (in inglese) tutto dedicato a Ballard.

martedì 2 novembre 2010

"Solaris"

Andrej Tarkovskij,
un ritratto in tre citazioni:

"Nessuno sa che cos’è la bellezza. L’idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell’uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza è il simbolo di qualcos’altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza è simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione “verità/menzogna”, ma nel senso di cammino di verità, che l’uomo sceglie"
....
"Dal momento stesso in cui Eva mangiò il pomo dell’albero della conoscenza, l’umanità fu condannata a una ricerca senza fine della verità. Prima di tutto, come è noto, Adamo ed Eva si accorsero che erano nudi e ne provarono vergogna. Ne provarono vergogna perché compresero e cominciarono il proprio cammino dalla gioia di conoscersi l’un l’altro. Ciò fu l’inizio di ciò che non ha fine … Accadde così che l’uomo, questo “coronamento della natura” comparve sulla terra allo scopo di conoscere perché propriamente egli vi comparisse o vi fosse inviato. E per mezzo dell’uomo il Creatore conosce se stesso. Questo cammino viene chiamato usualmente evoluzione; un cammino che viene accompagnato dal tormentoso processo di autoconoscenza”
...
“Per mezzo dell’arte l’uomo si appropria della realtà attraverso un’esperienza soggettiva. Nella scienza la conoscenza umana del mondo procede lungo i gradini di una scala senza fine, venendo successivamente rimpiazzata da sempre nuove conoscenze su di esso che sovente si confutano a vicenda, in nome di verità oggettive particolari. La scoperta artistica, invece, nasce ogni volta come un’immagine nuova e irripetibile del mondo, come un geroglifico della verità assoluta. Essa si presenta come una rivelazione, come un desiderio appassionato e improvviso di afferrare intuitivamente tutte in una volta le leggi del mondo – la sua bellezza e il suo orrore, la sua umanità e la sua ferocia, la sua infinità e la sua limitatezza. L’artista le esprime creando l’immagine artistica che è uno strumento sui generis per cogliere l’assoluto. Per mezzo dell’immagine si mantiene la percezione dell’infinito dove esso viene espresso attraverso le limitazioni: lo spirituale attraverso il materiale, lo sconfinato grazie ai confini”

(da Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri 1988)

La scheda del film

Solaris (id.)
Anno: 1972
Regia: Andrej Tarkovskij
Soggetto: dal romanzo omonimo di Stanislaw Lem
Sceneggiatura: Friederich Gorenstein
Fotografia: Vadim Yusov
Scenografia: Michail Romadin
Montaggio: Ljudmila Feyginova, Andrej Tarkovskij
Musica: Edward Artem’ev, Johann Sebastian Bach (Corale in fa minore)
Interpreti: Natalja Bondarchuk (Chari), Donatas Banionis (Kris Kelvin), Nikolai Grinko (padre di Kris), Jurij Jarvet (Snaut), Anatoli Solonizyn (Sartorius),Wladislaw Dworshezki (Berton), Sos Sarkisjan (Gibarjan), Olga Barnet (madre di Kris), Tamara Ogorodnikova (zia Anna), Yulian Semyonov (presidente della conferenza scientifica)
Produzione: Viacheslav Tarasov per Mosfilm
Origine: URSS
Durata: 167’ (versione italiana 115’)

Tre indirizzi utili

Andrej Tarkovskij, un omaggio al grande regista russo (un sito interamente dedicato all'opera di Tarkovskij)
Tarkovskij, Solaris (diverse pagine sul film firmate da Gianfranco Massetti)
Speciale Tarkovskij in dvd (scheda di Alessandro Izzi dedicata all'edizione in dvd di Solaris)

mercoledì 27 ottobre 2010

Un saluto a Germana

Pochi giorni fa Germana, commentando la sua traduzione dell'intervista a Ray Bradbury di cui avevamo parlato nell'ultimo gruppo di lettura (la trovate qui sotto), aveva detto con quella passione che avevamo imparato a conoscere e ad amare: "Mi sono divertita moltissimo! Tutte le volte che ci saranno dei testi da tradurre, chiamatemi!". Purtroppo non sarà possibile: la nostra Germana, Germana Moech, entusiasta e argutissima ragazzina quasi-ottantenne, insegnante di libri e di vita, si è rivelata ancora una volta imprevedibile e ci ha lasciato questa mattina all'alba. Se n'è andata senza preavviso, e tutti noi di monteverdelegge che le abbiamo voluto bene e che l'abbiamo ammirata per la sua intelligenza e il suo spirito anticonformista sappiamo che solo adesso comincia a mancarci, e che ci mancherà sempre di più nel tempo.

sabato 23 ottobre 2010

Fahrenheit 451, cinquant'anni dopo

Pubblichiamo, nella traduzione di Germana Moech, l'intervista che fa seguito al romanzo di Ray Bradbury nell'edizione per il cinquantesimo anniversario del libro.

DR: Quest'anno cade il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Fahrenheit 451. Si rendeva conto, scrivendo il romanzo, di dar vita a qualcosa di speciale? O la reazione dei lettori l'ha colta di sorpresa?

RB: La reazione è giunta in un periodo di cinquant'anni e ne ho realizzato la portata molto lentamente. Ballantine pubblicò il romanzo in edizione rilegata e in edizione economica lo stesso giorno nell'ottobre del 1953; credo che la prima vendette circa 5.000 copie. Ci furono delle recensioni, ma non molte; qualche reazione da autori americani, molto positive, ma subito non mi resi conto che avevo fatto qualcosa che sarebbe durato così a lungo. L'edizione economica vendette circa 50.000 copie in un anno, il che è più di 5.000, ma non ne fa ancora un bestseller.

DR: Quando ha cominciato a rendersi conto che il libro avrebbe avuto potenzialità di tenuta nel tempo diventando a tutti gli effetti un classico?

RB: Solo negli ultimi due anni, per l'interesse suscitato in varie città dove numerosi sindaci e biblioteche avevano organizzato programmi di lettura per l'intera popolazione. Fu allora che la cosa mi colpì.

DR: Deve aver avuto una notevole conferma dell'enorme popolarità raggiunta dal libro quando uscì il film di Truffaut nel 1966....

RB: Il film fu un premio a doppia faccia. Non aderiva integralmente al romanzo come avrebbe dovuto. E' un buon film; ha un meraviglioso finale; ha una grande colonna sonora di Bernard Hermann che ha scritto una bellissima musica. Oskar Werner è splendido nel ruolo di protagonista. Ma Truffaut ha sbagliato ad assegnare a Julie Christie due ruoli nel medesimo film: questo ha disorientato il pubblico. Inoltre egli ha eliminato alcuni personaggi: Clarisse McClellan, Faber, il filosofo e il Segugio Meccanico, mentre non si può fare a meno di loro!

DR: Ricordo di essere rimasto molto deluso nel non vedere il Segugio Meccanico.

RB: Stanno pensando una nuova versione per l'anno prossimo: Mel Gibson la produrrà e Frank Darabont ne curerà la regia. Darabont ha girato The Shawshank Redemption (Le ali della libertà). E' un eccellente regista, molto simpatico e io aspetto con ansia la sua prova.

DR: Anch'io. Sa chi ne sarà il protagonista?

RB: E' troppo presto per dirlo.

DR: Fahrenheit 451 non è stato originariamente pubblicato nella rivista "Playboy"?

JR: No, è stato pubblicato nella rivista Galaxy come “The Fireman” (Il pompiere) nel febbraio 1950 in forma breve, circa 25,000 parole. Poi Ballantine mi chiese di aggiungervi altre 25.000 parole, cosa che feci. Infine, nella tarda estate del 1953, Playboy si rivolse a me. Non avevano denaro, stavano appena cominciando e mi chiesero se avevo qualcosa da vendergli per 400 dollari in modo da dare inizio alle pubblicazioni, così ho venduto Fahrenheit 451 per 400 dollari e lo pubblicarono nel secondo, terzo e quarto numero della rivista.

DR: Avrebbero almeno dovuto pagarla 451 dollari!

RB: (ride) Già!

DR: Come molta gente, ho letto Fahrenheit 451 per la prima volta a scuola. Rileggendolo la scorsa settimana, mi ha colpito quanto coincida il suo futuro immaginario con la realtà, certo più del romanzo di Orwell 1984 che viene spesso paragonato a Fahrenheit 451. Penso che quel libro non abbia più una valenza profetica, che invece il suo romanzo conserva.

RB: Orwell scriveva di comunismo, della sua disillusione per il comunismo in Russia e per quanto facevano i comunisti in Spagna. Il suo romanzo era una reazione a quelle situazioni politiche, mentre io ero interessato a una realtà che andava al di là della situazione politica . Mi interessavano gli aspetti della situazione sociale: l'impatto della TV e della radio e la mancanza di istruzione. Potevo prevedere l'arrivo di insegnanti che non insegnavano più a leggere; meno insegnavano e meno ci sarebbe stato bisogno di libri.

DR: E' proprio quell'elemento sociale che mi sembra il più profetico ora, e non solo a causa della diffusione della TV dei reality show, della onnipresenza di Internet, ma anche a causa della somiglianza fra la situazione degli Stati Uniti in Fahrenheit 451 ed il paese oggi, ed in realtà è proprio questo l'aspetto politico. Nel romanzo, gli Stati Uniti sono coinvolti in una guerra vagamente definita. Aerei da combattimento continuano a sorvolare il cielo in formazione. Il resto del mondo ci odia e non riusciamo a capirne la ragione. Nell'opinione di alcuni ciò è quanto descrive esattamente la situazione attuale come una guerra senza fine contro il terrorismo e conflitti armati in Afghanistan e Iraq, quest'ultimo nonostante le proteste del mondo intero. Non pensa forse che il paese si stia avvicinando all'America del suo romanzo da lei descritta cinquant'anni fa?

RB: Neanche per sogno. Il problema principale è l'istruzione, non la politica. Gli insegnanti del nostro paese devono essere preparati ad insegnare a leggere e scrivere all'asilo e in prima elementare. Quando i bambini vanno in seconda elementare, dovrebbero saper leggere e scrivere perfettamente, come è successo ad altre generazioni. Ero in prima elementare nel 1926 e i miei insegnanti erano tutti poveri; il loro stipendio era di 800 dollari all'anno, ma i loro alunni sapevano leggere e scrivere perfettamente alla fine della prima elementare. Ciò non ha niente a che fare con il governo. E' il sistema educativo che si deve correggere.

DR: Anche ora gli insegnanti non guadagnano molto...

RB: Il denaro non c'entra affatto, dipende da quanto ami o non ami ciò che stai facendo… Senta, io ho scritto per anni e non ero pagato. E' stata la mia passione che mi ha sostenuto per tutti quegli anni. Ho venduto giornali agli angoli delle strade e quando avevo ventidue anni guadagnavo 10 dollari alla settimana. Quando ho cominciato a fare 20 dollari alla settimana vendendo storie, ho smesso di vendere giornali.. O sei innamorato di quel che fai o non ne sei innamorato.

DR: Ciò che la gente a volte dimentica di Fahrenheit 451 è che non è il governo che ha cominciato a bruciare i libri – E' la gente comune che smette di leggere e si allontana dall'abitudine di pensiero e di riflessione che la lettura incoraggia. Quando il governo comincia attivamente a censurare l'informazione, la maggioranza delle persone non batte ciglio. Quanto è importante leggere per la salute di una democrazia come la nostra?

RB: Immaginiamo che ci sia un terremoto domani in una qualunque città universitaria. Se alla fine del terremoto potessero rimanere solo due edifici, quali dovrebbero essere per ricostruire tutto ciò che è andato perso? Il primo dovrebbe essere l'ospedale, perché è necessario aiutare la gente a sopravvivere, a curare ferite e malattie. L'altro edificio dovrebbe essere la biblioteca. In essa è contenuto tutto il resto. La gente potrebbe andare in biblioteca e prendere tutti i libri di letteratura o di economia sociale o di politica o di ingegneria di cui ha bisogno e portarli fuori sul prato, sedersi e leggere. Leggere è il centro delle nostra vita. La biblioteca è il nostro cervello. Senza biblioteca non esisterebbe civiltà.

DR: Quale crede che sia la più pericolosa forma di censura oggi?

RB: Ci sono troppi gruppi che rendono impossibile la censura: gruppi cattolici, ebrei e protestanti, i democratici e i repubblicani, i movimenti per la liberazione della donna, le lesbiche e gli omosessuali e i bisessuali, i giovani e i vecchi... Ci osserviamo l'un l'altro e così non c'è spazio per la censura. Il problema principale è la TV idiota. Se guardi le notizie locali, la tua testa si trasforma in poltiglia.

DR: Sembra ci sia stato un declino negli standard dell'obiettività giornalistica, tanto per dirla con moderazione.

RB: Non si tratta solo di sostanza; è anche questione di stile. L'intero problema della TV e del cinema oggi è riassunto nel film Moulin Rouge. E' uscito qualche anno fa e ha vinto una grande quantità di premi. E' fatto di 4.560 inquadrature di mezzo secondo e la macchina di ripresa non si ferma mai, e così cancella il tuo pensiero; non riesci a pensare quando ti bombardano in questo modo. La TV commerciale media di sessanta secondi è fatta di centoventi inquadrature di mezzo secondo o di un terzo di secondo. Bombardiamo la gente di sensazioni come sostituti al pensiero.

DR: Lei ha previsto tutto ciò negli anni cinquanta. Voglio dire che la gente di Fahrenheit 451 è legata a filo doppio alle pareti-schermo...

RB: Certo.

DR: Cos'altro ha inventato per creare il mondo futuro di Fahrenheit 451?

RB: E difficile dirlo. Ho scritto il romanzo perché amo scrivere. Tutte le mie storie sono scritte in impulsi di passione, così è difficile tornare indietro e recuperare tutti gli aspetti che ne hanno fatto parte, ma ricordo quand'ero bambino, avevo circa dodici anni, quando sul giornale locale sono stati pubblicati copioni per radio drammi che sarebbero stati trasmessi con delle pause, così che si sarebbe potuto recitare la parte di un personaggio mentre lo ascoltavi. Questo l'ho trasportato nel futuro di 451.

DR: Nella postfazione di Fahrenheit 451 lei scrive che i personaggi di Montag, Clarissa e Beatty hanno continuato a parlarle a lungo dopo che il libro era finito. I suoi personaggi tornano sempre in vita a questo modo … e sono sempre così insistenti?

RB: Si, oh si. Io do loro semplicemente un palcoscenico e lascio che mi parlino. Tutte le mie storie riuscite mi sono raccontate dai personaggi. Non sono io che le scrivo, loro scrivono me.

DR: Scrive le trame delle sue storie in anticipo?

RB: No, no, no. Io vivo le mie storie.

DR: Ricordo di aver ascoltato una scrittrice parlare una volta dei suoi personaggi. Diceva di essere lei il capo e che loro erano le sue marionette. Diceva che andavano proprio dove lei diceva loro di andare e facevano ciò che lei ordinava loro di fare...

RB: Non puoi farlo, è cattiva scrittura. Sono loro che scrivono, che controllano, che tramano per me. Io non controllo mai; lascio che abbiano le loro vite.

DR: Ma non è preoccupante questo eccesso di fiducia?

RB: No, è uno straordinario divertimento. Amo i miei personaggi. Ne ho fiducia.

DR: Molta gente si è chiesta che cosa capiti a Montag dopo che il romanzo è finito. Lei suggerisce qualche spunto per quanto riguarda la sua vita dopo la conflagrazione nucleare che distrugge la città e probabilmente gran parte del paese. Ha mai pensato di scrivere un seguito?

RB: No, lascio sempre che siano i miei personaggi a decidere dove finisce la loro storia. Ho scritto un dramma e un musical da Fahrenheit 451 che ne approfondiscono un po' di più qualche aspetto, ma il finale consiste sempre nella civiltà che ritorna alla vita nel ricordo degli uomini-libro.

DR: E se Montag dicesse, “Signor Bradbury, la mia storia non è finita. Dovrebbe scriverne un seguito”?

RB: Credo che potrebbe capitare, ma non di frequente. Ora sto scrivendo un seguito a Dandelion Wine, quarant'anni dopo, ma sto scrivendo il dannato libro da quarant'anni. Non so se riuscirà mai a giungere a una fine.

DR: Perché certe cose prendono così tanto tempo?

RB: Chi può saperlo? Il mio io segreto non me lo dice.

DR: Ha scritto storie che vincono premi in quasi tutti i generi: racconti del mistero, fantascientifici, fantastici, horror, per non parlare di cinema e televisione. Preferisce un genere o tipo di scrittura particolare?

RB: Amo tutto. Amo scrivere saggi. Ho scritto un nuovo ponderoso libro di poesia, They have not seen the stars, (Non hanno visto le stelle) uscito sei mesi fa. Amo scrivere commedie: alla fine del mese ho scritto tre nuove commedie che verranno date qui a Los Angeles,, e anche altre più tardi nell'anno.

DR: Quali dei suoi libri, storie o personaggi sono più vicini al suo cuore?

RB: Tutti quanti. Sono tutti miei figli. Quando ami qualcuno, ti comporti verso di lui con grande affetto.

DR: Persino con un personaggio come Beatty, che sotto molti aspetti è il malvagio di 451?

RB: Certo. Deve capire come Beatty sia diventato un incendiario di libri. Ha una storia. Era un lettore, ma dopo varie crisi – sua madre morì di cancro, suo padre si suicidò, le sue storie d'amore andarono in pezzi – ma quando aperse i libri, questi erano vuoti; non potevano aiutarlo: così prese i libri e li bruciò.

DR: Può sembrare una domanda strana, ma la faccio seriamente; dopo tutto, lei si è descritto come un mago! Crede che esista la magia nel mondo?

RB: Dipende da cosa intende per mondo.

DR: Bene, lei cosa intende?

RB: Per mezzo del mio amore per le parole e del mio amore per le idee e le metafore, posso convincerla delle cose più incredibili. Questo fa un mago. Può far scomparire un elefante dal palcoscenico. Posso far sparire o apparire un mondo intero in una storia, o far si che dinosauri si innamorino di fari. Questa è magia.

DR: Una delle costanti del suo lavoro negli anni è stato il rilievo da lei dato a cose e genti comuni nel formare o cambiare il mondo... come fanno gli uomini libro in Fahrenheit 451. Nei suoi romanzi c'è sempre speranza per il futuro, eppure il suo ottimismo non è mai superficiale.

RB: Io credo che se fai il tuo lavoro ogni giorno, alla fine della settimana, o del mese, o dell'anno ti senti bene per tutte le cose che hai fatto. E' la realtà, non è un falso concetto di ottimismo. Così, se ti comporti e scrivi bene ogni giorno, ed agisci bene, alla fine dell'anno ti sentirai bene con te stesso.

DR: Non c'è qualcosa di essenzialmente americano nel suo atteggiamento verso il lavoro? Lei si reputa uno scrittore americano?

RB: Non mi piacciono etichette del genere. Sono stato influenzato da qualsiasi tipo di scrittore irlandese: George Bernard Shaw, Sean O' Casey, William Butler Yeats, Oscar Wilde … o in inglese, Charles Dickens. Sono anche stato influenzato da scrittori americani del diciannovesimo secolo che scrivevano metafore: Hermann Melville, Nathaniel Hawthorne e Edgar Allan Poe. Non credo che in me ci sia niente di puramente americano.

DR: Mi sono immerso per ore nella lettura del libro Bradbury: An Illustrated Life, un libro meraviglioso...

RB: Non è un libro incredibile?

DR: E' proprio bello. Nell'introduzione lei dà risalto all'importanza delle immagini nel suo lavoro, e caratterizza la sua vita come “un movimento – una danza - fra tutte queste immagini”. La fonte e significato di queste è un mistero che lei ha cercato di dipanare nei suoi scritti o la sua scrittura non si avvicina piuttosto di più alla celebrazione di un mistero?

RB: E' una celebrazione. Alla fine della vita ci si volge indietro e si guarda quanto si è fatto. Il mio eroe era Federico Fellini, il regista italiano. Era un mio amico venticinque anni fa. Quando l'ho incontrato la prima volta, mi ha abbracciato e ha gridato, “Il mio gemello! Il mio gemello!” Ha vissuto secondo il detto seguente: “Non mi dire ciò che sto facendo; non voglio saperlo.” Non ha mai guardato i suoi film mentre li faceva; non ha mai letto i quotidiani. Solo quando aveva finito di girare un film, si sedeva e guardava quanto aveva fatto. Io mi comporto allo stesso modo. Non credo di dover osservare me stesso.

DR: Ha mai collaborato con Fellini?

RB: Oh, avrei voluto, ma non è mai successo.

DR: Quando riconsidera la sua carriera, che cosa la sorprende di più?

RB: Tutto quanto! Ho avuto una gran vita. Sono stato molto fortunato.

DR: Che cosa vorrebbe ancora portare a termine come scrittore?

RB: Voglio scrivere un musical.

DR: Scrive ancora tutti i giorni?

RB: Ogni giorno da settant'anni.

DR: Abbiamo sollecitato domande ai lettori e agli insegnanti del suo lavoro, e abbiamo scelte due persone per porle. Farò prima la domanda dell'insegnante: cosa bisogna fare perché i ragazzi apprezzino il potere della parola in un cultura che viene progressivamente dominata dalle immagini?

RB: (ride) Date loro un libro, questo è tutto. Fantascienza, fantasia – i miei libri hanno cambiato un gran numero di vite. Sono pieni di immagini e metafore, ma rimandano a concetti intellettuali. Date uno dei miei libri a un ragazzo di dodici anni a cui non piace leggere, e quel ragazzo se ne innamorerà e comincerà a leggere.

DR: Quali libri preferiva da ragazzo?

RB: I libri di Oz. Tarzan e John Carter, Warlord of Mars di Burroughs. Jules Verne a una certa età. Edgar Allan Poe quando avevo nove anni. E H.G.Wells, che è stato molto negativo, ma anche molto eccitante perché quando hai sedici anni, sei paranoico, e H.G.Wells è uno scrittore molto paranoico, ed anche molto necessario.

DR: Infine, mi permetta di farle la domanda scelta da uno dei suoi lettori: In Fahrenheit 451, mi ha particolarmente colpito che lei includesse il vangelo di Luca, mentre il film scelse di non farlo.

RB: Perché Luca? Non so. Sono cresciuto nella chiesa Battista, e così conoscevo tutti quei testi biblici, ma non sono stato io a sceglier i testi; è stato il mio subconscio.

DR: Il suo io segreto di cui parlava prima.

RB: Si, devi credere in quell'io scrittore o non staresti facendo ciò che fai.

Traduzione dall'inglese di Germana Moech.

mercoledì 13 ottobre 2010

Tre link su "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury

D. Oggi esistono ancora degli outsider, dei paladini del libero pensiero, qualcosa di analogo agli uomini-libro di Fahrenheit 451?
R. Io credo che siano le stesse persone comuni. Quelle che nella vita di tutti i giorni insegnano, o magari lavorano nelle librerie, frequentano le librerie. Oppure quelli come me che leggono e ricordano. E continuano a ricordare.
(da una intervista di Marina Metri a Ray Bradbury su Radio Tre)

Mi sono innamorato della scrittura quando ero ancora alle elementari.
(dal sito ufficiale di Ray Bradbury, in inglese.

Questo romanzo, il più celebre di Ray Bradbury, può essere considerato un inno alla diversità.
(da una pagina web dedicata a Fahrenheit 451)

giovedì 30 settembre 2010

Tre link su "Fahrenheit 451" di François Truffaut

Alla metà di giugno del 1970, François Truffaut apprendeva dai quotidiani che “La Cause du peuple”, giornale della sinistra proletaria, di cui il filosofo Jean-Paul Sartre aveva appena assunto la direzione, era stato posto sotto sequestro e che la polizia arrestava ed incriminava coloro che diffondevano la pubblicazione. Il 20 di giugno, Truffaut era così per strada, insieme a Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, a vendere il giornale ai passanti... (da Fahrenheit 451, minisito sul film a cura di ActivCinema)

Film predittivo, al pari di 1984, di fantapolitiche svolte della società futura, sottolinea lo strapotere mediatico assunto dal mezzo televisivo. In tutta la vicenda l'onnipresente schermo casalingo costringe la popolazione ad una ebete sudditanza nei confronti del potere. I libri, sovversivi per definizione, a meno che non siano come da normativa, non stampati, costituiscono una possibile via di fuga verso nuovi orizzonti... (da Fahrenheit 451, scheda di Wikipedia.it)

Sulla base della teoria del cinéma des auteurs di François Truffaut stesso, Fahrenheit 451è un buon film, anche se è l'unico che il regista avrebbe voluto disconoscere... (da Fahrenheit 451, recensione in inglese all'interno del sito Old School Reviews di John Nesbitt).

martedì 14 settembre 2010

romapoesia: gravidanze

Mi piace molto questa idea del Festival come creatura, con tutto quel che comporta, come sento più che mai vicina la confessione sul tuo stallo giovanile (per me dura in parte ancora) tra la convinzione di essere un'artista e il non muoversi di pezza. Credevo di condividerla solo con Zeno!
Ciao
Fiorenza
romapoesia: gravidanze: "mai come quest’anno mi sono resa conto che il festival è ‘na creatura: e che pensarlo (concepirlo!), architettarne la struttura, non smett..."

mercoledì 23 giugno 2010

il Comitato di Quartiere Monteverde Quattro Venti

Il Comitato di Quartiere Monteverde - Quattroventi è presente in rete con il suo blog
http://www.comitatodiquartieremv4v.splinder.com.
E' la vostra bacheca virtuale per condividere, comunicare, commentare, criticare, proporre.
Il Coordinamento del Comitato è e sarà il portavoce presso il Municipio
dei problemi piu' rilevanti da voi segnalati sul blog.

venerdì 11 giugno 2010

Nuovilibri: "Riportando tutto a casa" di Nicola Lagioia

Cosa ha detto l'autore
Il titolo: “Amo da sempre Bob Dylan. Ma in questo caso “riportare a casa” ha per me un significato di riscatto generazionale. Se la Storia la scrivono i vincitori, la letteratura spesso si occupa di vinti. E la mia, per adesso, è una generazione messa alle corde, sistematicamente tradita nel corso degli anni, che vive in un paese che non è un paese, con un lavoro che molto spesso non è un lavoro, dentro una vita che non è una vita. È come essere all’indomani del ’45 senza che una guerra vera e propria ci sia stata, stiamo tutti cercando di rielaborare una sorta di trauma senza evento. Eppure, nonostante tutto questo, abbiamo sviluppato un modo completamente nuovo di sentire il nostro tempo, e di tradire, amare, perderci per strada, consumare atti di viltà o di coraggio. Se tutto questo – questo sentimento, questo modo di essere qui e ora – non lo porta in luce la letteratura o le arti in generale, nessun altro può farlo. Ecco cosa significa per me riportare a casa... Riportando tutto a casa vuole indicare il riappropriarsi di qualcosa che è emotivamente informe e metterlo nella forma di un romanzo, finalmente raccontabile”.
Gli anni Ottanta: “Gli anni Ottanta sono stati l’epicentro di un sisma invisibile, l’origine o l’ultima decisiva concausa del disastro (politico, civile, esistenziale, identitario) che oggi è sotto gli occhi di tutti. E lì che si è consumata l’ennesima mutazione antropologica degli italiani, quando, immerso in un’atmosfera di gaia idiozia, un intero Paese ha svenduto ciò che restava della propria anima”.
Bari: “Durante quel decennio, Bari era – nel bene e nel male – ciò che ogni città degna di questo nome dovrebbe essere sin dai tempi di Dickens e Baudelaire: un luogo in cui fare esperienza. Bari è stata la mia Chelsea, la mia Venice Beach, il mio Bronx: bastavano pochi minuti di motorino per passare dai quartieri chic del centro murattiano alle sale-prova del “canalone” stracolme di fanatici del post punk e della new wave con le Clippers ai piedi alle gigantesche zone dormitorio come Japigia dove l’eroina scorreva a fiumi. Molte città in una, insomma, una punta dell’iceberg tirata a lustro sotto la quale si nascondeva un ventre notturno, feroce, sotterraneo”.
Lo stile:
“La differenza rispetto a Occidente per principianti non è tanto stilistica, quanto emotiva. In questo romanzo faccio i conti con quel che mi riguarda da vicino... Si tratta, credo, di un controcanto caldo e sanguinante rispetto alla freddezza levigata di
Occidente per principianti. Ma sono passati anche cinque anni tra i due libri, e la coscienza del disastro che stiamo vivendo si è fatta più densa. Ho pensato che mettersi in gioco in maniera più scoperta avrebbe potuto avere un effetto liberatorio”.

Cosa hanno detto i critici
Goffredo Fofi / 1: “In mezzo a tanti romanzucoli neri, rosa oppure ombelicali che consolano i lettori, ecco un romanzo sconsolante e sconsolato, che guarda in faccia la nostra disastrosa realtà e ne cerca le cause, trovandole autobiograficamente negli anni ottanta del secolo scorso, quelli della restaurazione, dell’arricchimento facile, della spensieratezza di tutti... Il percorso all’indietro del narratore, uno dei tre, porta lui e noi a capire come è esploso il nostro presente, dell’Italia: tutto torna a una “casa” che non ha più fondamenta. Dopo Occidente per principianti, una commedia itinerante sulla stupidità dello stivale, Nicola Lagioia affronta una narrazione più strutturata e tradizionale, con personaggi indimenticabili (i ragazzi, ma soprattutto gli adulti): un romanzo collettivo su un imbarazzante capitolo di storia italiana che ha distrutto le nostre speranze” (da Internazionale).
Goffredo Fofi / 2: “Lagioia dimostra la difficoltà che si incontra a “fare storia”, e a fare romanzo come storia, per l’impossibilità di mettere ordine in un universo sociale così sgangherato come il nostro, dopo gli anni Ottanta. In un mondo che va voluttuosamente al disastro, e che sembra felice di andarci, l’accettazione dell’età adulta è accettazione di una sconfinata mediocrità e di una sconfinata brutalità: è violenza su di sé, gli altri, la natura, il pensiero” (Lo straniero, novembre 2009, da Puglialibre).
Luca Mastranotonio: “Antropologia, non gossip. Tanto per tagliare la testa al toro, non figura mai la parola Berlusconi, né i suoi derivati. Eppure, è proprio la storia di come lo siamo diventati tutti, guardando le televisioni del Biscione, sognando di essere come Agnelli, applicando con euforia da anni ’80 l’imperativo egotico del ’68 e degli anni ’70: la fantasia al potere e il diritto ad avere tutto e subito. Lagioia produce, in un paio di paragrafi, la migliore fenomenologia di Drive in e il suo impatto sulle menti italiane, dalle più sane alle minorate... Anche senza il permesso dell’autore, possiamo rinvenire in questa terza prova narrativa di Nicola Lagioia, la sensibilità del Calvino della Giornata di uno scrutatore nel raccontare, sospendendo ogni giudizio politico o morale, sulle famiglie piene di figli handicappati che irrompono nella scena, all’inizio del romanzo. La carnalità delle visite familiari che si dischiudono al protagonista e al suo genitore, qui un padre, che assomiglia al giro delle iniezioni del protagonista di Conversazione in Sicilia di Vittorini. E se non sono astratti, qui i furori attraversano elettricamente buona parte del romanzo, che è essenzialmente un romanzo di formazione visto con gli occhi malinconici indulgenti di chi sa che la conoscenza è esperienza, che «non si perde quello che non si è mai avuto, non si ha quello che non si è mai perso». Un romanzo di perdizione, e di ritorno, alla vita” (Il Riformista).
Marco Philopat: “Il primo bacio, la prima sgasata sul motorino, la prima volta che vedi i tuoi genitori perdere colpi, sono tutti momenti difficili da scordare. Se poi avvengono in una famiglia in cui il tenore di vita è migliorato improvvisamente e la moralità precedente finita nel cesso, il tuo futuro può diventare un bel rebus. Nicola Lagioia scrive una storia esemplare ambientata nella seconda metà degli anni Ottanta a Bari, una delle capitali del secondo boom economico di un’Italia divenuta sesta potenza del globo. La voce narrante è il classico figlio unico: il padre ex venditore porta a porta è appena entrato nei salotti giusti, la madre, ex veterana del casalingato, sta imparando a usare carte di credito nei negozi dell’alta moda. In ogni stanza una televisione accesa su Drive in schiaccia i miti e le lotte del passato come un rullo compressore... Il romanzo si snoda tra feste tardo new wave e scorribande fuori dal recinto del benessere dove la realtà impatta rovinosamente sui sogni. L'intreccio ben congegnato è raccontato vent’anni dopo i fatti e offre ai lettori diversi livelli narrativi, ma chiusa l’ultima pagina, ci si chiede quali saranno le prossime mosse del protagonista dopo la brillante risoluzione del caso” (da XL Repubblica).
Franco Buffoni:
È stupendo questo nuovo romanzo di Nicola Lagioia. Gli stupori di una Bildung nella descrizione di un ventennio di storia italiana. Siamo a Bari, e sono gli anni ’80. I tre adolescenti che si aggirano per le strade si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa un contorto esercizio di combattimento. Giuseppe ha i capelli rossi, i brufoli e un’inesauribile riserva di denaro nel portafoglio. Vincenzo invece è bello e tenebroso, come ogni antagonista che si rispetti. Il terzo amico è quello che racconta: l’occhio inquieto che registra con precisione la vertigine dei loro quindici anni, la lunga inerzia del liceo, il precipizio dentro l’età adulta. Negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent’anni per venirne a capo. Con una scrittura tesa, alta, capace di precisione lenticolare e di accensioni vertiginose, Lagioia racconta una storia di amicizia, di tradimenti, di confitti generazionali – arrivando infine a rappresentare il germe dei giorni che stiamo vivendo, ovvero l’eterna adolescenza di un paese che diventa vecchio senza essere cresciuto” (da Nazione indiana).

Altri materiali sul romanzo si possono leggere a partire dal blog Federico Novaro Libri. Due interviste a Nicola Lagioia in occasione dell'uscita di Riportando tutto a casa, si trovano rispettivamente su Vertigine e nel sito di Giuseppe Genna.

Nicola Lagioia
(Bari, 1973) ha esordito nel 2001 con il romanzo Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi) pubblicato da minimum fax. Nel 2004 ha pubblicato per Einaudi il romanzo Occidente per principianti. Nel 2005 ha pubblicato, per Einaudi Stile Libero, 2005 dopo Cristo, un romanzo scritto assieme a Francesco Pacifico, Francesco Longo e Christian Raimo firmato con il nome collettivo di Babette Factory. Sempre nel 2005 è uscito per Fazi il saggio Babbo Natale. Ovvero come la Coca-Cola ha colonizzato il nostro immaginario collettivo. Ha pubblicato racconti in varie antologie, tra cui Patrie impure (Rizzoli, 2003), La qualità dell'aria (minimum fax, 2004), che ha curato assieme a Christian Raimo, Semi di fico d'India (Nuovadimensione, 2005), Periferie (Laterza, 2006), Ho visto cose (Biblioteca Universale Rizzoli, 2008), La storia siamo noi (Neri Pozza, 2008). Dirige nichel, la collana di letteratura italiana di minimum fax. Nel 2010 è alla conduzione di Pagina3, la rassegna quotidiana delle pagine culturali trasmessa da Radio3 (da Wikipedia).

Sabato 12 giugno alle 11 presso il Salone degli affreschi del Dsm di via Colautti 28, Nicola Lagioia sarà ospite di Monteverdelegge per un incontro su Riportando tutto a casa.

mercoledì 9 giugno 2010

Cineclub: Il gusto degli altri

Il gusto degli altri (Le goût des autres, Francia 1999): un film di dialoghi e di attori - tra cui la stessa regista, Agnès Jaoui - per raccontare di come sia difficile comunicare con gli altri. Secondo Luca Baroncini, nel sito Central do Cinema, "il film sottolinea in modo originale e molto naturale l'assoluta soggettività del gusto, frutto di una sensibilità personale non sempre derivante dal contesto sociale che, per scelta, caso o pigrizia, si finisce per frequentare". Ne parla bene anche Morando Morandini, che nel suo Dizionario del cinema definisce il film una "miscela rara di psicologia e sociologia, crudeltà e compassione, solidità di costruzione e cura infallibile delle sfumature, semplicità e raffinatezza".

Giovedì 10 giugno alle 21, serata-cineclub al Circolo delle Quinte (viale Trenta Aprile 4, 00152 Roma)


giovedì 3 giugno 2010

Famiglie: Padri e figli

Di Padri e figli (Отцы и Дети) di Ivan Turgenev ci sono moltissime edizioni, come sempre succede con i classici. La prima, quella originale, risale al 1862, ed è comparsa sulla rivista "Il messaggero russo". L'ultima, per lo meno in italiano, è uscita da poco, l'ha pubblicata Feltrinelli, e la traduzione è di uno scrittore italiano, Paolo Nori, che ha anche scritto l'introduzione. Ecco l'inizio:
"Tutte le volte che, in questi anni, ho sentito parlare di nichilismo, e è successo spessissimo, ne parla continuamente anche il papa, mi è tornato in mente questo romanzo di Turgenev e in particolare il protagonista, Bazarov, e le rane, e quando per esempio ho visto il film dei fratelli Coen Il grande Lebowski, dove c’era un gruppo di nichilisti, tutti vestiti di pelle nera, che ripetevano continuamente «Noi non crediamo a niente, noi non vogliamo niente, noi non sappiamo niente», mi è venuto in mente che Bazarov non era così, lui credeva nelle rane, e non fingeva di rapire le mogli di facoltosi produttori cinematografici, come i nichilisti dei fratelli Coen, se non ricordo male, ma studiava continuamente e curava la gente e sapeva parlare coi contadini.
Mi è sembrato, nei vent’anni che sono passati dalla prima volta che ho letto Padri e figli, che il nichilismo, così come Turgenev l’aveva presentato alla pubblica opinione occidentale, fosse stato, nella sua variante moderna, completamente travisato, e mi sembrava che quelle tre cose, Bazarov, il nichilismo e le rane, fossero il senso del romanzo, e che nella corretta interpretazione del nichilismo, del ruolo di Bazarov, e del suo lavoro con le rane, stesse il senso di Padri e figli.
Adesso che l’ho riletto dopo vent’anni, mi sembra che le cose non stiano così". Il resto si può leggere nel sito di Paolo Nori.

Sabato 5 giugno alle 11, gruppo di lettura su Padri e figli nel Salone degli affreschi del Dsm, via Colautti 28, 00152 Roma

mercoledì 26 maggio 2010

Cineclub: Il giardino delle vergini suicide

Uscito nel 1999, Il giardino delle vergini suicide, esordio alla regia di Sofia Coppola, è tratto dal quasi omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides (Le vergini suicide, Mondadori 1994). Come il libro, anche il film mescola i toni, di volta in volta elegiaci, comici, feroci, e punta sulle atmosfere più che sulla trama. Affascinata - come testimoniano anche i film successivi - da quello che il critico Emanuele Boccianti ha definito nel sito Offscreen "l'istante zero del percorso di crescita di una donna", la regista americana riprende lo spunto offerto da Eugenides ricostruendo gli ultimi mesi di vita delle cinque sorelle Lisbon attraverso gli occhi e le voci di un gruppo di ragazzi del vicinato affascinati da queste ragazze belle e infelici. Una sorta di coro greco insieme dolente e distaccato che, per citare la critica Michiko Kakutani nella sua recensione del romanzo sul New York Times, ha l'effetto di "trasportarci in quel mitico regno dove è il fato, non il senso comune o la psicologia, a dettare legge".

domenica 23 maggio 2010

"Chi ha ucciso Sarah?" di Andrej Longo

“Di no ne ho avuti una valanga” ha raccontato Andrej Longo in un’ intervista a Repubblica del 2007. Ma di strada, di sicuro, ne ha percorsa parecchia: prima cameriere e poi pizzaiolo prima di riuscire infine, grazie alla piccola casa editrice padovana Meridiano Zero, a pubblicare la raccolta di racconti Più o meno alle tre che lo fa conoscere al grande pubblico. Nel 2007 Longo vincerà i premi Bagutta e Piero Chiara con la raccolta di racconti Dieci edita da Adelphi.
E ancora da Adelphi è uscito l’ultimo libro di Andrej Longo Chi ha ucciso Sarah?, un romanzo giallo alla vecchia maniera, che in poche pagine consuma lo svolgersi di un’indagine sulla morte di una giovane donna. Sarah ha vent’anni, fa parte della Napoli bene e apparentemente non sembra esserci alcun elemento per giustificare la sua morte. Eppure il suo corpo è lì, privo di vita, accasciato sulle scale di un condominio in via Posillipo, la zona bella della città. La storia, infatti, tocca solo marginalmente la Napoli della camorra e dei quartieri allo sfascio della sua periferia per concentrarsi sui rioni borghesi della città, quelli che ospitano le case signorili e i negozi prestigiosi. Niente organizzazioni criminali, né degrado e povertà, quello che Longo ci vuole mostrare è il perbenismo dei borghesi, l’ipocrisia dei ricchi e le loro terribili verità nascoste. Eppure, come ha notato Giorgio De Rienzo sul Corriere della Sera, Chi ha ucciso Sarah, più che a un vero e proprio giallo, assomiglia a un romanzo di formazione, dato che la vita del protagonista, il poliziotto Acanfora, "cambia al primo incontro con la morte": "A volte - riflette il giovane - certi pensieri saltano fuori non si sa da dove. Pare che non significhino niente, fantasie senza capo né coda. Però se uno le pensa, vuole dire che una ragione ci sta". Ed è inseguendo questa ragione che Acanfora va in cerca del colpevole e, più o meno consapevolmente, di se stesso.

Martedì 25 maggio alle 19, presso il ristorante Basilico, clivo Rutario 76, 00152 Roma, aperitivo con l'autore: Andrej Longo parlerà con i suoi lettori di Chi ha ucciso Sarah.

giovedì 13 maggio 2010

Ancora This Be The Verse

Alla fine di una serata particolarmente accanita, alla quale hanno partecipato, in ordine alfabetico, Carla Bernardi, Maria Teresa Carbone, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Cristina Reggio e Franca Rovigatti, è venuta fuori una traduzione collettiva di This Be The Verse di Philip Larkin, sulla quale poi tutte hanno/abbiamo ancora lavorato, ma che si consegna qui come temporaneo oggetto di concordia:

Ti inculano alla grande mami e papi
Non fanno apposta, forse, ma lo fanno.
Ti accollano le colpe che hanno avuto
E aggiungono per te degli extra in più.
Ma furono inculati a loro volta
Da idioti in cappelli e cappotti vecchio stile,
Metà del tempo duri-sdolcinati
L’altra metà si azzannavano alla gola.
L'uomo tramanda sofferenza all'uomo
Sempre più fonda come il fondo del mare.
Tirati fuori più in fretta che puoi
E sta’ attento a non fare figli tuoi.

Cineclub: Gioventù bruciata

Non molti e non molto significativi i materiali in rete su quello che è stato un film-simbolo degli anni Cinquanta, la dimostrazione visiva e "sensitiva" che l'apparente quieto grigiore della provincia americana di quel periodo era attraversato da tensioni di inquietudine e di rabbia. Una scheda di Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause il titolo originale, 1955 l'anno di uscita), completa del trailer originale, si trova nel sito del Corriere della Sera mentre su MyMovies si possono trovare, accanto ai dati essenziali del film, alcune schegge di recensioni. In inglese ovvio il riferimento alla pagina dell'Internet Movie Database o a quella di Wikipedia. Più interessante, nella sua brevità, il ritratto che sul New Yorker Anthony Lane dedica al regista di Gioventù bruciata, il grande Nicholas Ray, molto amato dalla Nouvelle Vague e in anni successivi da Wim Wenders che filmerà i suoi ultimi giorni in Lightning Over Water.

giovedì 6 maggio 2010

Goethe e i lettori (me lo segnala Stella)

"Ci sono tre specie di lettori", scriveva Goethe in un aforisma, "una che gode senza giudicare, la terza che giudica senza godere, e quella di mezzo, che giudica godendo e gode giudicando: questa in verità ricrea di nuovo un'opera d'arte".

domenica 2 maggio 2010

Lessico famigliare di Natalia Ginzburg

Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg (pubblicato da Einaudi nel 1963; altre edizioni: 1963 - Supercoralli; 1986 - Gli Struzzi) descrive dall'interno la vita quotidiana della famiglia Levi, famiglia d’origine della Ginzburg. Sullo sfondo, una Torino caratterizzata dai drammatici avvenimenti del Novecento dagli anni '30 in poi: il fascismo, la persecuzione razziale, la guerra, il dopoguerra. Natalia, l’ultima dei cinque figli Levi, è la voce narrante. Con assoluto rispetto della verità e, per certi versi, mantenendo l’incanto della fanciullezza, il testo - più che un’autobiografia - è un insieme di ricordi, che il trascorrere del tempo può avere reso imprecisi, labili. Un libro della memoria che, con dolcezza e ironia, racconta l'amore incondizionato che lega una famiglia tristemente separata dalla guerra, ma a cui basta risentire qualche modo di dire o parola “famigliare” per tornare a sentirsi unita. Vincitore del Premio Strega, il libro ottenne da subito un grande successo. Interessante sia la recensione su agora magazine editoriale che un articolo della scrittrice sul blog apienavoce.

lunedì 26 aprile 2010

Cineclub: "Happiness"

C'è ben poca felicità in Happiness di Todd Solondz, che grazie a (o per colpa di) questo film, uscito nel 1998, si è fatto conoscere come gelido osservatore delle "viscere oscure dei suburbia americani". Come nota la breve recensione del blog Cinemascope, "Solondz piccona l'umanità contemporanea con il ghigno e la freddezza dei serial killer più efferati, filmando l'infilmabile", anche se "... la cosa sconcertante è che a volte si ride anche". Di recente il regista ha girato una sorta di sequel di Happiness, riprendendo gli stessi personaggi, ma affidandone l'interpretazione a attori diversi: il film - Life in Wartime in originale, Perdona e dimentica nella versione italiana - è attualmente in programmazione nelle sale. Tra le numerose recensioni online, da segnalare l'articolo uscito nel sito La linea dell'occhio, a firma di Paolo Fregomeni. Molto interessante anche l'intervista (in inglese) allo stesso Solondz pubblicata dal quotidiano "The Independent".

domenica 25 aprile 2010

SEGNALAZIONE

Martedì 27 aprile Fabio Ciriachi presenta il suo romanzo L’eroe del giorno, (Alberto Gaffi). Intervengono: Oliviero La Stella, giornalista e Bianca Giovannini, cantante.

L’appuntamento è alle 18.00 presso la Libreria Feltrinelli, viale Libia 186 – Roma.

Sul finire degli anni ‘50, un quartiere della prima periferia romana, convivono baraccati, proletari, borghesi e nuovi ricchi: la mobilità sociale del secondo dopoguerra. Gli adolescenti Ivan, Lillo, il Moretto e Giggi-stecco attraversano quella terra di confine tra civiltà e mito guidati solo dalla loro irrefrenabile voglia di vivere.

Anno dopo anno, i quattro si lasciano alle spalle fantasie e sogni ed entrano, disarmati di tutto punto, nella realtà. Un grave episodio di violenza segna le loro vite.

Affiancano i protagonisti tre indimenticabili figure femminili (la tredicenne Liana, la quindicenne Claudia, la ventunenne Orietta); Ivan e gli amici conoscono amore, morte, speranza, paura, dolore, gioia, rassegnazione.

mercoledì 14 aprile 2010

Ancora sui "Savages": una poesia e una proposta

Nella recensione sul "New York Times" della Famiglia Savage, Manohla Dargis cita una poesia di Philip Larkin, This Be The Verse. Fiorenza ha trovato il testo completo (lo leggete qui sotto) e lancia una proposta: sceglierlo come materiale per il prossimo laboratorio di poesia, allargando per una volta la prospettiva da Madri e figlie a Genitori e figli/e.

They fuck you up your mum and dad.
The may not mean to, but they do.
They fill you wih the faults tey had
And add some extra, just for you.

But they were fucked up in their turn
By fools in old-style hats and coats,
Who half the time were soppy-stern
And half at one another's throats.

Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
And don't have any kids yourself.

martedì 13 aprile 2010

Strascichi di Meduse


"Vi propongo un disegno su "Medusa" di Silvia Plath nato dopo una telefonata non esattamente idilliaca con mia madre.
Doveroso ricordare che nel laboratorio Maria Teresa ha lanciato l'intuizione che la poesia sia stata composta dalla Plath proprio sullo strascico emotivo di una telefonata tempestosa. Ce ne siamo convinte tutte : si spiegherebbero bene così espressioni come "cavo atlantico" o " respiro tremulo all'altro capo della mia linea".
Mi faceva notare Carla che di Meduse nel disegno ce ne sono due, e in effetti una è la madre-medusa,"tentacolo anguilloso", vischiosa sì, ma in qualche modo ormai stanca e sbiadita. L'altra è la figlia, che di Medusa ha certamente l'ira e i capelli-serpenti che sibilano parole di fuoco, però è tutta e solo testa. Al di là dell'Atlantico che le divide sono urticantemente attaccate, come suggerisce l'ambigua chiusa "non c'è niente tra noi", e più simili di quanto non si possa pensare. "
Fiorenza Mormile

domenica 11 aprile 2010

Impressioni fugaci

A margine dell'incontro di sabato su "Le correzioni" vorrei aggiungere un
paio di considerazioni:

dal punto di vista della narrazione mi sono appassionata:
agli eventi quotidiani trattati come speciali, con le frequenti digressioni su argomenti secondari; la descrizione quasi maniacale degli ambienti unita ai racconti della vita psicologica degli oggetti, elencati in liste interminabili.

Ho trovato poi della inaspettata ironia:
quando Gary, "democraticamente", si augura che le migrazioni dagli stati centrali alle coste degli americani (gli aspiranti "perfetti cool") , vengano proibite e che ritornino a nutrirsi di "cibi pesanti",
e ancora ho trovato esilaranti le bimbe che giocano a:
" io ero un buco nero e tu una nana rossa - no il buco nero voglio farlo io"
o "... tu eri un agente patogeno e io ero un leucocita"
o il "bassotto al guinzaglio che altro non è che una bombola di ossigeno su rotelle",
o l'idea che "i cuochi siano i mitocondri dell'umanità",
o "di quanto ristorante ci sia nel cibo da ristorante e di quanta casa ci sia in quello di casa"!

ed infine cosa ne pensate del personaggio di Robin, che va a messa tutte le settimane (o tutti i giorni non ricordo) e vive costantemente nel senso di colpa? è sufficientemente cattolico?

venerdì 9 aprile 2010

Le correzioni di Jonathan Franzen

Non è forse il "grande romanzo americano" che tutti gli autori statunitensi aspirano a scrivere, ma è comunque un libro complesso e riuscito nella sua descrizione di una famiglia "disfunzionale" nella seconda metà del ventesimo secolo, questo Le correzioni di Jonathan Franzen (in originale The Corrections, la traduzione italiana, per Einaudi, è di Silvia Pareschi), di cui parliamo nel quinto incontro del gruppo di lettura di quest'anno, dedicato - appunto - alle famiglie. Moltissime le recensioni del libro: per chi conosce l'inglese, in particolare, è molto utile questa pagina di raccordo nel bel sito letterario The Complete Review. Anche in italiano c'è solo l'imbarazzo della scelta: tra le varie possibilità, possono servire come prima introduzione la scheda uscita su Wuz, la pagina su Blackmailmag, le riflessioni nel blog Gruppo/i di lettura.

martedì 6 aprile 2010

per i lettori di Nicola La Gioia ( e tutti gli altri)

Brevemente segnalo, a chi fosse interessato, che questa settimana su radio tre, pagina 3, dalle 9 alle 9.30, Nicola La Gioia cura la pagina culturale dei quotidiani

sabato 3 aprile 2010

Medusa rivisitata

Della poesia Medusa di Sylvia Plath esistono in italiano due traduzioni: una di Giovanni Giudici (che si può leggere qui), l'altra di Anna Ravano, all'interno del volume dei Meridiani (Mondadori, 2002) dedicato alla poetessa americana. Nell'ultimo incontro del laboratorio di poesia, ne abbiamo proposto una nuova versione. Eccola:

Al largo di quella lingua di pietre tappabocca
Occhi sospinti da bastoni bianchi
Orecchie a coppa per le incoerenze del mare
Ospiti la tua testa inquietante – pupilla divina
Lente di grazia,

I tuoi scherani
Agitano le cellule impazzite all'ombra della mia chiglia,
Si fanno largo come cuori
Stigmate rosse dritto in centro,
Cavalcano l'onda di ritorno al punto più vicino di partenza.

Trascinano la loro chioma nazarena.
L'ho scampata? Mi chiedo.
La mia mente ti si avviluppa,
Vecchio cordone appiccicoso, cavo atlantico,
Che si mantiene, pare, miracolosamente in forma.

In ogni caso, tu sei sempre lì,
Respiro tremulo all'altro capo della mia linea.
Curva d'acqua sprizzante
Al tocco della mia verga, abbagliante e grata,
Che tocca e succhia.

Non ti ho chiamato
Non ti ho chiamato affatto.
Ciò nonostante, ciò nonostante
Hai traversato il mare fino a me
Grassa e rossa, una placenta

Che paralizza lo scalciare degli amanti.
Luce di cobra
Spremi il respiro alle campane di sangue
Della fucsia. Non respiravo,
Morta e senza soldi.

Sovraesposta, come un raggio X.
Ma chi credi di essere?
Un'ostia da far messa? Una madonna gonfia di pianto?
Non prenderò un boccone dal tuo corpo,
Bottiglia nella quale vivo,

Vaticano spettrale.
Mi nausea da morire il sale caldo.
Come eunuchi verdi i tuoi desideri
Sibilano ai miei peccati.
Alla larga, tentacolo anguilloso!

Non c'è niente tra noi.

La famiglia Savage

"In ogni famiglia arriva il momento in cui bisogna comportarsi da adulti" è la frase che ha accompagnato nel 2007 l'uscita di questo film malinconico e intelligente. Nonostante la strepitosa recitazione dei protagonisti, Laura Linney, Philip Seymour Hoffman e Philip Bosco, e la nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, firmata da Tamara Jenkins, che di The Savages (questo il titolo americano) è anche la regista, La famiglia Savage non ha avuto in Italia la circolazione che avrebbe meritato. L'anonimo recensore del Corriere della Sera online osserva che "la vecchiaia non era mai stata raccontata al cinema così impietosamente, ma senza cinismo", mentre Manohla Dargis sul New York Times scrive che "Tamara Jenkins ha il dono di saper descrivere la brutalità di una famiglia, senza essere lei stessa brutale". Il film dura un'ora e 53 minuti.

martedì 30 marzo 2010

La scuola è una famiglia?

Credo nella scuola come luogo di crescita, educazione, cultura.
Nonostante tutto ci credo ancora. Il titolo che ho dato a questo post è, ovviamente, pretestuoso.
Certo la scuola non è la famiglia nel senso stretto della parola, ma è una comunità dove nascono relazioni e dinamiche anche affettive e in ogni caso molto strette. Nel bene e nel male.
Questa premessa per segnalare il libro che vedete qui nella foto. È scritto da Giuseppe Caliceti, un maestro di scuola elementare che da 20 anni insegna a Reggio Emilia, un tempo fulcro all'avanguardia per i metodi di educazione scolastica. Il libro si intitola Italiani, per esempio. L'Italia vista dai bambini immigrati. (Feltrinelli, 237 pagg, 14 euro).
Alla presentazione di ieri a Roma, eravamo 7 persone....e non è solo perché c'erano i risultati delle elezioni...Io avevo già segnalato il suo libro nel gennaio scorso, sul mio blog rilanciandolo su fb. Nessun commento, nessuna attenzione. È uscito sul Venerdì, con strillo in copertina, a  fine febbraio. Per il resto recensioni scarse e fuggevoli.
Per me è un libro di grande efficacia per comprendere la realtà-realtà del nostro Paese, uno strumento per concentrare l'attenzione su quello che davvero accade, distogliendo lo sguardo da quanto ogni giorno i media ci invitano invece a guardare/ascoltare.
Non è certamente un libro da premio strega, perché non è un romanzo, non è un saggio e non è scritto per diventare un best seller o una chicca letteraria. Ma secondo me, vale molto di più.
È un suggerimento di lettura anche se mi rendo conto non è strettamente in tema con il ciclo di quest'anno: chi vuole può leggerlo e magari potremmo commentarlo sul blog. Tra l'altro l'autore è disponibile a presentare il suo lavoro in giro per le scuole: alla presenza anche delle famiglie. Se qualcuno di voi ritiene interessante il libro si potrebbe favorire questa iniziativa.
Grazie per aver prestato attenzione a questo mio - mi rendo conto - accorato intervento. (e pensate che non ho nemmeno figli...) :-)